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06 mag 2017

 

Betlemme accanto ai prigionieri in sciopero della fame

 

In piazza della Mangiatoia una tenda raccoglie ex detenuti e cittadini in solidarietà con la protesta dentro le carceri israeliane, giunta ormai al suo 20esimo giorno

 

Roma, 6 maggio 2017, Nena News 

 

Ventesimo giorno senza toccare cibo per circa 1.600 detenuti palestinesi che dal 17 aprile chiedono a Israele un trattamento più umano nelle sue carceri e la fine della pratica della detenzione amministrativa (arresto senza processo).

Nonostante il duro giro di vite delle autorità carcerarie israeliane (Ips) denunciato in questi giorni dai palestinesi, il numero di coloro che si stanno unendo alla protesta starebbe aumentando. A riferirlo è il Comitato dei media della libertà e dello sciopero della dignità. In una nota, l’ente ha fatto sapere che negli ultimi due giorni altri 26 detenuti hanno deciso di non mangiare.

Il Comitato palestinese per gli Affari dei prigionieri, intanto, continua a denunciare le violazioni che Israele starebbe commettendo nei confronti dei detenuti. Tra i vari punti, si segnalano: l’isolamento in condizioni brutali e disumane; i continui trasferimenti; le aggressioni durante i blitz compiuti nelle celle; perquisizioni mattutine e serali anche con cani di polizia; confisca del sale e dei loro affetti personali; restrizione degli ingressi dei loro avvocati e divieto di ricevere visite da parte dei familiari.

Il quotidiano israeliano Haaretz, inoltre, ha riferito ieri che le autorità carcerarie starebbero pensando di importare dottori stranieri in Israele per assistere alla nutrizione forzata dei prigionieri. L’associazione dei medici israeliani (Ima), infatti, ha più volte ribadito il suo rifiuto ad applicare tale pratica. Per il capo della Commissione palestinese per gli Affari palestinese, Issa Qaraqe, “l’alimentazione forzata è un crimine che mette in pericolo la vita dei prigionieri” che viola le leggi internazionali e la Dichiarazione di Malta del 1991 che afferma che nutrire forzatamente qualcuno non è eticamente accettabile.

Di fronte a tale scenario, i leader dello sciopero della fame hanno rilasciato un comunicato in cui affermano che “il popolo palestinese dovrebbe scatenare la sua rabbia e scontrarsi ininterrottamente con l’occupazione israeliana nelle seam zone [area della Cisgiordania che si trova dalla parte occidentale del muro dove è negato l’accesso ai palestinesi, ndr]”. La nota, diffusa dal Comitato media della Libertà e dignità dello sciopero – invita l’intero popolo palestinese a “bloccare le ambasciate israeliane in tutto il mondo, a continuare a organizzare presidi e sit-in e a radunarsi nelle tende [di solidarietà] nelle città e villaggi palestinesi”.

“Ogni tentativo di nutrire con la forza i prigionieri sarà considerato un tentativo di giustiziarli. Trasformeremo queste prigioni in campi di battaglia con i nostri corpi, armati della nostra volontà e della nostra determinazione. Facciamo affidamento sulla nostra gente, su i popoli delle nazioni islamiche e arabe e su tutte le persone libere del mondo affinché stiano al nostro fianco”.

Abbiamo visitato oggi la tenda di solidarietà allestita a Betlemme nella centrale Piazza della Mangiatoia dal Comitato per gli Affari dei prigionieri. Qui l’ex detenuto Marwan Daraghmeh ha sottolineato l’importanza della solidarietà del popolo palestinese nei confronti dei detenuti. Nena News

 

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