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27 settembre 2017

 

Nella mani dell'uomo ripudiato da Gheddafi 

di Giancesare Flesca

 

Il Guardian, quotidiano indipendente inglese lo definisce radicalmente “un criminale”. La sua storia, come vedremo, è all’insegna del tradimento, della crudeltà e della sconfitta. Ma ieri questo “miles gloriosus”, il generale libico Khalifa Haftar è arrivato a Roma, ha incontrato ministri e capi militari, è stato ricevuto come un rispettabile dignitario: c’è mancato solo che andasse in udienza al Quirinale. 

E però nonostante la statura del personaggio, la sua visita a Roma è buona cosa, un successo del governo e in particolare del suo ubiquo ministro Marco Minniti, ormai delegato a pieno titolo per trattare la questione libica. La quale, per dirla in poche parole, gira proprio male. Il premier scelto dalla Comunità internazionale (?) è il moderato islamista al-Sarraj che controlla soltanto, grazie al contributo di qualche fedele ma soprattutto di robusti “contractors” (una volta li avremmo definiti mercenari), il palazzo dove si è faticosamente insediato dopo un burrascoso arrivo a Tripoli. Attorno a lui un carosello di capi tribù, di questa o quella milizia fiorita dopo l’uccisione di Gheddafi, di trafficanti d’uomini restii ad interrompere il loro turpe affare. Sarraj, in un primo momento appoggiato con fervore dal nostro Paese, che in cambio ottiene il petrolio gestito dall’Eni, non può vantare nessun successo militare, semplicemente perché non ha un esercito. 

A muso brutto contro di lui sono schierati, nella parte orientale del Paese, la Cirenaica, un improbabile parlamento a Tobruk ma soprattutto l’esercito del gentiluomo che ci ha onorato ieri con la sua presenza a Roma. Lui un esercito ce l’ha, composto da 30mila uomini, con tanto di carri armati e perfino di aerei, con i quali ha combattuto contro gli ultimi baluardi dell’Is, riportando qualche successo. 

Bisogna aggiungere che alle sue spalle ci sono l’Egitto del generale al-Sisi, alcuni insondabili emirati, la Russia che l’ha voluto al Cremlino ma soprattutto la Francia del presidente Macron, che in politica estera tenta di riguadagnare la sua “grandeur”, magari insidiando l’egemonia italiana sulla Libia, riconosciuta dall’Onu e non solo. Senza alcuno scrupolo l’Eliseo tenta una mediazione fra al-Sarraj e Haftar, mentre riempie di armi e di supporto logistico quest’ultimo. Alla fine il nostro governo ha dovuto rivedere la sua strategia, accettando il dialogo con Haftar. Ma c’è da fidarsi? Francamente la sua storia lo sconsiglia. Militarmente s’è formato all’Accademia di Mosca, per poi diventare il braccio destro di Gheddafi. L’azione bellica più visibile del periodo comprende il soccorso di brigate libiche in favore dell’Egitto durante la guerra dello Yom Kippur: allora, quando sembrava che la conquista di Israele fosse a portata di mano, mandò i suoi blindati nel Sinai, da dove fu cacciato in malo modo. Non fu questo l’incidente più grave della sua carriera. 

Nel 1986, durante la ultradecennale guerra col Ciad, i reggimenti al suo comando vennero accerchiati da truppe del Ciad sostenute da commandos francesi, presi prigionieri e umiliati. Questa figuraccia mandò in bestia Gheddafi, che lo destituì e lui, per tutta risposta, dopo alcune tappe intermedie andò a finire in America, in una cittadina alla periferia di Washington dove restò per vent’anni guardandosi bene dal tornare in patria, dove il colonnello l’aveva incriminato per alto tradimento. Su questo periodo americano grava l’ombra di una collaborazione con la Cia mai provata: ottenne però la cittadinanza americana, che non viene concessa a un esule senza che abbia fatto la sua parte nella difesa di ciò che Trump sintetizza nello slogan “America first”. Ed ecco oggi questo cittadino statunitense tornare agli antichi amori con l’Unione Sovietica, eccolo pronto ad accettare il protettorato francese, nel segno di una politica di Parigi che ha sempre irritato i governi americani. Che cosa ci si possa aspettare da uno così non è chiaro o è chiaro fin troppo. Per una volta l’Italia inaugura una “realpolitik” che ignora il ghigno degli schizzinosi.

 

Attenzione però: così si comincia ma non si sa dove si va a finire. In agguato c’è un tunnel la cui unica legge è il “noblesse oblige”. 

 

http://www.huffingtonpost.it/ 

26/09/2017

 

Un "ingaggio" di alto profilo tra l'uomo forte della Cirenaica e Minniti su terrorismo e migranti 

di Maria Antonietta Calabrò

Il generale Khalifa Haftar incontra il ministro dell'Interno italiano al Viminale 

 

Alle otto di sera, l'uomo forte della Cirenaica, il comandante dell'autoproclamato esercito nazionale libico (Lna), il generale Khalifa Haftar, era ancora chiuso a colloquio al Viminale, con il ministro dell'Interno, Marco Minniti. Chiuso nel grande ufficio di Minniti. Ma quello che si sono detti, al Viminale, è circondato da grande riserbo. Non solo per l'importanza del colloquio, ma soprattutto perché "il ministero in sé e per sé non c'entra", dicono al Viminale.

 

È come se dietro le spesse mura si sia svolto il confronto tra "un signore della guerra" e quello che il New York Times ha definito "the italian Lord of spies".

In ambito diplomatico, la visita a Roma del generale viene etichettata come "tecnica" dal momento che l'Italia non riconosce il ruolo di Haftar e appoggia il governo di accordo nazionale di Tripoli guidato dal premier Fayez al Sarraj, riconosciuto dall'Onu.

Ma con il generale bisogna fare i conti (come sanno bene Francia e Germania) ed ecco allora che la visita del generale, a Roma, indica un "cambiamento dei rapporti di forza nel governo italiano", ha spiegato Mattia Toaldo, analista sulla Libia dell'European Council on Foreign Relations (Ecfr), secondo cui oggi prevale la linea del ministro dell'Interno che "ha sempre voluto un rapporto più solido con Haftar".

 

Commentando la notizia dal quotidiano panarabo edito a Londra «al Arab al Jadid», che citava fonti vicine ad Haftar, secondo cui l'Italia avrebbe voluto chiedere al generale di proteggere gli impianti di Mellitah, operati da Eni in joint-venture con la statale libica Noc, Toaldo ha commentato: "Quello che conta è che Haftar non si opponga all'intervento dell'Italia sull'immigrazione e finora questo ingaggio di alto livello tra Minniti ed Haftar è risultato nel fatto che Haftar non minaccia più di abbattere le navi italiane".

Inoltre ha osservato che le forze di Haftar in quella parte della Libia sono molto ridotte. "Negli ultimi due anni, sono state molto attente a non provocare le milizie che controllano Sabrata e quelle presenti sulla costa perche' sanno che verrebbero distrutte", ha sottolineato. Per l'analista ad Haftar "conviene mantenere quelle forze intatte come minaccia verso la conquista della capitale e non verso i terminali Eni e va detto che Eni è sempre stata in grado di proteggere in modo autonomo i suoi terminali".

 

A Roma Haftar, prima di recarsi da Minniti, ha incontrato il capo di Stato maggiore della Difesa italiano, il generale Claudio Graziano, e il ministro della Difesa, Roberta Pinotti e i vertici dell'Aise, il servizio segreto italiano per l'estero.

 

Roma e Tunisi sono diventate nelle ultime ore teatro di colloqui sulla Libia. Nella capitale del paese nordafricano, l'inviato dell'Onu per la Libia Ghassan Salamé, ha patrocinato un incontro per discutere del futuro dell'accordo politico libico. Alla presenza di esponenti della Camera dei rappresentanti di Tobruk e dell'Alto consiglio di Stato di Tripoli, Salamé ha dato il via alla prima fase del "Piano d'azione della Libia". L'iniziativa dell'Onu mira ad emendare alcuni articoli degli accordi firmati nel 2015 in Marocco e fare in modo che i parlamenti di Tobruk e Tripoli li votino. A Roma invece il tema principale sembra essere stata la gestione dell'immigrazione clandestina e della lotta al terrorismo.

Il comunicato del Ministero della Difesa italiano al termine dell'incontro è molto chiaro su questi punti. Secondo quanto riferisce la nota del dicastero, il ministro Pinotti ha ribadito il sostegno italiano alla strategia politica inclusiva dell'inviato dell'Onu Salame' per dare un ulteriore impulso al dialogo politico libico ed ha auspicato che tutte le parti possano contribuire efficacemente a tale strategia, escludendo qualsiasi soluzione militare. La responsabile della Difesa, ha ribadito che ogni iniziativa italiana di collaborazione si pone nel totale rispetto della sovranità della Libia, e in aderenza alle richieste libiche. La discussione con il generale Graziano si è incentrata invece sulle attività di contrasto effettuate dalle forze del generale Haftar contro le milizie dell'Isis presenti in Cirenaica, e sulla volontà di collaborare nella lotta al terrorismo e nel contrasto ai traffici illeciti.

 

Da parte sua il generale Haftar ha ricordato le sofferenze del popolo libico dopo sette anni di guerra e la necessita' di una rapida soluzione che assicuri stabilita' e unita' della Libia. L'esponente della Cirenaica ha ringraziato il ministro Pinotti per l'impegno italiano nel paese nord-africano riconoscendone lo spirito teso alla pacificazione della Libia. In particolare, il generale Haftar ha espresso la sua riconoscenza per la disponibilità offerta dall'Italia nel settore sanitario, prendendo in cura i casi più delicati dei feriti libici, presso le strutture ospedaliere possedute dall'Italia. "Bisogna fare presto perché il popolo libico soffre", ha dichiarato il generale.

 

La visita di Haftar - si è sottolineato in ambienti della Difesa - è a pochi giorni dal viaggio in Italia del capo di Stato maggiore della Difesa del governo di Accordo nazionale della Libia, generale Abdulrahman al Tawil, avvenuta lo scorso 23 settembre. Secondo quanto riferito da un comunicato stampa del ministero della Difesa, durante la visita, Al Tawil è stato ricevuto dal capo di Stato maggiore italiano, generale Claudio Graziano. Si è affrontato poi il tema delle attività di supporto tecnico-logistico e operativo alle unità della Marina e della Guardia Costiera libiche per il contrasto ai traffici illeciti, primo tra tutti quello di esseri umani, cercando di definire, per questa prima fase, le esigenze complessive di interventi di manutenzione e di riparazione sulla flotta libica, che, in parte, vengono già eseguiti dall'equipaggio di Nave Tremiti della Marina Militare italiana, presente nel porto di Tripoli da agosto.

 

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