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28/10/18

 

Nessun Dio, nella Bibbia: come smontare l’immane raggiro

 

Vedete questa parete alle mie spalle? E’ bianca, per tutti? Se nella Bibbia c’è scritto che questa parete è rossa, io dico: “Nella Bibbia c’è scritto che questa parete è rossa”. Il che non vuol dire che io sostengo che quella parete sia rossa; dico solo: nella Bibbia c’è scritto che è rossa. Poi, tutti assieme, possiamo determinare che l’autore biblico ha preso un colossale abbaglio? Benissimo, diciamo pure che l’autore biblico ha preso un colossale abbaglio. Quindi, ciò che io vi dico non è “la verità”: è solo ciò che c’è scritto. Se io traduco “Pinocchio” per conto degli eschimesi, magari, quando avrò finito, ci sarà qualche saggio eschimese che si alza e dice: ma tu vuoi convincerci del fatto che i bambini si fanno partendo dal legno? No: io vi dico soltanto che, in quel libro, c’è scritto che quel bambino è stato fatto partendo da un pezzo di legno. Poi, tutti assieme, stabiliamo che quella è una favola? Benissimo. Quindi, io provo a raccontarvi che cosa c’è scritto nella Bibbia; se poi tutti assieme vogliamo pensare che la Bibbia racconti favole, benissimo: la Bibbia racconta favole. E’ chiaro il concetto? Quindi io non vi parlo di Dio, perché l’Antico Testamento non parla di Dio. Non parla del Dio spirituale: non c’è proprio (quella è una elaborazione teologica successiva). Non parlo di mondi spirituali, perché nell’Antico Testamento non ci sono.

 

Se l’Antico Testamento è vero, ci racconta – o prova a raccontarci – delle storie, delle cronache, dei pezzi di eventi. Se quel libro è (e vuole essere) un libro di storia, ha tutte le caratteristiche dei libri di storia, compresi quelli che si scrivono ora: cioè Raffigurazione cristiana di Dio contiene delle verità, contiene delle falsità deliberate o degli errori, contiene dimenticanze (volute o accidentali), contiene delle esagerazioni, delle sottolineature, delle iperboli – esattamente come i libri di storia. Cioè: ogni volta che uno storico scrive un libro di storia, è necessariamente condizionato dal suo pensiero, dalla cultura all’interno della quale vive. Tanto più questo avviene, quando a scrivere un libro di storia è la tradizione di un popolo, che vuole ovviamente celebrare se stesso. Non è che, in questo, gli ebrei fossero (o siano) diversi dagli altri popoli: gli stessi faraoni egizi, a volte, quando subivano una sconfitta, facevano scrivere che avevano vinto. O a volte, quando vincevano una battaglia contro una tribà di cento persone, facevano scrivere di aver vinto una grande guerra. Quindi, questo è assolutamente normale: gli autori biblici non sono diversi dagli altri.

 

Un’egittologa mi ha parlato di un libro pubblicato negli Stati Uniti da dei rabbini, che sono molto più “feroci” di me, nei confronti della Bibbia. Se quello che dico io potrà apparire strano o per alcuni stravolgente, sappiate che la maggior parte delle conferme formali mi arrivano proprio dal mondo ebraico. Mi scrivono: vai avanti, perché è giusto che la gente cominci a sapere certe cose. E sappiate che dal mondo ebraico arrivano cose molto più dure di quelle che sentirete da me. Giusto per mettere una cornice culturale ebraica alle cose che sto per dire, vi cito una studiosa ebrea, che dopo aver letto i miei libri mi ha mandato il suo, che si intitola “L’Esodo”. Scrive: «Tutto ciò che non è scienza – cioè religione, metafisica, ermetismo, esoterismo, Cabala, magia, e via dicendo – tenta da sempre di capire, prevedere, interpretare gli occulti disegni di Dio. Ma non c’è niente da capire, perché non esiste alcun disegno né alcun fine». E, più avanti: «Non facciamoci idee sbagliate: non c’era nessuna alta meta spirituale da raggiungere, nella Bibbia». E ancora: «Ciò non giustifica, tuttavia, l’immane raggiro perpetrato nei confronti di tutte le anime candide, a cui tuttora si continua a far credere che nella Bibbia si parli di purezza spirituale che conduce alla santità dell’anima. Qualcuno vuole dirlo, una buona volta, che “purità” e “purificazione” indicano semplicemente una normale pulizia del corpo?».

 

Così l’autrice ebrea. Quindi procediamo su questa strada. Io ho tradotto libri della Bibbia, per dieci anni, per conto delle Edizioni San Paolo. Ho tradotto sulla Bibbia Stutgartense, cioè il Codice Masoretico di Leningrado, che è il codice biblico universalmente accettato: quello da cui derivano tutte le Bibbie che abbiamo in casa. Questo codice è stato elaborato tra il VI e il IX secolo dopo Cristo, quindi non è un codice che ha millenni. Lo hanno elaborato i Masoreti, cioè i “custodi della tradizione”: ebrei che hanno preso i codici antichi e, a un certo punto, hanno deciso che, sulla Bibbia, più nessuno doveva mettere mano. Fino a quel momento, infatti, chiunque avesse avuto in mano quei codici faceva quel che voleva: aggiungeva, tagliava, modificava. La scuola dei Masoreti, che ha definito questo codice, si chiama Scuola di Tiberiade. Ed era in contrasto con altre scuole: la Scuola Babilonese, la Scuola Samaritana, la Scuola Palestinese. E, diciamo, hanno “vinto” loro, i Masoreti, nel senso che il loro codice è diventato quello universalmente accettato, per le religioni ufficiali. Ma, per esempio, il Pentateuco Samaritano (Pentateuco: i primi 5 libri dell’Antico Testamento) rispetto al Codice di Leningrado contiene 2.000 varianti. Duemila: da varianti molto semplici – singole lettere, parole – a varianti anche abbastanza importanti.

 

Questo per dire che la Bibbia che possediamo noi è solo una delle Bibbie possibili. Se avessero vinto altre scuole, avremmo altre Bibbie. Se, ad esempio, avesse vinto il pensiero degli ebrei della colonia egiziana di Elefantina, noi avremmo una Bibbia che parla di Yahvè e della sua compagna, che conoscevano, e chiamavano Anàt Yahù. Se si fosse imposto il pensiero degli ebrei che esercitavano l’azione profetica tra il Sinai e il Neghev, nel “monastero” di Kuntillak Shrut, anche lì avremmo una Bibbia che ci parla di Yahvè e della sua “Ahsheràh”, cioè della sua compagna. Ci sono tutte le iscrizioni: questi conoscevano lui e la sua femmina. Questo per ribadire che noi possediamo solo una delle Bibbie possibili. Io lavoro su quella, perché è quella ufficiale – quella da loro definita e accettata. Cosa si intende per “definire”? S’intende questo: i codici erano scritti con una successione ininterrotta di consonanti (nelle lingue semitiche infatti le vocali non ci sono, o comunque non vengono scritte). All’interno di questa successione di consonanti bisognava innanzitutto identificare la parole, dividendole una dall’altra, e poi bisognava attribuire i suoni delle vocali per dare significato a quelle parole.

 

Questo è il lavoro che hanno fatto i Masoreti. Quindi io lavoro su quel codice lì, fatto da loro, senza cambiare nulla. Se invece uno lavora sui codici antecedenti alla vocalizzazione, allora può ricavare altri significati, rispetto ai quali ciò che dico io non è più nulla. Quando parliamo della Bibbia, quindi, dovremmo avere tutti l’umiltà di dire, innanzitutto, che “sappiamo di non sapere”: lo dovrebbero dire i teologi, i cabalisti, gli esoteristi – insomma, tutti quelli che dalla Bibbia ricavano verità assolute. Se dalla Bibbia possiamo ricavare qualcosa è un tentativo di ricostruire delle ipotesi di vicende, di cronache. E se vogliamo ricavare qualcosa, possiamo soprattutto dare credito a quelle parti che trovano conferme in racconti di altri popoli. Come dire: se la stessa cosa la raccontano in tanti, possiamo ipotizzare che abbia un fondamento di verità.

 

Facciamo un esempio: scrivo 4 consonanti. Supponiamo di averne altre, accanto (nella Torah, cioè nei primi 5 libri dell’Antico Testamento, ce ne sono 320.000). Mettiamo che io sia uno dei Masoreti e decida di dividere la parola fra la terza e la quarta consonante. In questo modo ottengo: “Sfr”. Se inserisco due A sotto le prime due lettere (le vocali, in lingua semitica, sono puntini e lineette), la parola diventa Safàr, un verbo, che vuol dire “scrivere”. Se metto due punti sotto la S e tre sotto la F, la parola diventa Sefèr (libro, lettura, documento, pergamena). Se aggiungo un puntino sopra la S e due sotto la F, diventa Sofèr (scrittore, segretario, scriba). Se invece di dividere la parola fra la terza e la quarta lettera, se cioè non considero più la quarta lettera come l’articolo della parola successiva, e metto un puntino sotto la prima lettera più una A sotto la terza, la parola diventa Sifrà (cifra, numero). Se invece lascio tutto invariato, aggiungendo un puntino all’interno della quarta lettera, continuo a leggere Sifrà, ma invece di “cifra” vuol dire “libro di lei”. Avete capito, adesso, che cosa significa inserire i suoni vocalici alle parole e attribuire ad esse un significato? Questo è il lavoro che hanno fatto i Masoreti. E, come dicono gli studiosi accademici, questo lavoro non è stato fatto su base linguistica, ma su base ideologica teologica, cioè: hanno calato nel testo quel significato ideologico e teologico che loro avevano in testa.

 

Potevano fare cose diverse, i Masoreti, ma tant’è: le Bibbie che abbiamo in casa dipendono dalla loro. Per esempio, prendiamo il Tetragramma “Yhwh” (Yahvè, che è – diciamo – il nome ufficiale di Dio). E’ quello che i Testimoni di Geova chiamano, appunto, “Geova”. Si sbagliano? Niente affatto: è giusto anche quello, perché Yahvè nella Bibbia è vocalizzato anche come Yehowà (Geova), e – a seconda di certe posizioni in cui si trova – anche come Yihwì. Quindi non c’è una lettura giusta e una sbagliata: sono tutte giuste. Anche perché nessuno al mondo sa (e probabilmente nessuno al mondo saprà mai) com’era vocalizzata la Bibbia quando è stata scritta. Noi infatti abbiamo le vocali immesse dai Masoreti fino al IX secolo dopo Cristo: hanno finito il lavoro quando si stava instaurando il Sacro Romano Impero di Carlomagno, tanto per avere un parallelismo storico. Quindi non parliamo di un lavoro con significati che arrivano da millenni, ma da secoli a noi molto vicini. Nessuno sa, dunque, come fosse vocalizzato il Tetragramma “Yhwh” qundo fu pronunciato. Non solo: quando fu pronunciato per la prima volta, e anche la seconda, la lingua ebraica non esisteva neppure. E quindi in che lingua è stato pronunciato, questo suono, che poi molti secoli dopo è stato scritto così (Yhwh) senza le vocali? Nessuno lo sa. Nessun accademico.

 

Io seguo gli studi del Dipartimento di Filologia dell’università La Sapienza di Roma: neppure loro sanno come fosse pronunciata, e in che lingua, l’espressione “Yhwh”. La Bibbia dice che quel suono è stato pronunciato, per la prima volta, al tempo di un nipote di Adamo. Conosciamo la storia di Adamo ed Eva: Caino uccide Abele, Adamo ed Eva hanno un altro figlio che si chiama Seth, il quale ha un figlio che si chiama Enoch. E dice la Bibbia che, al tempo di Enoch, si cominciò a invocare quel nome, “Yhwh”. Che lingua parlavano, al tempo di Enoch? Non lo sappiamo. E quando ricompare, il nome “Yhwh”? Al tempo di Mosè, quando Mosè porta fuori dall’Egitto ufficialmente “gli ebrei”, ma in realtà un insieme di genti: con lui è uscito di tutto, c’è chi li chiama “quella schiatta di senzaterra”. Fuori dall’Egitto, Mosè ha portato un’accozzaglia di gente che poi, con grande fatica, ha trasformato in un popolo (per conto di Yahvè). Erano in Egitto da alcuni secoli: che lingua parlavano? L’ebraico non esisteva. La lingua semitica diffusa in quel momento era l’amorreo. Quindi, se proprio vogliamo pensare che la gente di Mosè parlasse una lingua semitica, parlava l’amorreo. Ma dato che erano in Egitto da alcuni secoli e lavoravano per gli egiziani, la cosa più ovvia è concludere che parlassero l’egiziano.

 

 Quindi, così è successo quando Yahvè ha detto a Mosè il suo nome – cioè quando Mosè gliel’ha chiesto, in uno dei tanti incontri che avevano sulla montagna? Yahvè ha pronunciato un suono che, alcuni secoli dopo (quando la lingua ebraica si è formata, come derivazione di un dialetto sud-fenicio) è stato scritto con le consonanti “Yhwh”. Ma all’epoca, in che lingua Yahvè ha pronunciato il suo nome davanti a Mosè? Chi lo sa. Diciamo l’egiziano, visto che Mosè e i suoi parlavano l’egiziano? Di sicuro non l’ebraico, che ancora non esisteva. Se vogliamo porre la vicenda di Mosè intorno al XIV secolo avanti Cristo (ipoteticamente, perché non ci sono certezze), sappiamo che in quel periodo si stava cominciando a formare l’aramaico, che poi avrebbe sostituito l’amorreo, fino a diventare “l’inglese del tempo”. Ma ripeto, l’ebraico non c’era. Quindi, sappiamo di non sapere – sempre supponendo che “Yhwh” sia veramente un nome, perché potrebbe anche non esserlo. Ma supponiamo che Yahvè sia un nome, tanto per semplificare: non sappiamo in che lingua sia stato pronunciato, né come fosse vocalizzato all’inizio. Sappiamo di non sapere.

 

Nella Bibbia ci sono dei nomi che ricorrono. Abbiamo El e Elohim. Ufficialmente, El è il singolare e Elohim il suo plurale. Nella teologia e nella tradizione, Elohim (che è un termine plurale) viene sempre tradotto come “Dio”, in alternativa o in parallelo a “Yhwh”, tant’è che spesso è scritto “Yahvè-ha-Elohim” (Yahvè l’Elohim, perché El viene usato anche come articolo). In realtà Elohim potrebbe non essere neppure il plurale di El, ma una forma ugualmente primitiva. In ogni caso, il significato esatto di queste parole – El e Elohim – nessuno lo conosce. Tradizionalmente viene tradotto come “Dio”, poi anche come “Quelli dell’Alto”, “Gli Splendenti”, eccetera – tanto, nessuno sa che cosa significhi, veramente. L’espressione corrisponde con quelle delle lingue semitiche orientali, dove la parola Elohim è resa con Ylu o Ylanu, che a loro volta dipendono dal sumero-accadico Anunna o Anunnaki (il cui significato esatto, di nuovo, non si conosce). Sicché, lui – “Yhwh” – è uno degli Elohim, che sono un gruppo di individui. Nella Bibbia, gli Elohim non sono né entità spirituali, né entità onniscienti, né entità onnipotenti. Sono un gruppo di individui molto potenti, dotati sicuramente di conoscenze molto superiori rispetto a quelle dei popoli sui quali governavano. Ma nella Bibbia c’è scritto che questi Elohim muoiono, come gli uomini.

 

Nei miei libri riporto sempre i relativi versetti ebraici, proprio perché – non possedendo alcuna verità – voglio che tutti abbiano la possibilità di verificare ciò che dico, e quindi anche di contestarlo. Quindi riporto i versetti ebraici, con sotto la traduzione letterale. E in un passo della Bibbia c’è scritto che loro, gli Elohim, muoiono “come tutti gli Adàm” (e gli Adàm siamo noi). Dunque, per la Bibbia, quello degli Elohim è un gruppo diverso da noi, molto più potente di noi, dotato sicuramente di conoscenze superiori alle nostre ed estremamente più longevo: gli Elohim vivono molto più a lungo di noi, però poi muoiono anche loro, come noi. La Bibbia infatti non parla del Dio spirituale: non c’è proprio, in quelle pagine. Quel signore, “Yhwh”, non si è mai presentato come creatore di universi, tantomeno come creatore di terre e di uomini. Mai. Siamo noi, qui, ad averlo detto. Lui, invece, sapeva bene di essere solo uno di quelli. E lo dice continuamente. Attenzione: queste cose le trovate nelle vostre Bibbie; non c’è bisogno di una traduzione particolare, è sufficiente leggerle attentamente. Lui, dunque, sapeva molto bene di essere uno dei tanti (e temeva la “concorrenza” dei “colleghi”, ndr). Infatti diceva: o seguite me, o vi ammazzo. E l’autrice ebrea di cui prima ho citato il libro, “L’Esodo”, ha fatto il conto dei seguaci di Yahvè che non hanno eseguito i suoi ordini: lui ne ha uccisi 40.000.

 


Mauro Biglino, estratto dalla conferenza ripresa da “Nuova Civiltà, Laboratorio Culturale”, pubblicata su YouTube il 21 marzo 2018.

 

Oppure: https://www.youtube.com/watch?v=a-Ezi_F3ng8&list=PLKpZVIKP4Q_nFUHGofUPnCN0ip0VnX8Kn