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22 aprile 2017

 

Del Grande: libero subito, ma “santo” proprio no

 

La galera, specie se turca, non si augura a nessuno. Tantomeno a chi lavora nell’informazione, che è poi anche il nostro lavoro. Quindi, certo, Gabriele Del Grande deve essere liberato subito. Ma la santità – onoreficenza che sentiamo salire da ogni media mainstream nei suoi confronti – decisamente non gli si attaglia.

Lavoriamo sull’informazione anche noi, e sappiamo benissimo che è un teatro di guerra. Si combatte con la penna o la tastiera, ma non c’è quasi mai “obiettività al di sopra degli schieramenti”, né innocenza nel raccontare. Ogni rilascio di informazione è un scelta, una selezione di quanto viene messo in primo piano e quanto viene lasciato sullo sfondo, o addirittura nascosto accuratamente.

Si può fare bene o male. Si può essere attendibili anche sostenendo una delle parti in lotta, magari opposta alla nostra (spesso ci capita di pubblicare pezzi di giornali padronali, quando effettivamente forniscono un’informazione utile o indispensabile da sapere). Si può essere inattendibili, propagandisti senza pudore o vergogna, a prescindere da chi o cosa si vuole sostenere (anche dal nostro lato della barricata, insomma).

Non sappiamo perché il regime di Erdogan – membro storico della Nato, al pari dello stato italiano e dei “datori di lavoro” di Del Grande – abbia deciso di trattenere nelle proprie carceri un operatore dell’informazione a lungo “alleato” nella guerra contro Assad. In Siria, da sei anni, si va combattendo una guerra per procura che ha almeno tre schieramenti reciprocamente avversi, tanto sul piano politico che “religioso”, tanto sul piano interno che su quello geopolitico globale (Assad, petromonarchie del Golfo, curdi; o anche musulmani sciiti – insieme alle minoranze cristiane – sunniti, curdi; o anche Russia, Usa-sceicchi-Unione Europea, curdi). Schieramenti a geometria variabile, che hanno visto rovesciarsi spesso alleanze e convenienze (l’Isis e Al Qaeda prima dipinte come “ribelli siriani”, sostenute apertamente anche da Turchia e petromonarchie, più indirettamente dalll’imperialismo occidentale, che le ha nutrite di soldi, armi e foreign fighters; poi combattute a volte per finta e altre volte sul serio; la Russia prima spettatrice e poi protagonista militar-politico, prima contro le ambizioni di Erdogan e poi – dopo averne ridimensionate le pretese – freddamente favorevole a un appeasement spartitorio; ecc).

Un mondo di tripli giochi da capogiro, in cui l’amico di oggi è il problema di domani e viceversa. Le ragioni della prigionia di Del Grande sono immerse fino all’incomprensibilità in quel magma. Ma senza alcuna innocenza.

Non ci interessa ricostruire la sua carriera in questi ultimi anni. Ci limitiamo a riprendere quella proposta dal portale svizzero di informazione progressista Sinistra.ch. Ci sembra sufficiente a giustificare il titolo…

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Dalla Libia alla Siria, la strana storia di un giornalista free-lance finanziato da un miliardario

I media mainstream – italiani stanno dando grande enfasi in queste ore alla storia eroica di – Gabriele Del Grande, 35 anni, giornalista mai iscrittosi all’Ordine dei Giornalisti italiano, originario di Lucca. E’ stato fermato in Turchia nella provincia sud-orientale di Hatay, al confine con la Siria e sarà espulso dal Paese. Fonti giornalistiche occidentali affermano che Del Grande sia stato preso in consegna dalle autorità turche perché sprovvisto del necessario permesso stampa, senza il quale non puoi esercitare come giornalista. Ma, forse, c’è dell’altro…

Bisogna infatti sapere che Del Grande, che deve la sua popolarità ai flussi migratori, gestisce il blog Fortress Europe, creato nel 2006 come “osservatorio sulle vittime della frontiera”, il quale è stato finanziato nientemeno che dalla Open Society Foundation del miliardario George Soros. A confermarlo è anche la Agenzia Giornalistica Italiana (AGI) ma basterebbe navigare sul sito di Soros per scoprirlo (vedi). La Open Society Foundation è un ente che – stando anche a WikiLeaks – oltre a lucrare sull’emigrazione di massa, finanzia i partiti politici anti-russi e favorevoli all’Unione Europea, e gestisce una rete di think tank atti a influenzare l’opinione pubblica a favore del globalismo. In modo particolare Soros è ritenuto vicino ai movimenti eversivi filo-imperialisti, protagonisti ad esempio del colpo di stato fascista in Ucraina e delle cosiddette “primavere arabe” che hanno destabilizzato la Libia e la Siria facendo esplodere il dramma dei profughi.

Insomma: con questi sponsor Del Grande non è propriamente l’immagine del free-lance indipendente e idealista di cui si parla e già nel 2013 la Radiotelevisione pubblica della Svizzera Italiana gli dava ampio spazio (link).

Prima di affrontare la guerra siriana questo strano free-lance ha raccontato il conflitto libico accusando i giornalisti della sinistra anti-imperialista di raccontare il falso: fra le vittime dei suoi anatemi non solo Valentino Parlato de “Il Manifesto”, ma anche “TeleSur”, il canale Tv latinoamericano promosso dal Venezuela di Hugo Chavez, definito in sostanza come poco affidabile. Insomma: solo Del Grande sapeva quello che accadeva davvero in Libia ed era naturalmente la solita retorica mielosa di una presunta rivolta di popolo per la libertà e la democrazia, senza alcuna ingerenza neo-coloniale estera. Basta vedere cosa è la Libia oggi per capire quali interessi rappresentava in realtà questo giornalista. Ma andiamo a leggere quale era l’accusa che Del Grande rivolgeva al governo libico di – Muammer Al-Gheddafi: “l’unica forma di opposizione interna negli ultimi decenni è stata quella dell’islam politico. Represso durissimamente dalla dittatura!”. In pratica l’aver contrastato con forza il terrorismo di matrice islamista sarebbe stato …negativo!

Ma questa uscita quasi simpatetica nei confronti dell’eversione islamista non è una gaffe… in altre occasioni il nostro strano free-lance si è espresso in termini ambigui, tanto che sembra, secondo voci per ora non confermate, che il suo fermo sia avvenuto mentre tentava di entrare illegalmente in territorio siriano dalla Turchia in compagnia di miliziani jihadisti. Del Grande, in effetti, ha più volte parlato dell’aggressione ai danni della Siria come di un movimento “rivoluzionario” e ha definito i terroristi come dei “partigiani”. In un suo testo è arrivato persino a descrivere la bandiera nera delle bande armate integraliste come un “simbolo dell’internazionalismo islamista” (sic!) arrivando a spiegare che molti terroristi “sono venuti semplicemente per seguire un grande ideale di solidarietà con la comunità musulmana sunnita siriana, a cui sentono di appartenere al di là delle frontiere”. Solidarietà sì, ma per rovesciare un governo laico, instaurare un regime di terrore estremista dedito alle decapitazioni? Non mancano foto che lo ritraggono con la bandiera dei ribelli siriani, quelli armati dagli Stati Uniti, mentre fa il segno della vittoria. Anche qui: più che un reporter super partes, appare come un militante ben addentro a una dinamica di guerra.

 

“Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono” diceva Malcolm X…

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