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22 giugno 2017 

 

L’Islam in Russia

di Francesco Manta

 

Un quadro di come la fede islamica si incastri all'interno degli scenario culturale e politico della Federazione Russa.

 

La popolazione di fede musulmana in Russia ammonta, ad oggi, a circa 15 milioni di persone, ovvero l’11% del totale di 146 milioni di russi, Crimea inclusa. La maggior parte di loro si concentrano nelle repubbliche autonome del Sud – Est della Russia europea, specialmente nelle Repubbliche di Cecenia, Inguscezia, Daghestan, Bashkortostan e Tatarstan, dove le percentuali superano spesso abbondantemente la metà della popolazione. Invero, anche Mosca oggi risulta essere largamente popolata da cittadini di fede musulmana, con circa un milione di residenti ed un altro milione e mezzo di migranti per motivi di lavoro. Una così consistente presenza di individui di fede islamica ha dunque richiesto l’apertura di un elevato numero di moschee nelle quali la fede e la cultura della religione potessero essere diffuse con un capillare controllo dello stato centrale, anche e soprattutto come forma di tutela contro le dottrine islamiste che incitano al terrorismo e alla sottomissione degli infedeli. Da quando Putin è al potere in Russia, infatti, sono state aperte ben 7500 moschee in tutto il territorio russo; una delle ultime è stata inaugurata a Mosca, nel quartiere centrale di Meschanskij, il 23 settembre del 2015, e con un’area di circa 20mila metri quadri è la più grande su territorio europeo.

Il rapporto tra la Russia e la religione islamica ha generato una relazione essenzialmente politica tra il mondo musulmano e la società del Paese. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il governo russo, ma in particolare a partire dagli anni 2000 con Putin, ha voluto restituire una maggiore dignità alla religione, dopo la clandestinità sofferta fino al 1985, anno in cui Mikhail Gorbacev ha emesso un decreto sulla libertà religiosa. Per anni il rapporto tra il governo centrale di Mosca e le periferie europee del Paese è stato molto controverso e burrascoso, avendo subito le nefaste conseguenze della guerriglia jihadistamessa in campo dai capi rivoltosi delle repubbliche cecena, daghestana ed ingusceta. La presidenza di Eltsin ha vissuto momenti di estrema difficoltà, restando per anni in balia del terrorismo in uno Stato tediato da una grave crisi economica. Per questa ragione l’approccio di Putin nei confronti del terrorismo islamico è stato sempre particolarmente aspro e violento. Nonostante gli accordi di pace sottoscritti nel 1997 tra Eltsin e Mashkhadov, la guerra è andata avanti per alcuni anni e diversi attentati, anche nelle grandi città della Russia occidentale (come la strage del teatro Dubrovka del 2003).

 

Nel 2003, con la nomina di Akhmed Kadyrov, Gran Mufti di Grozny, in qualità di presidente della Cecenia, ha permesso un cambio di direzione. Kadyrov aveva in precedenza combattuto nell’area contro l’esercito russo e aveva però incontrato successivamente la fiducia di Vladimir Putin. Akhmed Kadyrov fu però assassinato in un attentato occorso durante una cerimonia pubblica quello stesso anno, e suo figlio, Ramzan, fu inserito nel contesto politico ceceno, diventando inizialmente Primo Ministro, poi Presidente della Repubblica cecena. Il ruolo di Kadyrov in qualità di vertice dell’autorità politica in una regione che era stata molto instabile è stato fondamentale per far rientrare la minaccia terrorista nell’area, rendendo la Cecenia una repubblica relativamente sicura, sebbene si rivendichi una forte autorità da parte del Presidente, che alle volte viene indicato come responsabile di una larga parte dei crimini e degli abusi che avvengono nella regione. Essenzialmente, il governo centrale di Mosca dirime la questione religiosa interna come una faccenda di secondo piano rispetto alla laicità statale. Per la Costituzione del 1993 la Russia è uno stato laico, nel quale i propri cittadini debbano sentirsi prima cittadini russi, subordinando la propria fede religiosa ed i suoi principi al sentimento di patria. Per una sorta logica della maggioranza, durante la Presidenza Putin ha sempre privilegiato la religione ortodossa, appartenente alla stragrande maggioranza della popolazione, non sfavorendo tuttavia le minoranze presenti in tutto il paese, inclusa quella musulmana. Si prevede, tuttavia, che entro il 2050 la percentuale di musulmani nel Paese crescerà ancora, giungendo a livelli compresi tra il 30% (secondo le stime più al ribasso) e il 50% (secondo quelle più generose).

Negli ultimi mesi il problema terrorismo ha provato a riaffacciarsi in Russia, con i recenti attentati alla metropolitana di San Pietroburgo, solitamente isola felice, più europea e turistica, perciò meno soggetta a controlli. Questa apparente vulnerabilità, mostrata proprio il giorno in cui Putin era in città per un incontro con Lukashenko, ha incrinato in un certo qual modo la posizione di consenso detenuta dal Presidente russo, che negli ultimi due anni ha impiegato ingenti risorse nella lotta al terrorismo di matrice islamista combattendo al fianco di Assad contro le milizie anti-siriane e lo Stato Islamico. Durante la guerra in Siria è anche riemerso il problema del terrorismo ceceno, che ha ingrossato le fila dei foreign fighters dei ribelli anti-Assad in Medio Oriente.

 

 

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