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10 gennaio 2018

 

Non si fermano le proteste: saccheggi e arresti ovunque

di Ghazy Eddaly

 

Continuano le proteste per il caro vita in Tunisia, dove quelle che apparivano le esternazioni di piccoli gruppi si stanno trasformando di ora in ora in manifestazioni sempre più corpose che interessano diverse città del paese. Dopo che ieri si sono avuti scontri a Zouhour, nel governatorato di Kasserine, e a Tebourba, a circa 40 chilometri dalla capitale, dove è rimasto ucciso un 40enne, oggi i disordini e le manifestazioni maggiori si sono evidenziati a Beja, Testour, Sfax, Meknassi, Sidi Bouzid, Ben Arous, Kebili e Nefza. In quest’ultima città è stata data alle fiamme la caserma di polizia, mentre non è chiaro se la bottiglia molotov lanciata contro la storica sinagoga della Ghriba sull’isola di Djerba, meta di pellegrinaggio e luogo in cui è custodita una copia antichissima della Torah, sia stata lanciata da manifestanti o più probabilmente se si sia trattato di un attentato portato a termine da due uomini figgiti in moto, come rivelano sui social i manifestanti ed ora diverse fonti giornalistiche.
A Tebourba in centinaia hanno preso parte alla sepoltura del manifestante rimasto ucciso nei tafferugli, forse soffocato dai gas lacrimogeni, ma in breve la scena si è trasformata nel lancio di pietre da una parte e di gas lacrimogeni dall’altra. Fino ad ora sono 206 le persone arrestate, e da ovunque arrivano notizie di negozi saccheggiati e di vandalismi, con il premier Youssef Chahed che ha parlato di “individui che saccheggiano, rubano, sottraggono beni altrui e aggrediscono i tunisini” e che ha spiegato che “il diritto di manifestare è garantito dalla legge, ma il governo è disponibile ad ascoltare solo le rivendicazioni delle persone che protestano pacificamente”.
Il secondo partito del paese, il filo-islamico Ennahdha, ha puntato il dito contro “alcuni partiti politici anarchici di sinistra”, mentre il leader dell’opposizione Hamma Hammami del Fronte Popolare ha rigirato le accuse e ha indetto per il 14 gennaio una manifestazione per chiedere il ritiro della Legge finanziaria. Tensioni anche a Gafsa e Jelma, dove nel 2010 è partita la cosiddetta “Primavera araba”.
Primavera araba che per i molti giovani disoccupati della Tunisia non ha portato i miglioramenti promessi, con la moneta nazionale che ha perso di valore rispetto all’euro al punto che se fino a due anni fa ci volevano quasi due dinari per acquistare un euro, oggi ce ne vogliono oltre tre. Gli investimenti delle aziende straniere sono pressoché bloccati fin dalla caduta del regime di Ben Ali, gli attentati terroristici di Susa e del Bardo hanno bloccato il settore del turismo, una delle colonne dell’economia tunisina, la corruzione ha raggiunto livelli inaccettabili, la disoccupazione è in continuo aumento, il Fmi continua a chiedere il taglio del deficit; in questo quadro una nuova legge improntata sull’austerity ha di fatto imposto l’aumento dei generi di prima necessità, una mazzata per molte famiglie.
Con la Primavera araba del 2011 non c’è insomma stato quel maggior benessere che era stato promesso, per cui lo slogan che raccoglie chi protesta è “cosa stiamo aspettando?”.

 

 

 

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