Originale: The Independent

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18 novembre 2017

 

Saad Hariri accetta l’esilio

di Robert Fisk

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Quando ho saputo che il Presidente Macron era pronto a portare via velocemente a Parigi il primo ministro del Libano rapito e la sua famiglia – vittime del sequestro più gentile nella storia dell’Arabia Saudita – non ho potuto  fare altro che ricordare ciò che Saad Hariri mi disse pochi anni dopo che era diventato il premier del Libano nel 2009. Ero seduto nel suo ufficio nel Palazzo Koreitem – un edificio enorme  e brutto non lontano dal distretto Hamra di Beirut e gli ho chiesto se gli piaceva essere primo ministro del Libano.

Aveva soltanto due consiglieri con lui. “Sto seguendo le orme di mio padre,” diceva ripetutamente. Parlava di suo padre Rafiq, l’ex primo ministro libanese ucciso a Beirut 5 anni prima, nel 2005. Parlava sempre delle orme di suo padre e la gente lo prendeva in giro per questo. Ma, davvero, che cosa si prova  a essere primo ministro del Libano? La sua risposta mi scioccò, anche se non sarebbe dovuto succedere.

 

“Lei sa che questo è il mio dovere,” ha detto, “ma mi manca l’Arabia Saudita. Mi manca la possibilità di portare fuori la mia famiglia in macchina e di guidare nel deserto di notte  e di sentire il vento del deserto sulla faccia e noi, da soli. Niente poliziotti, né sicurezza, né soldati.” Ebbene, credo che da ora in poi assocerà l’Arabia Saudita invece che il Libano, con i poliziotti, la sicurezza e i soldati. E’ stata, però, una riflessione interessante sulla famiglia Hariri.

 

Conoscevo un poco meglio suo padre. Quando fu assassinato insieme ad altri 21 da un attentatore suicida sul lungomare di Beirut, nel 2005, ho visto il corpo di Rafiq Hariri che giaceva sul ciglio della strada. Era un uomo grassottello e dapprima ho pensato che era l’uomo che vendeva il pane al timo sulla Corniche (la strada panoramica, n.d.t.), fino ha quando ho visto i capelli sul suo colletto. I suoi calzini avevano preso fuoco. Avevo incontrato la prima volta, con un collega, Rafiq Hariri non a Beirut, ma a Riyhad, la capitale saudita dove suo figlio è ora detenuto, anche se nel lusso a cui la famiglia era ed è ancora abituata.

 

Rafiq, relativamente giovane – si era negli anni ’90, prima che diventasse primo ministro – era seduto nel complesso dove c’era il suo ufficio, il quartier generale della società saudita Oger, ora fallita, e indulgeva nell’abitudine irritante e così amata dagli uomini di affari libanesi: parlare con i consiglieri e allo stesso tempo gettare lo sguardo a un enorme schermo televisivo per distrarli dalla conversazione.

 

Hariri aveva grandi idee per il Libano. Ovviamente voleva ricostruire il paese dopo la guerra civile. Perché allora vivere in Arabia Saudita? Abbiamo chiesto. “Perché no?” ha chiesto. E’ un paese bello per viverci. Questo è un  grande paese, soltanto a patto che non si venga coinvolti nella politica!”

 

Ah, ma quello era il problema! Rafiq Hariri veniva sempre frenato dalle crescenti ambizioni politiche di Hezbollah. Una volta mi ha espresso la sua furia dopo che il leader di Hezbollah, Sayed Hassan Nashrallah aveva deciso di costruire una tomba per i suoi martiri di fronte all’ingresso dell’aeroporto nuovo di zecca di Beirut di vetro e acciaio che Hariri aveva fatto costruire a sud di Beirut. “Può immaginarlo?” ha chiesto. “Questo uomo avrebbe messo i corpi degli uomini di Hezbollah uccisi dagli Israeliani proprio di fronte all’ingresso dell’aeroporto internazionale che è la prima cosa che i turisti vedevano quando arrivavano.” Hariri ha fermato il piano.

 

Il mondo che allora significava gli Stati Uniti, hanno accusato Hezbollah, finanziato dagli Iraniani, di avere ucciso Hariri, e così, quando Saad diventò primo ministro, anche lui temeva l’Hezbollah anche se molti (comprese me) avevano dei dubbi proprio sulla reale identità degli assassini di suo padre. E, dato che c’erano dei ministri di Hezbollah nel governo – eletti liberamente e regolarmente, dovremmo aggiungere – Saad Hariri si è trovato in un altro genere di pericolo quando, l’anno scorso, è tornato immediatamente come primo ministro. In quanto cittadino sunnita e cittadino libanese, i Sauditi si aspettavano che domasse l’Hezbollah sciita. Doveva però governare un Libano unito, non portarlo a un’altra guerra civile.

 

E così, quando il trentaduenne Principe della Corona Mohamed bin Salman dell’Arabia Saudita cercò di distruggere il potere dell’Islam sciita, il Libano (e Hariri) erano destinati a essere gli obiettivi della furia di questo pericoloso giovane uomo. Il principe aveva cercato di distruggere il regime sciita di Bashar al-Assad. Non ci è riuscito. Ha dato inizio a una guerra contro i Sciiti dello Yemen. Si è trasformata in un disastro. Ha cercato di strangolare economicamente il Qatar, a causa dei suoi stretti rapporti con l’Iran, e di liquidare il canale televisivo Al Jazeera, e non ci è riuscito. Adesso, quindi ha diretto la sua massiccia irritazione contro il Libano.

 

Sembra che anche questo sarà un fallimento penoso, grazie, in parte al Presidente Macron, e non ultimo perché si dà anche il caso che Hariri sia un cittadino francese che Macron può perciò legittimamente  sostenere. Macron vuole che la moglie e i due figli di Hariri lo accompagnino a Parigi, in modo che non rimangano più ostaggi. Ma ci sono.  Tanto per cominciare, c’è suo fratello Bahaa.

 

Malgrado tutta questa schiuma verbale, l’unica cosa che i Sauditi non faranno, è attaccare l’Iran. Sarebbe un’impresa di gran lunga troppo spaventosa da intraprendere per il Principe della Corona. Vale però la pena ricordare quanto l’Arabia Saudita piaceva a Saad Hariri e molto probabilmente quanto gli piace ancora. Come piaceva anche a suo padre. Non molto tempo dopo che Saad mi espresse la sua nostalgia per viaggiare in macchina nel deserto saudita di notte, lontano da Beirut, ha anche risposto a una mia domanda sulle sue ambizioni politiche: “Cinque anni nella politica libanese, e poi me ne andrò,” mi disse.

Questo succedeva otto anni prima che Hariri fosse costretto a leggere il discorso delle sue “dimissioni” a Riyadh, e poi se ne è quasi “andato”. Infatti ora trapela che molti ambasciatori a Riyadh temevano seriamente per la vita di Saad Hariri dopo che aveva letto il suo famigerato discorso da un copione. Altri temono per il futuro del ministro degli esteri saudita ed ex ambasciatore negli Stati Uniti, Adel al-Jubeir, che certamente deve aver tentato di consigliare il Principe della Corona a non costringere Hariri. Se gli ha dato questo consiglio, chiaramente questo è stato ignorato. Quando in seguito al-Jubair è apparso alla televisione, i suoi occhi – secondo le parole di uno stretto conoscente della famiglia Hariri – “erano spalancati per la sorpresa”.

 

Lo stesso Hariri, però, è insoddisfatto di alcuni dei suoi più stretti consiglieri nel suo Movimento Futuro a Beirut, esso stesso finanziato dai Sauditi. Nessuno dirà proprio chi Hariri sospetta che ci si stia preparando a pugnalarlo alle spalle. Alcuni potrebbero ipotizzare Fouad Siniora, l’economista e accademico di enorme talento considerato di solito un amico leale e certamente non un Dotto Faust. Siniora mi è sempre piaciuto.

Ha difeso il padre di Hariri,   Rafiq, quando i nemici di Hariri tentarono di far capire che c’era stata della corruzione nel governo libanese di Rafiq. La politica di Beirut, però, è anche più sfuggente della versione saudita – a volte più pericolosa, anche se questo potrebbe preso cambiare.

 

Quando Saad Hariri fu prelevato dall’aeroporto di Riyadh dagli uomini della sicurezza sauditi, quella prima notte a Riyadh, dapprima si è trovato soltanto a poche centinaia di metri dall’albergo Ritz-Carlton dove molti principi, rivali del Principe della Corona, erano già detenuti per “corruzione”. Deve essersi chiesto se stava per raggiungerli. Allora, davvero, la libertà del vento del deserto saudita potrebbe non essergli sembrato così tanto attraente.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte : https://zcomm.org/znetarticle/saad-hariri-accepts-exile

 

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