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venerdì 7 aprile 2017

 

Miroslava Breach e gli anni di sangue del giornalismo messicano

 

Oltre 130 giornalisti ucci dal 2000 ad oggi in Messico ne fanno uno dei 5 paesi più pericolosi per l'esercizio della professione al mondo: la libertà d'espressione sotto attacco

 

La giornalista d'inchiesta messicana Miroslava Breach aveva 54 anni ed era madre di due figli. Viveva nello stato settentrionale del Chihuahua, quello di Ciudad Juárez, frontiera col New Mexico e il Texas. La mattina del 23 marzo scorso la sua auto è stata affiancata da un altro veicolo e un gruppo di sicari ha fatto fuoco contro di lei uccidendola. Era conosciuta in Messico per la sua rettitudine ed etica professionale e per aver sempre esercitato le funzioni di critica del potere che la sua professione richiede. Aveva fondato un'agenzia di stampa, la MIR, e collaborava da oltre trent'anni coi principali media messicani, specialmente con La Jornada e El Norte de Juárez. Quest'ultimo giornale ha annunciato il 2 aprile scorso la chiusura con un messaggio in prima pagina: ¡Adios! Il direttore ha spiegato in una lettera che sono stati costretti a chiudere perché il governo locale non ha saldato i debiti che aveva col quotidiano, ma soprattutto perché non ci sono più le minime condizioni di sicurezza per operare.

Perché hanno ammazzato Miroslava? Per prima cosa va detto che il Messico è da tempo tra i primi cinque paesi per pericolosità nell'esercizio della professione giornalistica: sono 131 i reporter assassinati dal 2000, uno al mese nel 2016, annus terribilis per la stampa, e sono 23 quelli desaparecidos. Solo nel mese di marzo di quest'anno ne sono stati ucci tre: Miroslava, Cecilio Pineda, che lavorava nel meridionale stato del Guerrero ed è stato freddato a colpi di pistola il 3 marzo, e Ricardo Monlui, assassinato nello stato di Veracruz il 19.

Secondo l'organizzazione Articolo 21 il 53% delle 426 aggressioni contro la stampa contabilizzate nel 2016 in Messico sono commesse da un funzionario pubblico, un amministratore, un poliziotto o un membro dell'esercito. Il resto sono imputabili alla delinquenza organizzata, a volte in combutta con i pubblici poteri, e infine da militanti di partiti politici e privati cittadini.

Ma di cosa si occupavano questi giornalisti? Prendiamo il caso di Miroslava, che è emblematico e spiega bene la situazione generale. I suoi campi d'azione sono le relazioni tra narcotraffico, criminalità organizzata e politica, i movimenti sociali e di protesta, i conflitti socioambientali e le spoliazioni ai danni delle comunità della sierra, delle montagne di Chiuhuahua, in cui bande criminali e politici corrotti obbligano le comunità a una vita d'inferno, le abituano a scorribande e razzie, e infine le forzano ad andarsene. Sono 691 i comuni che per questa ragione hanno perso popolazione dal 2010 al 2015. Il saldo occulto della cosiddetta "guerra alle droghe", condotta militarizzando i territori, è al 2015 di almeno 287mila rifugiati interni.

Per esempio Miroslava aveva pubblicato indagini sull'assessore alla sicurezza di Ciudad Juárez, che non possedeva i requisiti per occupare quell'incarico ed era poi stato rimosso. Grazie al suo lavoro la corruzione del precedente governo statale di Cesar Duarte, del Partido Revolucionario Insstitucional (PRI) a cui appartiene il presidente del Messico Enrique Peña Nieto, era stata rivelata e denunciata. Oggi Duarte è latitante, accusato di malversazione di fondi pubblici. La guerra tra bande di narcos rivali sulle montagne, i femminicidi e la relazione stretta tra narcos e comuni per la gestione degli appalti e per l'imposizione di candidati alle elezioni erano altre tematiche toccate da Miroslava. Si era anche occupata del terribile omicidio dell'ambientalista indigeno dell'etnia tarahumara Isidro Baldenegro, che aveva speso la sua vita nella difesa dei boschi e dei territori dei popoli originari.

Chihuahua e Veracruz guidano le classifiche delle aggressioni contro la libertà d'espressione. Sono 22 i giornalisti uccisi in entrambi gli stati che erano governati fino all'anno scorso da uomini del PRI: Cesar Duarte e Javier Duarte, i quali sono ad oggi latitanti. "Lingua lunga ora segui il tuo governatore", diceva il messaggio lasciato dagli assassini vicino al corpo di Miroslava. "Vi ammazzeremo tutti", dice una narcomanta, cioè un messaggio su un lenzuolo firmato dal narcos "El 80", capo di una fazione locale della banda La Línea. La Línea è il braccio armato dell'organizzazione criminale cartel de Juárez, ma al suo interno c'è stata una scissione e le faide sono aumentate.

Se da una parte una delle piste sulla morte di Miroslava riguarda il crimine organizzato, dall'altra non si può escludere la pista "politica", cioè un attacco contro il nuovo governatore che è Javier Corral, ex giornalista vicino alla vittima ed ex senatore del conservatore PAN, Partido Acción Nacional. Al netto delle prime speculazioni al riguardo da parte della stampa, la realtà che vivono giornalisti e attivisti sociali in tutto il Messico è critica dato che operano tra due fuochi che sfociano in una censura de facto e in uno svilimento dell'intera società e della democrazia: da una parte i funzionari pubblici e dall'altra la delinquenza organizzata.

Parte del mondo politico agisce anche sulle leve pubblicitarie per strangolare i media ostili e critici in un intorno di mercato dove lo Stato la fa da padrone e distribuisce fondi e spazi a piacere. I finanziamenti pubblici non sono equitati o regolati per cui regna la discrezionalità. Non sono pochi i casi di spionaggio digitale e negazione delle informazioni da parte di istituzioni e funzionari e questi abusi si vengono ad aggiungere ai casi in cui emissari dei cartelli del narcotraffico intervengono direttamente presso le redazioni per decidere cosa e come si può pubblicare.

Il meccanismo di protezione dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani del Ministero degli interni può stabilire misure cautelari come la scorta o il cambio di sede, ma è inefficace. Le tre vittime di marzo se ne erano beneficiati, a fasi alterne, durante la loro carriera e Miroslava teoricamente era sotto protezione, ma è stato inutile. La Procura speciale per i delitti contro la libertà d'espressione, dipendente dalla Procura Generale della Repubblica, mostra dal canto suo un saldo imbarazzante: su 798 casi di aggressioni investigati tra il 2010 e l'agosto 2016 solo lo 0.25% è stato risolto, cioè il tasso d'impunità è del 99,75%. Per i delitti in generale a livello nazionale l'impunità è circa del 97%, il che non lascia ben sperare.

Le pressioni interne della stampa e della società civile, così come quelle esterne possono risultare fondamentali. La Organizzazione degli Stati Americani, la sua Corte Interamericana per i Diritti Umani e l'Unione Europea possono fare molto. La UE può sospendere i trattati commerciali o fare pressioni diplomatiche sul governo messicano e sulle ambasciate. Per ora s'è fatto poco e il sangue continua a scorrere in un regime di terrore e censura.

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