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08/08/2017

 

Omicidi, suicidi, guerre: in Medio oriente una generazione perduta di bambini e giovani

Una ricerca, su dati del 2015, mostra un tasso di suicidi e omicidi “dieci volte maggiore” rispetto alle vittime dei conflitti. Per morte violenta sono decedute 1,4 milioni di persone, nelle guerre circa 144mila. In “forte aumento” i casi di malattie mentali. Ma nella regione mancano esperti in grado di curarle.

 

Le violenze in Medio oriente, non solo guerre, ma pure omicidi e suicidi, hanno creato una “generazione perduta” di bambini e giovani, privi di risorse nel presente e di speranza per il futuro. È quanto emerge da un rapporto pubblicato in questi giorni da alcuni ricercatori sul prestigioso International Journal of Public Health, che ha preso in esame le vicende di 22 nazioni della regione Mediterranea orientale, fra cui Afghanistan, Iran, Somalia, Sudan, Siria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Secondo dati riferiti al 2015 nella regione oggetto dello studio, al cui interno vivono fino a 600 milioni di persone, il tasso di suicidi e omicidi è stato di dieci volte maggiore rispetto alle vittime delle varie guerre in corso. E i maschi risultano maggiormente coinvolti rispetto alle femmine.

Prendendo in esame i dati, le morti violente hanno causato fino a 1,4 milioni di vittime. A queste si affiancano i 144mila morti nel contesto dei conflitti che infiammano il Medio oriente e le nazioni delle aree adiacenti.

Già in passato studiosi ed esperti avevano lanciato l’allarme per il futuro delle giovani generazioni della regione. Nel 2015 uno studio di un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite aveva mostrato che le guerre e violenze avevano privato 13 milioni di bambini del diritto all’istruzione e della possibilità di frequentare la scuola, spesso demolita o danneggiata. In gioco non vi è solo la questione del danno fisico provocato alle scuole, ma vi è anche la “disperazione” avvertita da una intera generazione di alunni i quali vedono le loro speranza e il loro futuro “andare in frantumi”.

Ali Mokdad, direttore del Dipartimento mediorientale all’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) dell’università di Washington, fra i principali curatori della ricerca, sottolinea che una violenza “endemica e ingestibile” ha creato una “generazione perduta” di bambini e giovani. Il futuro del Medio oriente, aggiunge lo studioso, si presenta con tinte “fosche” se non si troverà un modo per garantire “stabilità” alla regione.

I ricercatori evidenziano inoltre un “forte aumento” di casi di malattie mentali e problematiche affini, fra cui depressione, ansia, disturbi bipolari e schizofrenia nell’area del Mediterraneo orientale. “Nel 2015 - spiega il rapporto - circa 30mila persone nella regione si sono suicidate e altre 35mila sono morte per violenze interpersonali, con una crescita del 100% e del 152% rispettivamente, rispetto agli ultimi 25 anni”.

In altre parti del mondo, nello stesso periodo il numero di morti per suicidio è cresciuto del 19% e i casi di violenza interpersonale sono aumentati del 12%. Un dato ben inferiore rispetto all’area oggetto dello studio e che è fonte di preoccupazione per gli esperti del settore; a questo si aggiunge inoltre la mancanza cronica di psichiatri e psicologi rispetto al bisogno effettivo, un elemento che contribuisce a peggiorare la situazione. In nazioni come Libia, Sudan e Yemen vi sono solo 0,5 psichiatri su 100mila persone. Nelle nazioni europee il dato è di 40 su 100mila.

Vi è infine un forte aumento (pari a 10 volte tante) nel numero di morti per Aids/Hiv nel periodo 1990-2015. La maggior parte dei casi si sono verificati in Somalia e Sudan, oltre che nel Gibuti, a dimostrazione che la patologia non viene affrontata in maniera tempestiva e i malati non ricevono cure adeguate.

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09 ago 2017

 

Da rifugiate a spose bambine

di Federica Iezzi

 

In crescita esponenziale i matrimoni precoci che coinvolgono minorenni siriane fuggite dalla guerra. Dietro simili scelte, stanno povertà e miseria nei paesi di accoglienza

 

Roma, 9 agosto 2017, Nena News –

 

Il matrimonio tra adolescenti è in aumento tra i profughi siriani e le giovani ragazze rifugiate sono oggi il più pericoloso target. Sempre più spesso le famiglie rifugiate non hanno il diritto di lavorare nei paesi di accoglienza e, di fronte a situazioni economiche disperate, il matrimonio con rifugiati di lunga data, diventa una soluzione per ottenere un permesso di soggiorno e di lavoro.

Capofila nella lotta contro le ‘spose bambine’, Save the Children ha identificato Giordania e Libano come i paesi più colpiti da queste nuove pratiche. Turchia e Iraq in coda alla lista.

La storie si sovrappongono. Ragazzine che in Siria frequentavano regolarmente la scuola prima della guerra, che insanguina le strade da ormai sei anni, sono state obbligate ad abbandonare l’infanzia e a sposare cugini o parenti lontani, già parte delle comunità di rifugiati a Zaatari, a nord della Giordania, o nei 12 campi ufficiali libanesi.

Secondo uno studio del 2015 condotto dall’università francese di Saint-Joseph di Beirut, il 23% dei rifugiati siriani si è sposato. Più di un milione di siriani vivono in Libano, e più della metà di loro sono figli. In Libano non esiste una legge statale che impedisca i matrimoni tra ragazzini.

In Giordania le cifre mostrano una curva crescente nel tempo. Nel 2011 il 12% dei matrimoni registrati ha coinvolto una ragazza di meno di 18 anni. Questa cifra è salita al 18% nel 2012, al 25% nel 2013 e al 32% all’inizio del 2014. Di tutti i matrimoni registrati in Giordania nel 2013, il 13% ha coinvolto una ragazza con età inferiore ai 18 anni, cifra che è rimasta relativamente consistente nel corso degli ultimi anni. Dunque più di 9.600 giovani ragazze sono state coinvolte in matrimoni precoci.

Il matrimonio tra adolescenti è sempre esistito nelle zone rurali siriane. Il 13% delle ragazze in Siria si sposa ancora prima dei 18 anni di età. L’età legale da matrimonio in Siria è fissato a 17 anni per le ragazze e a 18 per i ragazzi. Tuttavia, i leader religiosi sono nella veste di autorizzare eccezioni.

Ma la guerra ha fatto precipitare le cose. Povertà, disuguaglianza di genere e mancanza di istruzione sono le dirette cause dei matrimoni precoci. Con le famiglie che lottano per pochi dollari al giorno, giovani donne affrontano la prospettiva del matrimonio e della maternità in età molto giovane.

Per rendere le cose ancora peggiori, molti di questi matrimoni sono a breve termine e non vengono ufficialmente registrati, lasciando le ragazze con poca protezione per loro stesse e per i loro figli. Il divorzio per una donna nei campi profughi significa vergogna, additamento e stigmatizzazione senza via d’uscita.

Secondo la recente indagine dell’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), l’iscrizione scolastica è diminuita tra le ragazze adolescenti siriane in Giordania e Libano. All’età di 9 anni, oltre il 70% delle ragazze risulta iscritta a scuola, ma già dall’età di 16 anni la percentuale cala a meno del 17%. La scolarizzazione è direttamente correlata con il fenomeno delle ‘spose bambine’, infatti le ragazze con meno istruzione sono anche le più vulnerabili ai matrimoni precoci.

Il matrimonio poi con uomini giordani o libanesi conferisce a queste ragazze il diritto di rivendicare la cittadinanza, consentendo loro di fatto di lasciare gli insediamenti dei rifugiati. È ormai pratica comune utilizzare il matrimonio per ottenere visti d’ingresso per quasi tutti i Paesi del Medio Oriente. Nena News

 

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