Fonte: Il Secolo d'Italia

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06/05/2018

 

Marx due secoli dopo

di Annalisa Terranova

 

Karl Marx nasceva duecento anni fa, il 5 maggio 1818, a Treviri. Se la politica italiana non fosse interamente assorbita dalle polemiche sui social, questo bicentenario avrebbe potuto fornire occasione utile per una “riscoperta”. Ma riscoprire cosa, esattamente? Bè, il Marx depurato dalle interpretazioni che condussero al totalitarismo comunista. Il Marx che mette al centro del suo pensiero lo sfruttamento del lavoro e che ci obbliga a pensare al capitalismo anche come problema e non solo come unica prospettiva della storia. Un compito che dovrebbe spettare alla sinistra, se la sinistra non avesse spostato il suo asse ideologico sulla difesa dei diritti delle minoranze dimenticando il disagio delle maggioranze. Potrebbe provarci allora la destra e non sarebbe operazione così eretica come a prima vista potrebbe sembrare: da Marx infatti partì anche Giovanni Gentile, pubblicando nel 1899 il libro La filosofia di Marx, apprezzato da Lenin, cui si deve l’interpretazione del filosofo di Treviri come “filosofo della prassi”.

 

La storiografia marxista
Ma non basta: nell’ormai lontano 1992 fece scalpore l’affermazione di Rosario Villari, uno dei protagonisti della cultura comunista del dopoguerra, secondo il quale la storiografia marxista in Italia è stata poco più di un’etichetta mentre furono storici e pensatori non comunisti come Benedetto Croce e Gioacchino Volpe a utilizzare al meglio Marx. In particolare Volpe  si attenne nei suoi studi alla regola di non separare la storia politica dalla storia sociale. Esiste allora un Marx nascosto, trascurato, diverso da quello solitamente accostato a una vulgata politica usurata, che è quello più utile oggi per capire i problemi del presente. Su questo punto insisteva non a caso in un libro apparso un anno fa Bruno Pinchard, parlando di un “Marx a rovescio” (Marx a rovescio, Mimesis).

 

Il Marx nascosto di Pinchard
Ma con quale approccio ci si può accostare a Marx? Egli è certamente il «seduttore dei giorni di crisi»: è il primo stadio che ci conduce a vedere nel Capitale il libro che denuncia i vizi del sistema che sentiamo come ostile o oppressore. Ma c’è anche il Marx incardinato nella storia del pensiero filosofico occidentale. Non un filosofo che rompe con chi lo ha preceduto, ma un pensatore che integra e trasforma le filosofie anteriori al Capitale. Marx è aristotelico per quanto concerne l’idea di praxis, è colui che più di altri sfida e supera Hegel, è anche colui che riprende da Vico l’imperativo di guardare al vero come fatto storico e non come fatto contemplativo. Ancora «in relazione all’oro e alla moneta, al feticismo della merce e all’impersonalità del capitale, Marx ritrova quelle prospettive eredi delle forme simboliche che guidano Shakespeare o Rabelais quando si tratta dell’oro». Ecco allora che secondo Pinchard «tutte le sfere della fantasmagoria dell’Occidente sono coinvolte in una lettura matura di Marx». Persino i grandi del Rinascimento affiorano tra quelle pagine: «Seguendo l’esempio di Leonardo da Vinci che dipinge vortici e disegna rocce per trovare la legge del mondo, Marx predice la morfologia degli scambi sociali nella vita della materia».

 

La forza rivoluzionaria del Capitale
Se ci fermassimo a questo, resteremmo in ogni caso lontani dalla comprensione della forza rivoluzionaria di un’opera come Il Capitale. Ciò che la caratterizza, infatti, è la sua capacità di pensare il capitale come struttura totale, come sostanza che non ha altra causa e altro fine al di fuori di se stessa e che per queste sue peculiarità appare come il nuovo Dio dell’Occidente, al punto che Pinchard può parlare del libro come di un libro teologico e mitologico – oltre la dimensione della scienza economica – che per importanza sostituisce la Bibbia, che diviene di fatto la Bibbia del proletariato, e che non è privo di un’atmosfera mistica nel momento in cui Marx ci fa balenare dinanzi la prospettiva della catastrofe.

Marx come fondamento del comunitarismo

 

Di Marx come autore indispensabile dinanzi all’attuale forza regressiva del capitalismo, sul piano della distruzione ambientale e su quello dell’insoddisfazione dei bisogni, aveva già parlato Costanzo Preve, proponendone un recupero come pensatore capace di fondare un comunitarismo alternativo all’attuale individualismo atomistico. Secondo Preve, dunque, con Marx era possibile tornare a dare senso alle relazioni tra gli uomini. Di certo la ricchezza della sua opera si presta non solo a molteplici interpretazioni, ma anche a molteplici utilizzi, purché non si sfruttino ancora una volta le sue intuizioni per imbellettare ideologie già sconfitte dalla storia e ormai improponibili.

 

Sono dunque le pagine marxiane, più che quelle marxiste, a tornare utili per ennesime prese di coscienza dinanzi ad un’attualità che sfugge ad ogni tentativo di sistematizzazione.  Presa di coscienza, allora, che è anche cammino verso una nuova identità, come singoli e come insieme di uomini e donne. Conoscenza, identità, consapevolezza. Non al servizio di un astratto classismo ma al servizio delle persone. Non potrebbe esserci riscatto migliore per un filosofo lordato dalla bruttezza del totalitarismo comunista.