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09/10/2018

 

In morte di un'aquila randagia

di Patrizia Cecconi

 

Il 5 ottobre a Milano è morto un uomo molto vecchio. Un uomo portato via, purtroppo, dalle leggi di natura ma il cui coraggio e la cui levatura morale non devono essere ignorati. Soprattutto non devono essere ignorati in un momento di avanzata barbarico-fascista come quello che sta caratterizzando questo periodo storico.

 

Era un prete, anzi un monsignore se vogliamo rispettare i ruoli, era monsignor Barbareschi, detto anche il prete della Resistenza. La sua vita, i suoi valori, le sue battaglie, il suo coraggio, la sua giusta e intrepida illegalità oggi più che mai vanno ricordate e prese ad esempio.

 

Monsignor Barbareschi era un falsario, infatti aveva falsificato centinaia di documenti per salvare antifascisti, ebrei ed altri perseguitati dal regime e conservava ancora con rispetto i timbri ed i macchinari che, poco più che ventenne, aveva usato per stampare centinaia di false carte d’identità nella casa materna a rischio di fucilazione e lo sapeva bene.

 

Il falsario, fondatore del giornale clandestino “Il ribelle” faceva parte del gruppo antifascista cattolico delle “Aquile randagie”, aveva militato nella Resistenza milanese come altri preti di tutto rispetto quali il poeta Davide M. Turoldo ed aveva sempre rivendicato la giustezza delle sue azioni “illegali” necessarie per salvare le vite ai perseguitati dal regime nazi-fascista.

 

Di lui si ricorda anche il coraggio fisico oltre che morale manifestato in molte occasioni alla luce del sole e non solo in clandestinità, come l’esserci inginocchiato con rispetto davanti ai cadaveri dei 15 partigiani fucilati nel “44 a piazzale Loreto dalla legione repubblichina Ettore Muti e lasciati esposti come monito per terrorizzare la popolazione. Monsignor Barbareschi ricordava nelle sue memorie che quando si rialzò scoprì che tutte le persone della piazza si erano inginocchiate dietro di lui prendendo coraggio dal suo gesto. Otto mesi dopo su quella stessa piazza vennero esposti i corpi senza vita di Mussolini, Petacci e vari gerarchi uccisi subito dopo la Liberazione.

 

Normalmente si ricorda, con lo sdegno accresciuto alla decontestualizzazione storica, la macabra scelta del 29 aprile del “45 ma mai la strage del 10 agosto del “44 quella, appunto, davanti alla quale l’allora giovane prete si inginocchiò mandando alla popolazione milanese un messaggio più forte di quello dei criminali della Muti, tanto che venne imitato da chi imitandolo sapeva quale rischio stesse correndo.

 

Non è che le sue azioni passassero proprio inosservate e questo il giovane prete lo sapeva, infatti cinque giorni dopo l’omaggio ai martiri venne arrestato dalle SS. Grazie all’influenza del cardinal Schuster dopo un po’ di tempo venne liberato e, ovviamente, riprese le sue azioni. Venne nuovamente arrestato e rinchiuso nel campo di concentramento di Bolzano. Da lì non lo avrebbe salvato nessun cardinale, ma riuscì a scappare e andò con i partigiani in Valcamonica.  Seguitò come poté a fabbricare documenti falsi, quelli con i quali si salvarono migliaia di vite.

 

Qualcuno lo avrebbe chiamato anche terrorista oltre che falsario, ma a monsignor Barbareschi la cosa non interessava più di tanto visto che ha sempre rivendicato la giustezza delle sue azioni ed oggi, con molto minor rischio ma identica determinazione del vecchio religioso, un laico è agli arresti domiciliari per aver fatto qualcosa di simile.

 

E’ normale che la mente voli in associazioni di idee e non è certo strumentale avvicinare due persone così lontane per età e contesti storici, non voglio certo dire Mimmo Lucano comeGiovanni Barbareschi,  perché il rischio della galera odierna non è certo paragonabile ai campi di concentramento, eppure qualcosa che li unisce c’è ed è riscontrabile proprio nelle parole ripetute molte volte da monsignor Barbareschi il quale ha sempre avuto molto chiaro il rischio dovuto alla perdita di valori alti, quelli che da umani si fanno politici nel senso più nobile del termine e che sono un baluardo contro quel fascismo che, come lui diceva,  “non è solo una dottrina o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere, un modo di concepire l'esistenza che è sempre in agguato, dentro e fuori di noi” e ad esso ci si deve ribellare col pensiero e con l’azione. E questo Mimmo Lucano lo ha fatto.

 

Usando una metafora monsignor Barbareschi diceva “Il faraone non è stato eliminato. Ne sono succeduti altri, ugualmente oppressori, anche se non si presentano più armati di mitra, ma padroni di mass-media. L'esperienza mi ha insegnato che la liberazione è sempre una meta da realizzare ogni giorno. Non ci sono liberatori, ma uomini che si liberano. La Resistenza fa corpo con lo stesso essere uomo. Continuando il discorso delle Beatitudini, non avrei paura ad affermare: ‘Beato colui che sa resistere’ “.

 

Ecco, era l’ultima aquila randagia monsignor Barbareschi, e mentre lui ci lasciava, l’Italia migliore, quella che sa volare oltre i “padroni dei mass-media” scendeva nelle strade per sostener il “modello Riace” e l’uomo che, per averlo creato e per aver coraggiosamente praticato illegalità a protezione di vite perseguitate, è agli arresti domiciliari.

 

“Beato colui che sa resistere” non era la benedizione del religioso, ma l’esortazione dell’aquila randagia a chi ha paura di volare, affinché superi la paura e non lasci avanzare il fascismo. Ebbene, se monsignor Barbareschi, il falsario, il prete della Resistenza, l’aquila randagia, non fosse stato portato via dalla morte, probabilmente avrebbe fatto il suo ultimo volo a Riace per stringere la mano a un altro falsario accusato di aver salvato vite in modo coraggiosamente illegale.