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12/06/2017

 

Qatar: nel Golfo, dentro le radici d’una crisi
di Lorenzo Kamel

storico del Medioriente moderno e contemporaneo.

 

In un dispaccio inviato nel 2009 dall’ufficio del Dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton veniva chiarito che “i donatori dell’Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento di gruppi terroristici sunniti nel mondo”.

Il contenuto del dispaccio fu reso pubblico nei mesi successivi da WikiLeaks. Quando Riad, che oggi accusa Doha di finanziare il terrorismo, venne a conoscenza delle circostanziate accuse mosse da Washington, la decisione di tagliare le relazioni diplomatiche tra i due Paesi non fu neanche contemplata.

Il monito
Anche il Qatar, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti erano annoverati in quel documento fra i sostenitori del jihadismo militante. Ma con la nuova Amministrazione Trump, e poco dopo la visita di quest’ultimo a Riad, l’Arabia Saudita ha deciso di “sacrificare” il Qatar per lanciare un segnale netto agli altri attori regionali: una sorta di dichiarazione di guerra a Doha per mostrare in modo chiaro a quali conseguenze vanno incontro quanti - a cominciare dalla Turchia - non si allineano al fronte anti-iraniano e osteggiano il tacito accordo che lega Israele all’Arabia Saudita e ai suoi alleati.

Il Qatar da parte sua - già impopolare al Cairo e a Riad, in particolare per il sostegno ai Fratelli Musulmani e sospettato di atteggiamenti ambigui verso Hezbollah e Hamas - ha ulteriormente irritato i vicini per alcune recenti dichiarazioni attribuite al suo emiro, Tamim ben Hamad Al Thani: dichiarazioni in pieno filone ‘fake news’, ma comunque utili a convogliare un messaggio inequivocabile anche agli ‘incerti’ - dall’Oman, al Kuwait, al Maghreb - ai quali era necessario ribadire il primato dell'asse anti-iraniano guidato dai sauditi.

Oltre l’attualità
Si tratta comunque di dinamiche in larga parte slegate dalla più stretta attualità. La polarizzazione alla quale stiamo assistendo affonda infatti le radici nella forte apprensione avvertita in anni recenti da Riad in relazione alle politiche adottate da Washington nella regione.

Il rovesciamento del regime di Saddam Hussein - con il relativo collasso del Paese che ha storicamente limitato l’influenza di Teheran - e il non intervento in Siria da parte dell’Amministrazione Obama, in particolare, sono stati considerati dai sauditi come degli indiretti assist alle strategie iraniane, a cui era necessario rispondere.

Non stupisce dunque che dallo scoppio delle rivolte del 2011 Riad abbia investito enormi risorse per opporsi all’ascesa di qualsiasi governo o partito che, nel mondo arabo e islamico, avrebbe potuto rappresentare un’alternativa credibile al ‘modello saudita’”: la decisione di appoggiare l’esercito egiziano nel golpe contro l’ex presidente islamista Mohamed Mursi rientra in quella strategia.

La chimera della “stabilità” 
Per converso, il Qatar, pur essendo una autocrazia, ha più volte espresso un cauto sostegno per i movimenti - sia pur oltranzisti - risultati vincitori da quelle che sono state le ultime elezioni democratiche tenutesi in Egitto (Fratelli Musulmani) e Palestina (Hamas), spingendosi anche a mantenere un atteggiamento conciliante con l’Iran, che, oltre a mantenere salda la sua nuova dimensione regionale, continua a tenere elezioni relativamente democratiche e dunque ad alimentare ciò che dalla prospettiva di Riad rappresenta un pericoloso precedente per la stabilità della regione.

E proprio la questione della “stabilità” rappresenta la cartina di tornasole per il futuro del Medio Oriente. Stando a dati forniti dal Dipartimento di Stato americano, il numero degli incidenti di terrorismo è aumentato del seimilacinquecento percento (6500%) dall’avvio della “guerra al terrorismo” (199 attacchi nel 2002 a fronte di 13.500 nel 2014).

È significativo rilevare che metà di questi “incidents of terrorism” è stata registrata in Iraq e Afghanistan. In molti hanno fatto notare che la “War on Terror” abbia causato un numero esponenzialmente maggiore di vittime civili rispetto al terrorismo: un dato particolarmente significativo se valutato da un’ottica intra-regionale.

 

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