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8  novembre 2017

 

L’inquietante presenza di Jared Kushner in Medio Oriente

di Rami Khouri

giornalista libanese

 

Gli Stati Uniti e molti governi arabi guardano alle enormi sfide che dovranno affrontare nella regione. Poi, semplicemente, decidono di ignorarle e di fare finta di vivere in mondi irreali dove tutto è semplice, pulito e moderno. Nei paesi arabi questa tendenza è rappresentata soprattutto da quei governi incapaci di affrontare i desolanti (e sempre più acuti) problemi di sviluppo sostenibile ed equo che si sono accumulati dopo mezzo secolo di pessime attività di governo, e tra le cui manifestazioni più drammatiche troviamo la disoccupazione giovanile, l’aumento della povertà, il peggioramento dei salari e delle disuguaglianze nel tenore di vita, la cattiva qualità dell’istruzione, gli alti livelli di lavoro nero, le crisi ambientali e il diffondersi di conflitti armati. 

 

Invece di affrontare alla radice questi gravi problemi, sempre più governi arabi escogitano progetti urbanistici fantasiosi e appariscenti per costruire nuove città, o addirittura nuove capitali, capaci di esibire tutto lo splendore della tecnologia e della modernità ecologica. L’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania e il Kuwait hanno annunciato simili progetti di costruzione di nuove megalopoli, che una volta in piedi saranno in grado di risolvere all’istante i problemi di questi paesi. A me sembra che simili iniziative mirino soprattutto a impressionare i donatori e gli investitori privati, più che ad attaccare alla radice la povertà e le difficoltà figlie della disuguaglianza di cui soffrono sempre più molti paesi arabi. 

 

Un obiettivo irrealistico
Questa capacità d’ignorare la realtà e di rifugiarsi in un nuovo e felice mondo nel quale regnano pace, sicurezza, tecnologia e modernità si sta ormai diffondendo anche nell’ambito politico e diplomatico. Non sorprende che gli Stati Uniti incoraggino attivamente simili fantasie, in cui speranza e grande innovazione dovrebbero sostituire l’ingrato compito d’individuare le radici di un conflitto politico e di affrontarlo con decisione e giustizia. 

 

La versione diplomatica di questa fuga dalla realtà del mondo arabo verso nuovi e scintillanti scenari all’insegna dell’alta tecnologia è esemplificata dalle recenti notizie, secondo cui Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Donald Trump, avrebbe di recente visitato in segreto l’Arabia Saudita per discutere alcune idee relative a un processo di pace regionale israelo-palestinese. La notizia è stata diffusa dalla rivista Politico, che ha sottolineato che si tratta della terza visita del genere compiuta da Kushner quest’anno. 

 

Kushner starebbe quindi insistendo sul tentativo di convincere l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, la Giordania e altri paesi a prendere parte a una grande trattativa di pace tra palestinesi e israeliani, che permetterebbe anche di tenere a bada l’influenza dell’Iran nella regione. Una simile collaborazione regionale risolverebbe, in questo senso, il conflitto israelo-palestinese e quello arabo-israeliano più in generale, promuovendo dei legami più forti tra Israele e molti stati arabi della regione, e creando un’alleanza unica arabo-israelo-statunitense in grado di opporsi e “far arretrare” l’influenza iraniana nella regione. 

 

Se questi obiettivi della diplomazia statunitense fossero veri, è probabilmente arrivato il momento di attribuire a Jared Kushner il titolo di “junior moron” (giovane idiota, visto che Trump era stato definito moron dal suo segretario di stato). Simili obiettivi sono infatti totalmente irrealistici e riflettono l’atteggiamento dei governi di Stati Uniti, Israele e dei paesi arabi che preferiscono sfuggire alla realtà, invece di comprenderla e affrontarne le complessità. Essi ignorano inoltre i sentimenti di centinaia di milioni di uomini e donne del mondo arabo, che hanno ripetutamente manifestato il loro sostegno ai diritti dei palestinesi e a una soluzione equa del conflitto, rifiutando di sottomettersi a una soluzione militare israeliana sostenuta dagli Stati Uniti. 

 

La soluzione per risolvere il conflitto tra palestinesi e israeliani è riaffermare il loro diritto ad avere un proprio stato

 

Non è solo moralmente sbagliato, ma anche irrealizzabile in pratica, cercare d’imporre una soluzione al conflitto israelo-palestinese che rifletta le tendenze espansionistiche della destra israeliana e sionista, la superiorità militare israeliana, e il pregiudizio filoisraeliano di Washington. Questo anche se alcuni governi arabi sembrano rassegnati ad accettare la cosa come una garanzia per la loro stessa sopravvivenza e longevità. 

 

Tom Barrack, investitore miliardario del settore immobiliare e consigliere intimo di Trump, ha dichiarato a Politico che “Jared ha sempre desiderato risolvere la questione israelo-palestinese. La chiave per farlo è l’Egitto. E le chiavi per l’Egitto sono Abu Dhabi e l’Arabia Saudita”. 

 

A dire il vero, non è esattamente così. La soluzione per risolvere il conflitto israelo-palestinese è in realtà affermare l’uguale diritto a possedere uno stato per israeliani e palestinesi: facendo rispettare tutte le relative risoluzioni dell’Onu che godono di un consenso globale, fermando l’espansione coloniale e l’occupazione sioniste, mettendo fine alla crisi dei profughi palestinesi e stabilendo la piena sicurezza d’Israele e l’accettazione da parte degli altri stati arabi e a maggioranza musulmana della sua dimensione di stato ordinario, e non predatorio, del Medio Oriente. 

 

Questo approccio arabo-israelo-statunitense arriva, per ironia della sorte, proprio cento anni dopo la dichiarazione Balfour con la quale, nel 1917, il governo britannico promise il suo sostegno alla creazione di un “focolare nazionale” ebraico, poi diventato lo stato d’Israele, in Palestina. Le grandi potenze di oggi, come nel 1917, continuano a vedere il Medio Oriente con una lente deformata, che gli permette di creare mondi inesistenti adattati alle loro necessità, invece di cercare di risolvere i problemi del mondo reale in cui viviamo.

 

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