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8 dicembre 2017

 

Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su Gerusalemme: “si rischia un’escalation di violenza”. Usa ed Ue in disaccordo

di Vanessa Tomassini 

 

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito oggi su richiesta di otto stati membri su quindici per discutere la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele dopo aver avviato le procedure per il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv in Terra Santa. La richiesta al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stata fatta da Francia, Bolivia, Egitto, Italia (presidente di turno), Senegal, Svezia, Gran Bretagna e Uruguay, tramite una lettera che inizia con “we disagree…”, ossia noi non siamo d’accordo.
L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon, ha accolto invece favorevolmente la decisione americana. “La dichiarazione del presidente Trump segna una pietra miliare per Israele, per la pace e per il mondo”, ha affermato. “L’annuncio di mercoledì ha rivelato una triste verità su alcune persone in tutto il mondo. Le persone che minacciano di accendere un’ondata di violenza”, ha continuato, aggiungendo che “questo annuncio dovrebbe servire come controllo della realtà per i palestinesi. Possono scegliere la violenza come hanno sempre fatto, oppure possono scegliere di unirsi a noi al tavolo delle trattative. Il Consiglio di Sicurezza deve inviare un chiaro messaggio che non c’è mai una scusa per la violenza. La violenza non deve mai essere usata come una minaccia”.
L’ambasciatore dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha invitato il consiglio “ad agire rapidamente” per evitare “questa situazione estremamente pericolosa, che costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale”.
“Qualsiasi decisione unilaterale che cerchi di modificare lo status di Gerusalemme potrebbe seriamente minare gli attuali sforzi di pace e potrebbe avere ripercussioni in tutta la regione”, ha dichiarato l’inviato Onu in Medio Oriente, Nikolay Mladenov, avvertendo i leader mondiali del rischio di una “violenta escalation” ed invitandoli alla saggezza.
I palestinesi hanno sottolineato che la dichiarazione del tycoon, inclusa la decisione di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, è in forte contrasto con le decisioni del Consiglio passati, compresa la risoluzione 242 approvata nel 1967, e la risoluzione 2334, approvata nel dicembre 2016. La scelta di Trump, per certi versi incomprensibile, va anche contro la risoluzione 478, approvata nel 1980, che chiedeva specificamente che le ambasciate non si trovassero a Gerusalemme. Questi testi infatti respingono la sovranità israeliana in Terra Santa, in particolare nella zona oltre il confine pre-1967.
Con la sua dichiarazione di mercoledì 6 dicembre, Trump ha bruscamente invertito decenni di politica estera americana, generando indignazione dai palestinesi e sfidando gli avvertimenti sui disordini in Medio Oriente. Le sue dichiarazioni hanno scatenato diffuse proteste che si sono svolte in tutto il mondo arabo e musulmano dopo le preghiere di mezzogiorno del venerdì, soprattutto in Turchia. Per il momento Trump sembra essersi allontanato i suoi principali partners europei, anche se al momento la situazione sembra frammentata. “È un momento difficile – ha detto l’alto rappresentante e vice presidente della Commisione Europea, Federica Mogherini, al termine dell’incontro con il ministro degli Esteri e degli Espatriati della Giordania, Ayman al-Safadi – ma, quando possiamo contare su amici e partner forti, saggi e buoni, specialmente come la Giordania, sappiamo che la possibilità di uscire da questa crisi con un orizzonte e una prospettiva che può portarci a una soluzione è lì. Questo è il motivo per cui ho suggerito ieri che non solo continueremo a lavorare all’interno del quartetto de Unione Europea, Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite, ma anche di allargarlo alla Giordania, all’Egitto, al Regno dell’Arabia Saudita ed altri partner importanti come la Norvegia, che ha sempre svolto un ruolo rilevante nel lavorare verso la soluzione a due Stati”.

 

 

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