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19 apr 2017

 

Dal Bakur alla Grecia: il viaggio di un rifugiato politico kurdo

di Enea Fiore

 

Il racconto di Akam, kurdo cittadino turco, fuggito alla campagna militare di Ankara perché attivista politico: dalla strage di Cizre al golpe del 15 luglio, oggi è in Europa in attesa di asilo

 

Lesbo, 19 aprile 2017, Nena News –

 

Akam proviene dal Kurdistan turco (Bakur), è dovuto fuggire dalla guerra che imperversa nella sua regione nel Sud Est della Turchia. Da quando il governo di Ankara ha interrotto unilateralmente la tregua con il Pkk, le violenze in chiave “antiterroristica” sulla popolazione curda passano inosservate, sormontate dal vicino conflitto siriano che attira l’attira tutta l’attenzione mediatica.

I curdi turchi stanno portando avanti una guerriglia armata contro l’esercito governativo nelle principali città e villaggi del Bakur, cui partecipano sia i guerriglieri del Pkk che gli stessi civili vittima di attacchi e rastrellamenti. Chiusi tra i combattimenti contro lo Stato Islamico in Siria e gli attacchi dell’esercito in Turchia, per molti curdi l’unica alternativa possibile rimane la fuga.

Abbiamo incontrato Akam nel campo profughi di Pikpa, a Lesbo. Ha accettato di raccontarci la sua storia che, come ci dice lui stesso, è anche la storia di tantissimi curdi della sua generazione. Akam era un esponente del partito Dbp, partito “gemello” all’Hdp che nelle ultime elezioni turche ha superato la soglia di sbarramento del 10% assicurandosi alcuni seggi in parlamento.

Questo è un partito di sinistra a maggioranza curda che dalla sua nascita si spende per la tutela dei diritti dei curdi e di altre minoranze in Turchia. A seguito di una serie di colpi di mano del governo, cominciati con un clima di forte repressione durante le ultime elezioni e culminate con il fallito colpo di stato, il governo di Erdogan ha avviato un operazione di smantellamento dei due partiti incarcerandone numerosi deputati con l’accusa di terrorismo e di avere legami con il Pkk.

Oltre alla sistematica eliminazione degli avversari politici, il governo turco ha intrapreso una massiccia campagna militare e poliziesca contro popolazione, partiti e associazioni nel Kurdistan turco.

Akam faceva parte della giunta comunale di una piccola città vicina alle più grandi ??rnak e Cizre, a ridosso dei confini con Siria e Iraq. Esordisce con un paragone alla situazione precedente il golpe: “Per quanto riguarda il Bakur non si vedono molte differenze: i soldati arrestavano qualunque militante o persona riconducibile ai partiti curdi ormai da anni. Dopo il colpo di stato però sono diventati più frequenti gli arresti di personaggi importanti come il segretario del partito Selahattin Demirtas, ma la violenza sulla popolazione è sempre la stessa”.

“Un anno prima del golpe la situazione era già in una fase critica: molte città curde erano occupate dall’esercito. La mia cittadina si trova vicino a Cizre che è stata assediata all’inizio del 2016. Abbiamo tentato di raggiungere la città per portare aiuto e solidarietà alla popolazione, ma non siamo mai riusciti ad arrivare perché l’esercito turco ci ha attaccato lungo il tragitto e siamo stati costretti a tornare indietro”.

“Vista la disastrosa situazione di Cizre – continua – abbiamo deciso di convocare un meeting del partito (Hdp) per portare l’attenzione sulle condizioni degli abitanti della città e organizzare un sostegno attivo. Abbiamo protestato più volte ed in più modi per far cessare le operazioni militari: 18 parlamentari dell’Hdp si sono sospesi dal parlamento per protesta ed abbiamo organizzato una serie di manifestazioni, poi costrette alla ritirata dall’esercito e dall’aviazione”.

Akam si occupa di politica da anni e ha un’idea chiara del contesto repressivo da cui proviene, che non deriva solo dall’esperienza vissuta ma anche dalla sua formazione. Alla parola “aviazione” chiediamo spiegazioni, pensando a un errore di traduzione: “Aviazione: aerei da combattimento che ci sorvolavano più volte attaccandoci con scariche di mitragliatrice”. 

Accendendosi una sigaretta Akam continua: “Dopo diversi tentativi, una nostra delegazione è riuscita ad entrare a Cizre. La situazione era peggio di quello che pensavamo, la macchina bellica turca si stava accanendo con particolare ferocia sulla città. Dovevamo restare per un paio di giorni, portare aiuti, solidarietà e tornare indietro, ma siamo rimasti bloccati in città per nove giorni”.

“In quel periodo c’era il coprifuoco la notte. Nei giorni trascorsi lì sono morte ventitre persone durante il coprifuoco, solo tre di questi erano guerriglieri, tutti gli altri erano civili, compresi due bambini. Il coprifuoco è stato poi esteso da Cizre anche a Silopi e altre città vicine. La brutalità con cui l’esercito si accaniva sui civili è difficile da descrivere… a ??rnak un giovane è stato ucciso con 28 proiettili e con una fune è stato attaccato al retro di un mezzo militare, trascinato per 3 km fino ad una caserma della polizia e i soldati si sono alla fine fatti le foto col cadavere del ragazzo. Credo che questo fatto in particolare abbia fatto breccia anche su qualche giornale straniero”.

Da consigliere municipale Akam riceveva notizie di prima mano dalle città circostanti; si spegne la sigaretta e inizia a riferire le cifre di una guerra che per lui non è altro che un’invasione.

“In dieci giorni di coprifuoco a Silopi ci sono state non meno di 120 vittime, a Cizre sono state quasi un migliaio, alcune delle quali erano famiglie bruciate vive nelle proprie case e nei negozi. Ci hanno riferito di una donna cui i cecchini turchi hanno sparato vicino casa. Era ancora viva ma quelli hanno cominciato a sparare a chiunque cercasse di avvicinarsi, impedendo per giorni i soccorsi e lasciandola morire”.

A questo punto finisce il racconto di ciò che Akam ha sentito, e quando gli scontri raggiungono anche la sua città, finisce la sua vita da attivista, e inizia quella da fuggiasco. “Cominciò una demolizione sistematica degli edifici – dice, mostrando dal suo telefono alcune foto di indistinguibili cumuli di macerie – Questa è casa mia”.

“Quando sono arrivati carri armati ci sono state proteste ovunque, ma i primi obiettivi militari delle operazioni contro la guerriglia sono state le figure di riferimento della dissidenza politica. Io, come altri della mia età, sono in politica da più di 20 anni ed ero quindi un bersaglio prioritario. Una notte un amico mi ha avvisato dicendomi che avevo poco tempo, e sarei dovuto partire subito. Era la notte del 2 marzo 2016 alle 3 del mattino quando ho cominciato la mia fuga verso l’Europa”.

Dopo una breve pausa a base di tè Akam riprende il suo racconto: “Sono scappato da un amico in un villaggio vicino, ho pagato un passaggio in macchina fino ad Istanbul e mi sono riposato per qualche tempo da alcuni amici. Sono rimasto lì fino al colpo di stato. Mentre mi nascondevo ho visto militari distribuire per le strade decine di migliaia di pistole ai sostenitori di Erdogan e questi decapitare alcuni soldati golpisti sul Bosforo. Una scena degna dello Stato Islamico”

Con la proclamazione dello stato d’emergenza Akam capisce che non c’è alcun posto sicuro in Turchia per un dissidente come lui, e si risolve a partire per la Grecia. “Dovetti procurarmi un documento siriano, che pagai diverse centinaia di dollari. Tu pensa, noi curdi per essere al sicuro dobbiamo fingerci siriani! Ho preso un bus per la costa ovest e pagato dei contrabbandieri turchi per il passaggio in barca. Dopo tre ore di navigazione siamo arrivati sulla costa greca e soccorsi dalle squadre dell’UNHCR. Sette ore dopo ero a Moria”.

Moria è il principale campo profughi di Lesbo, un campo gestito dall’esercito greco che ospita tra le 3.000 e le 5.000 persone. “La ci hanno interrogato uno ad uno e quando è toccato a me mi hanno portato di fronte ad una commissione diversa. Io parlavo in curdo ma avevo documenti siriani,  questo non li convinceva: mi hanno interrogato per ore pensando che fossi un soldato golpista in fuga e mi hanno ammanettato”.

Akam si blocca e sembra volersi prendere una pausa di riflessione. Si incupisce e dopo alcuni secondi di silenzio riprende: “Sai è molto difficile quando pensi di avercela fatta, quando pensi di essere al sicuro trovarsi ammanettato ad una sedia con gente che non ti crede e che deve decidere del tuo destino. Mi hanno interrogato ancora e ancora, alla fine sono riuscito a dimostrare la mia identità mostrandogli foto di me ad alcune proteste. Sono stato processato per aver violato la legge sui confini e infine mi hanno mandato qua a Pikpa. Adesso aspetto una risposta per avere lo status di rifugiato”.

Gli chiediamo dove vorrebbe andare una volta libero di circolare in Europa: “In Germania o in Svezia dove posso ricominciare una vita e dove vivono anche tanti altri curdi. Sai a noi curdi piace stare uniti”. Nena News

 

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