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06 agosto 2018

 

Hiroshima e la bomba atomica che cambiò il mondo

di Carlo Terzano

 

Il 6 agosto 1945 tre B29 americani sganciarono la prima atomica. La città venne polverizzata e avvelenata. Le vittime furono 250 mila. Il racconto.

 

Il 6 agosto del 1945 ancora non esisteva il famoso Orologio dell'Apocalisse, immaginato dagli scienziati della rivista Bulletin of the Atomic Scientists con lo scopo di raffigurare graficamente il livello di distruzione dell'umanità perpetrato dall'uomo stesso ma, idealmente, fu proprio in quel giorno che iniziò a ticchettare. E cominciò a farlo a Hiroshima. Il mondo entrava nell'era atomica, il periodo degli attacchi nucleari, uno spettro che è continuato ad aleggiare per tutta la durata della Guerra Fredda e che, ancora oggi, fa paura. Basta pensare alle minacce e alle azioni dimostrative di Pyongyang, anche se al momento paiono rientrate. Settantatre anni fa il Giappone non immagina certo la sorte che lo attendeva. Nessuno, del resto, tranne i vertici militari statunitensi, poteva prevedere che, quel giorno estivo, un altro sole – artificiale, in grado di raggiungere milioni di gradi Celsius, avrebbe brillato sul nostro Pianeta. Hiroshima fu scelta tra altre città (Nagasaki che venne colpita tre giorni dopo, il 9 agosto, e Kokura) solo per motivi meteorologici. La mattina del 6 agosto, infatti, a Hiroshima era una bellissima giornata.

 

LA VITA RURALE DI HIROSHIMA

La vita scorreva come in qualunque altra cittadina nipponica di quegli anni: il Giappone era un Paese ancora profondamente rurale e diviso in classi sociali, imprigionato in un Medio Evo spazzato via solo alla fine del conflitto mondiale. Ogni mattina, all'alba, centinaia di contadini giungevano dalle campagne con carretti spinti a mano o trainati da muli per vendere i loro prodotti: i mercati rionali si popolavano e le strade, per lo più in terra battuta, venivano attraversate da decine di biciclette e risciò. Le auto erano ancora poche, così come i tram e i bus e non raggiungevano le periferie. Secondo le stime, all'epoca Hiroshima ospitava circa 350 mila persone. Ci vivevano anche una comunità di coreani ridotti in schiavitù e decine di soldati americani catturati nelle battaglie del Pacifico. Gli statunitensi lo sapevano, ma scelsero di sacrificare anche loro.

 

I TRE BOMBARDIERI B29 E L'EFFETTO SORPRESA

La mattina del 6 agosto il cielo sopra Hiroshima era sgombro da nubi: i giapponesi fecero dunque in tempo ad avvistare tre bombardieri B29 sopraggiungere sulla città. Uno di questi era l'Enola Gay, destinato a entrare nei libri storia. Alle 8 e 15 minuti il rombo degli aerei fu avvertito distintamente nonostante i velivoli viaggiassero all'altitudine considerevole di 9 mila metri. Nessuno, però, si preoccupò perché erano solo tre e sembravano effettuare solo un normale volo di ricognizione. Gli statunitensi evitarono la scorta dei caccia proprio per non perdere l'effetto sorpresa. Sebbene il Giappone fosse allo stremo e il governo avesse cancellato dal calendario qualunque festività, richiamando in fabbrica anche gli adolescenti, Hiroshima non aveva subito molti bombardamenti ed era ritenuta un posto sicuro in cui vivere. Inoltre, i giapponesi erano convinti che la vittoria fosse vicina: i messaggi radio fatti circolare dal Supremo Consiglio di Guerra, l'organismo che in quegli anni guidava il Paese con il pugno di ferro, erano ottimistici, bellicosi e carichi di retorica.

 

L'obiettivo era il ponte Aioi sul fiume Ota, scelto non solo perché strategico, ma anche per la sua struttura facile da individuare: vista dal cielo, ricordava la lettera “T”, dato che collegava tre sponde. Novemila metri più in alto, la bomba soprannominata Little Boy era già stata sganciata. L'ordigno precipitò per 50 secondi e non toccò mai il suolo: venne fatto esplodere a 580 metri per avere più potenza distruttiva. Il fungo atomico salì per 10 chilometri e il contraccolpo investì anche i tre velivoli cui era stato impartito l'ordine di allontanarsi velocemente.

 

IL PIKA-DON CHE POLVERIZZÒ HIROSHIMA

I sopravvissuti parlarono di pika-don, cioè di un tuono-lampo che accecava anche a chilometri di distanza. Il bagliore decretò la fine di tutti coloro che si trovavano nell'ipocentro dell'esplosione, dove la temperatura superò i 5 mila gradi. Seguì un boato senza precedenti, portato a chilometri di distanza dallo spostamento d'aria che sradicò alberi e intere strutture. La città non esisteva più: a Hiroshima restò in piedi solo la Camera di commercio, il cui scheletro è stato lasciato intatto a futura memoria delle conseguenze della bomba atomica. Il fungo atomico oscurò il cielo facendo calare su Hiroshima le tenebre. Il clima pareva impazzito. L'aria si fece irrespirabile, rovente, tossica, bruciava la trachea e i polmoni: si inalavano detriti e corpi polverizzati. Evaporando, l'acqua raggiunse il cielo assieme all'aria calda: qui si scontrò con le correnti fredde provocando temporali. Su Hiroshima si abbatté la pioggia nera radioattiva che avvelenò la terra e bruciò la pelle. Molti sopravvissuti si affannarono a bere quell'acqua nera come la pece che li corrose dall'interno.

Chi si trovava nell'ipocentro, morì immediatamente, polverizzato. Di alcune vittime resterà soltanto l'ombra proiettata dai corpi sul cemento o dai piedi sugli zoccoli. Invece, chi si trovava a un centinaio di chilometri soffrì terribilmente a causa delle temperature infernali, delle radiazioni e dello spostamento d'aria che trasformò gli oggetti in proiettili. La bomba atomica tramutò i sopravvissuti in simulacri antropomorfi simili ai calchi di Pompei, dal corpo nero, incrostato, con la pelle che si sollevava dalla carne e pendeva o colava fusa lasciando le ossa in vista. Camminavano senza meta, sotto choc. Non si rendevano conto delle proprie condizioni, chiedevano continuamente da bere perché il solo fastidio che avvertivano distintamente era un insopportabile bruciore alla gola. Poi, di colpo, si afflosciavano in massa - come marionette - e morivano. I tessuti ustionati imputridivano. Il personale medico non sapeva come curare le ferite. E le iniezioni di vitamina A si rivelarono letali. La gente marciva viva. Nei ricoveri l'aria divenne subito irrespirabile. Nei giorni successivi, il fetore attirò nugoli di mosche che deponevano le proprie uova nelle ferite.

 

LA BOMBA CAUSÒ TRA LE 240 E LE 250 MILA VITTIME

La morte atomica aveva appena iniziato a mietere vittime: nel periodo immediatamente successivo al bombardamento, le radiazioni continuarono a corrodere le carni dei superstiti. Morirono tra le 240 e le 250 mila persone, considerando chi fu poi divorato da forme tumorali anche a distanza di anni. Molti svilupparono cheloidi: escrescenze abnormi lungo le braccia, i fianchi e le cosce. Un superstite raccontò: «Ho visto l'inferno, ci ho camminato in mezzo e mi sono lasciato sfuggire l'occasione di morire». E poi la stimmate sociale: i sopravvissuti furono banditi dalla società in quanto si temeva un irrazionale contagio da radiazioni.

 

LA CENSURA USA E IL REPORTAGE LA PESTE ATOMICA

I venti radioattivi si spinsero metaforicamente al di là del Pacifico. I media americani inizialmente parlarono di un obiettivo militare, non civile. Quando la notizia dell'attacco a Hiroshima e Nagasaki, però, si diffuse, in molti negli Usa criticarono la decisione della Casa Bianca. A raccontare, una settimana dopo l'esplosione, l'orrore di Hiroshima sfuggendo alla censura del generale americano Douglas MacArthur fu il giornalista australiano Wilfred Burchett con un reportage pubblicato - a nome Peter Burchett per un errore - sul The Daily Express: «The Atomic Plague», La Peste Atomica, considerato lo scoop del secolo
(leggi qui il reportage).

Il reportage su Hiroshima di Burchett.

 

Il presidente Harry Truman fece allora leva sul «tradimento nipponico» di Pearl Harbour. Nessuno sapeva ancora che, in quegli stessi giorni, in Usa si stava prospettando l'eventualità di sganciare altre bombe su tutto l'arcipelago giapponese. Eppure

Winston Churchill, primo ministro britannico, affermò: «Sarebbe un errore supporre che il destino del Giappone fu suggellato dall'atomica: la sua sconfitta era certa prima che fosse sganciata la prima bomba». Nonostante questo, a Little Boy seguì Fat Man, a Hiroshima seguì Nagasaki. Washington doveva dimostrare di avere scorte interminabili della nuova, micidiale, arma destinata non alla capitolazione dell'Impero del Sol Levante ma a minacciare Mosca. La Seconda Guerra Mondiale non era ancora finita ma la Guerra Fredda era già iniziata.