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luglio 13, 2017

 

Il Kurdistan: cavallo di Troia di Washington in Medio Oriente

di Elijah J. Magnier

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

Il leader del Kurdistan iracheno, il presidente Masud Barzani, ha chiesto un (secondo) referendum generale sull’indipendenza, fissando la data il 25 settembre di quest’anno. È deciso a materializzare il sogno di uno Stato curdo in Medio Oriente. Ciò coincide con il sostegno dell’amministrazione statunitense ai curdi siriani nelle province di Hasaqa, Raqqah e Dayr al-Zur. L’obiettivo è un’altra federazione curda che segua o addirittura preceda i “fratelli” iracheni. I passi in Iraq e Siria relativi ai curdi sono collegati, indipendentemente dai confini. Tuttavia, i direttamente interessati, Ankara, Teheran, Baghdad e Damasco, ritengono che sia intenzione degli Stati Uniti rimodellare la regione e formare un “nuovo Medio Oriente”, promosso dal presidente George Bush e dalla sua ex-segretaria di Stato Condoleezza Rice. I Paesi vicini ai curdi permetteranno agli Stati Uniti di dividere il Medio Oriente approfittando di 22-25 milioni di curdi entusiasti che sognano un proprio Stato? I curdi in Medio Oriente rappresentano la maggiore etnia del mondo, finora, senza uno Stato. Sono presenti principalmente in Iraq, Iran, Turchia, Siria, Azerbaigian, Armenia e Libano, con una presenza minore nel resto del mondo. Non sarà certamente la benedizione degli Stati Uniti o la loro strategia a creare uno Stato curdo in Iraq e Siria, ma il consenso di Turchia, Iraq, Iran e Siria. Purtroppo per i curdi, questi Paesi supereranno differenze ed obiettivi nel conflitto in Siria unendosi per impedire la creazione di tale Stato. Infatti, appena dopo l’annuncio di Masud Barzani d’indire il referendum generale per l’indipendenza, fonti informate mi hanno detto che alti ufficiali d’intelligence e sicurezza iraniani, turchi e siriani s’incontravano per discutere le possibili “conseguenze devastanti” sui rispettivi Paesi e sull’effetto sul Medio Oriente di uno Stato curdo indipendente. Gli agenti della sicurezza ritengono che gli Stati Uniti usino il sogno curdo di uno Stato proprio, per dividere il Medio Oriente e testare la reazione degli altri Paesi. È un legittimo sogno per i curdi: hanno diritto al proprio Stato. Ma i Paesi della regione credono che sia un passo prematuro che aumenterà i problemi. Pertanto, è essenziale seppellire tale “piano statunitense” il più rapidamente possibile e posticiparlo: finché le guerre in Siria e Iraq non saranno finite. Paesi come Iran, Siria e Iraq credono che Stati Uniti e Israele siano dietro tale piano, approfittando dell’approccio emotivo dei curdi all’idea di uno Stato, per dividere il Medio Oriente. Ciò lascerebbe l'”Asse della Resistenza” dominare Stati deboli e divisi, soprattutto tenendo conto dei piani per rovesciare il Presidente siriano Bashar al-Assad (dopo oltre 6 anni di guerra), creando lo SIIL e permettendo alle conseguenze della guerra in Iraq di creare un sunnistan, finora sospeso. La Turchia ritiene inoltre che gli Stati Uniti non siano contrari all’indebolimento della posizione del presidente Erdogan, per punirlo per il suo ruolo in Medio Oriente, il diretto coinvolgimento in Siria, l’opposizione allo Stato curdo in Siria (dove gli USA cercano di costruire una base militare alternativa ad Incirlik), ed incoraggino uno Stato curdo al confine turco controllato dal PKK, principale nemico della Turchia. Non c’è dubbio che i curdi siriani probabilmente seguiranno lo stesso cammino del Kurdistan iracheno: già gli Stati Uniti costruiscono diverse basi militari e aeroporti nella Siria nordorientale, occupando parte del Paese e mantenendovi una presenza a lungo termine.

Funzionari di alto livello con cui ho parlato a Teheran, Baghdad e Damasco ritengono che gli USA non dispongano di una strategia chiara in Siria e in Iraq. Indipendentemente da questa valutazione imprecisa, e guardando lo svolgersi degli eventi, l’amministrazione statunitense sembra abbastanza fiduciosa sulla propria strategia in Iraq e Siria. Le forze di occupazione degli Stati Uniti hanno sostenuto un grande attacco nel Badiyah (la steppa siriana ricca di petrolio e gas) di gruppi “moderati” siriani, in modo da espandere il controllo sulle steppe siriane collegate all’Anbar sunnita iracheno e al deserto giordano-saudita. Hanno occupato al-Tanaf e cercato di fare tremenda pressione (invano) su Baghdad per impedire alle Unità di mobilitazione popolari di raggiungere il confine con la Siria. Hanno attaccato Raqqah con l’aiuto dei fantocci curdi, e stanno per liberarla dallo SIIL. E hanno accesso ai campi petroliferi e alle dighe presso Raqqah per assicurarsi che un futuro Stato o federazione curda possano sopravvivere indipendentemente da Damasco. E, come se non bastasse, riforniscono i fantocci curdi di nuove armi e artiglieria pesante. Tutte le indicazioni portano a concludere che gli Stati Uniti cercano, con i curdi in Siria e in Iraq contemporaneamente, di vedere chi per prima riesca a darsi uno Stato, imponendolo come dato di fatto ai governi centrali, sempre consci che tale politica incoraggerà i curdi in altre regioni (Iran e Turchia) a seguire la stessa via all’indipendenza. Gli Stati Uniti non sono preoccupati da Erdogan e dalla reazione del governo turco ai piani per favorire uno Stato curdo in Siria e Iraq, perché è nell’interesse degli Stati Uniti destabilizzare Ankara (per varie ragioni) anche se la Turchia è membro della NATO. Per gli statunitensi, Erdogan è “fuori controllo e dall’orbita degli Stati Uniti” fin dal fallito colpo di Stato: la promozione statunitense dei curdi siriani e il sostegno al loro possibile Stato indipendente al confine turco-siriano lo conferma. Infatti, il primo ministro e il ministro degli Esteri turchi descrivono la mossa come “errore irresponsabile e grave”. La Turchia non combatterà le YPG, per ora, perché queste sono protette dagli statunitensi, ma certamente combatterà i curdi di Ifrin, dall’altro capo del Rojava. Anche l’Iran, attraverso il leader supremo Sayed Ali Khamenei, ha dichiarato chiaramente che l’Iran non permetterà uno Stato curdo alle frontiere con l’Iraq. Questa posizione chiara, aperta e dura nei confronti dei curdi è meno animosa nei confronti del popolo curdo, tanto più che gli Stati Uniti sono dietro tempistica e strategia del “piano d’indipendenza”, soprattutto nel momento in cui la ripartizione del Medio Oriente è ancora una forte opzione dopo il fallimento dello SIIL nel dividere Levante e Mesopotamia. È proprio perciò che Erdogan avanza le proprie forze da Jarablus ad al-Bab, ignorando la presenza statunitense e dividendo il Rojava in due parti. Questo è anche il motivo per cui l’Iran ha avanzato le proprie forze su al-Tanaf per chiudere la strada agli Stati Uniti dal Badiya a nord-est e avanzando a sud-est del Badiyah liberando oltre 30000 kmq. Stati Uniti e forze ascare ampliano il controllo su quell’area. Il piano statunitense verso Teheran-Damasco-Ankara è istituire uno Stato curdo in Iraq e/o in Siria e aprire la via a uno Stato sunnita in Iraq, Paese considerato dagli Stati Uniti come governatorato iraniano. La “rivolta sunnita” in Siria è fallita perché il Paese è composto per oltre il 70% da sunniti che controllano l’economia mentre gli alawiti ne hanno il comando militare. Ora, secondo i responsabili della regione, i curdi commetterebbero un errore particolarmente grave, guadagnandosi l’animosità dei Paesi circostanti perché uno Stato che può essere attaccato o circondato da terra e dall’aria e che non ha accesso al mare, non sopravviverebbe senza la loro collaborazione. Masud Barzani, naturalmente, ritiene che il calendario sia perfetto per il referendum richiesto (quasi sicuramente avrà il 90% di voti favorevoli allo Stato indipendente) il 25 settembre e crede altresì che la popolazione curda accetti i rischi che proverranno da tale decisione. Masud esclude l’annuncio immediato dello Stato indipendente, ma considera l’inizio di un lungo dialogo pacifico e di negoziati con Baghdad per soddisfare i desideri della popolazione curda. Masud, secondo fonti di alto livello del Kurdistan, non vuole incoraggiare i curdi di altri Paesi a seguirlo perché i curdi in Iraq hanno diversi obiettivi ed ideologia dai curdi in Siria, Turchia e Iran. Ma nonostante ciò che il leader curdo crede e dice, non esistono garanzie o processi che diano l’indipendenza alla nazione curda in un Paese e l’escludano negli altri. Infatti, Barzani non può garantire la reazione degli stessi curdi iracheni, a lungo termine, anche se ora dichiarano apertamente d’appoggiare le sue decisioni. Dietro porte chiuse, molti curdi anti-Barzani esprimono disaccordo sul referendum in questo momento critico in Medio Oriente.

Ciò che molti ignorano è il fatto che i curdi in Iraq e Siria non furono neutrali nelle guerre in Siria e Iraq: Masud Barzani ha sostanzialmente sostenuto militarmente Bashar al-Assad per molti anni permettendo a uomini e armi di arrivare all’Esercito arabo siriano. Inoltre, i curdi siriani offrono lo stesso supporto alle città siriane assediate che confinano con Ifrin, circondate da al-Qaida e alleati. Damasco ritiene che la sicurezza e il benessere dei curdi sia dovuto all’ambito arabo e musulmano: certamente non ci saranno dividendo il Paese in cui vivono, né seguendo la politica statunitense. Infatti, i problemi tra Damasco e Hasaqa iniziarono quando gli statunitensi arrivarono nel nord-est della Siria, quando Salah Muslim, presidente del Partito dell’Unione Democratica Curda (PYD), attaccò l’Iran ed elogiò il ruolo dell’Arabia Saudita nella regione dopo l’intervento illegale degli Stati Uniti in Siria. Gli Stati Uniti affermano di combattere lo SIIL, ma attaccano anche l’Esercito arabo siriano e i suoi alleati in molte circostanze. Ma la relazione tra curdi siriani e Damasco non è ancora in un vicolo cieco. L’intervento statunitense e l’atteggiamento ostile dei curdi verso gli alleati siriani hanno spinto Damasco, Mosca e Teheran a non proteggere i curdi. (Mosca e l’Esercito arabo siriano originariamente crearono una linea di demarcazione attorno a Manbij per proteggere i curdi e impedire alla Turchia di occupare la città che i curdi liberarono dallo SIIL). Questo atteggiamento ha quindi permesso alla Turchia di attaccare Ifrin e di togliere ai curdi la “protezione”, interrompendo il piano statunitense d’occupare parte della Siria dividendola.

Negli ultimi anni vi sono state gravi contraddizioni nella dinamica tra Turchia e curdi in Siria e Iraq: “La Turchia ha permesso ai peshmerga di combattere insieme ai loro nemici, i curdi siriani delle YPG, a Kobane (o ad Ayn al-Arab) quando lo SIIL stava per occupare la città. La stessa Turchia lavora duramente oggi per impedire al Kurdistan di dichiarare l’indipendenza in Iraq e farà tutto per impedire ai curdi in Siria di crearsi uno Stato, il Rojava, e certamente non esiterà a colpire le forze democratiche siriane divenute agenti degli statunitensi a Bilad al-Sham.

– Masud Barzani, nel 2014 lodò lo SIIL chiamandolo “rivoluzione delle tribù” perché credeva che il gruppo terroristico avrebbe istituito un Sunnistan e pertanto permettesse un Kurdistan indipendente, con l’Iraq diviso in tre Stati. Masud si rese conto subito dopo che il gruppo estremista voleva il petrolio di Qirquq ed attaccò Irbil per schiavizzare i curdi. Qui cambiò posizione verso lo SIIL ed affiancò Baghdad nella lotta al terrorismo combattendo assieme all’esercito iracheno per tre anni per proteggere l’unità dell’Iraq. Oggi il leader curdo vuole dichiarare l’indipendenza del Kurdistan dopo il referendum che ha convocato. Ma anche oggi, Masud non può semplicemente chiedere il sostegno di Turchia e Iran al suo piano, scatenando i problemi interni in questi Paesi, dove vi sono milioni di curdi non tutti con la pretesa all’indipendenza.

– L’Iran ha sostenuto i curdi fornendogli armi per proteggere la federazione autonoma nel 2014, quando i peshmerga avevano solo vecchi AK-47 e mortai per difendersi dallo SIIL, dopo la caduta di Mosul. Gli Stati Uniti ritardarono l’aiuto militare e la guerra al terrorismo in Iraq, consolidando i legami tra Masud Barzani e Teheran (principalmente con il comandante dell’IRGC-Quds Qasim Sulaymani) e i peshmerga ricambiarono la cortesia iraniana istituendo una linea di rifornimento tra Kurdistan ed Esercito arabo siriano, alleato di Teheran. Oggi, lo stesso Iran farà del suo meglio per impedire la nascita di uno Stato indipendente in Kurdistan e affiancherà la Turchia per impedire che tale divisione avvenga. I curdi iracheni non sono d’accordo con il PKK a Sinjar e persino li combatterono in alcune occasioni. Non si scontreranno con YPG e PKK per via delle differenze ideologiche e negli obiettivi. Quando c’è un pericolo da combattere, tutti i curdi si uniscono sotto un’identità e un’unione nazionali. Ecco perché i Paesi che ospitano i curdi in Medio Oriente sono certi che la dichiarazione d’indipendenza dei curdi in un Paese contagerà i curdi in tutti i Paesi. Questo soprattutto perché molti Paesi del Medio Oriente faranno tutto il possibile per impedirne l’indipendenza. Baghdad considera il Kurdistan una federazione autonoma protetta dalla costituzione. I funzionari di Baghdad riconoscono di non aver attuato la costituzione: non hanno risolto le controversie territoriali né rispettato l’impegno finanziario verso Irbil. I funzionari iracheni non hanno alcun vantaggio nel far attuare il referendum in Kurdistan per l’indipendenza, perché inviterà i sunniti a chiedere lo Stato indipendente e i radicali sciiti a rivendicare il proprio. Questo può anche dilagare nella Shia in altre regioni del Medio Oriente. A Baghdad si prevede inoltre d’interrompere ogni collaborazione con il Kurdistan se Masud chiedesse lo Stato indipendente. I curdi che vivono sotto il governo centrale affronterebbero un futuro oscuro, anche se la maggior parte dei capi politici al potere ha origini curde. Non sarà permesso alcun sostegno finanziario e il governo centrale di Baghdad può impedire a qualsiasi aeromobile di raggiungere il Kurdistan circondato via terra e senza accesso al mare. Ci sarebbe una guerra silenziosa contro il Kurdistan, mentre la vera guerra contro lo SIIL non sarebbe finita. Le PMU possono impedire ai peshmerga di recuperare aree controverse, lasciando Irbil in permanente stato d’insicurezza.

I Paesi del Golfo sosterranno definitivamente la divisione di Iraq e Siria, perché ciò gli darebbe ciò che persero nel Bilad al-Sham e in Mesopotamia dopo molti anni di guerra. L’Arabia Saudita non ha diviso l’Iraq creando uno Stato sunnita e non ha rovesciato Bashar al-Assad, consentendo agli estremisti sunniti di assumere il controllo del Paese. Se i curdi dichiarano l’indipendenza, il Kurdistan subirebbe una grave recessione, ma i Paesi della regione, soprattutto l’Arabia Saudita, saranno felici di aiutarli attirando i curdi nella propria orbita. In realtà, Salah Muslim ha già preso questa china: presto Barzani loderà l’Arabia Saudita. Masud Barzani deve preparare una solida base prima dell’avventura del Kurdistan indipendente. Invia messi a Baghdad, Teheran, Ankara e GCC per riceverne la risposta sul suo piano d’indipendenza. Dice anche che il referendum non significa indipendenza immediata: è solo questione di tempo. Ma tale annuncio pericolosamente prematuro impedirebbe alla futura generazione curda di adempiere al sogno di uno Stato proprio. Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti non bastano a proteggere uno Stato curdo prospero e pacifico perché la tempistica, sorprendentemente vista da Barzani quale migliore opportunità, non potrebbe essere peggiore. La situazione resta così volatile che ogni singola mossa potrebbe portare su una direzione drammatica e ridisegnare l’intero Medio Oriente. Ciò che accomuna il referendum del 25 settembre 2017 e quello del 2005 è che entrambi dovevano rimanere nei cassetti.

 


Elijah J. Magnier è un Senior Political Risk Analyst con oltre 32 anni di esperienza su Europa e Medio Oriente, acquisendo esperienze approfondite, contatti robusti e conoscenze politiche in Iran, Iraq, Libano, Libia, Sudan e Siria. Specializzato in valutazioni politiche, pianificazione strategica e approfondimento delle reti politiche.

 

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