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15-11-2018

I Medici per l'Ambiente: «O si cambia o si soccombe»

Compatti nello stigmatizzare un "sistema" che non solo fa acqua da tutte le parti ma che si ostina anche a volersi autoperpetrare per non ledere interessi acquisiti. Ma così non si può andare avanti, lo rimarcano i medici dell'associazione Isde che hanno diffuso un documento chiarissimo, il cui senso è: «O si cambia o si soccombe».

 

L’ultimo report dell’Intergovernative Panel of Climate Change ha ribadito la necessità di contenere il riscaldamento globale entro 1.5°C rispetto ai valori pre-industriali e che restano solo pochi decenni per raggiungere questo obiettivo, chiedendo l’applicazione di misure rapide, inedite e di ampia portata.

Gli eventi meteorici estremi ai quali ormai continuamente assistiamo e che comportano danni, vittime e costi rilevanti, sono una spia del rapido evolversi della situazione, ma anche della mancata capacità di resilienza del sistema attuale e dell’inefficienza in termini di misure di prevenzione primaria.

«È ormai ampiamente noto alla comunità scientifica internazionale che i cambiamenti climatici hanno numerose e ampie conseguenze sulla salute umana e che stiamo registrando un incremento continuo dei rischi e dei danni sanitari - spiegano i medici di Isde - Ma si continua a ignorare tutto questo, alimentando disuguaglianze e iniquità con decisioni che procedono in direzione contraria agli impegni internazionali ed al nostro stesso diritto di sopravvivenza, nonostante misure alternative possano comportare sviluppo sostenibile ed un ampio contenimento dei costi diretti e indiretti generati dalle modificazioni climatiche e dell’inquinamento ad esse associato».

L'associazione Medici per l'Ambiente - Isde nel Position Paper diffuso ufficialmente analizza anche gli scenari che abbiamo di fronte:

- Si stima che le attività umane abbiano già causato un incremento pari a circa 1.0°C del riscaldamento globale rispetto ai livelli pre-industriali (range di variabilità compreso tra 0.8°C e 1.2°C) e che si raggiugerà un incremento pari a 1.5°C tra il 2030 e il 2050 se dovesse continuare la tendenza attuale.

- L’incremento della temperatura globale causato dalle emissioni antropogeniche a partire dall’era pre-industriale persisterà per secoli o millenni e continuerà a generare effetti ulteriori a lungo termine nel sistema climatico (ad esempio aumento del livello dei mari) e relative conseguenze, ma queste emissioni da sole non sembrano in grado di generare un ulteriore incremento di 1.5°C.

- I rischi derivanti dai cambiamenti climatici (ad es. incremento della temperatura media delle terre e degli oceani, ondate di calore in aree densamente urbanizzate, eventi meteorologici estremi, siccità) saranno alti in caso di incremento pari a 1.5°C rispetto al presente, ancora maggiori per un incremento pari a 2°C, anche se in maniera variabile a seconda della localizzazione geografica, del livello locale di vulnerabilità e dell’adozione di misure di mitigazione e di misure finalizzate all’incremento della resilienza.

Il livello dei mari aumenterà, entro il 2100, di circa 0.1 metri in meno per un incremento di temperatura entro 1.5°C, rispetto a 2°C. L’incremento futuro del livello dei mari dipenderà dall’entità delle future emissioni clima-alteranti. Lo scenario più favorevole garantirà migliori possibilità di adattamento a comunità e ecosistemi localizzati in piccole isole, aree costiere e delta dei fiumi.

- Si attende un ulteriore incremento di temperatura e acidità degli oceani e la riduzione dei livelli marini di ossigeno, con effetti sulla biodiversità marina, sulla pesca e sugli ecosistemi, con rilevanti implicazioni in merito alle conseguenze di tutto questo sulle necessità umane.

- Aumenteranno i rischi per la salute umana, per la sicurezza alimentare, per la disponibilità di acqua.

- Per contenere il riscaldamento globale entro 1.5°C, le emissioni antropogeniche di CO2 dovranno azzerarsi entro il 2050, con una riduzione di almeno il 45% rispetto ai valori del 2010 già entro il 2030. Questo richiede azioni rapide, inedite e di vasta portata che comportino una riduzione delle emissioni antropogeniche in tutti i settori, opere di mitigazione, miglioramento delle possibilità di resilienza, strumenti legislativi, progresso tecnologico, modificazioni dei comportamenti individuali e un incremento degli investimenti necessari a raggiungere questi obiettivi.

«Le previsioni consentono di affermare che anche nelle ipotesi più favorevoli ci saranno rilevanti impatti ambientali, sanitari ed economici - spiegano i medici di Isde - Per questo è necessario che i governi assumano decisioni radicali e coraggiose, coscienti che il modello economico consumista, di mercificazione e privatizzazione delle risorse naturali dominante nel pianeta non è sostenibile e prevede dei costi maggiori rispetto ai risparmi possibili con una decisa variazione di tendenza».

Isde aggiunge poi nel suo documento: «Poiché la maggior parte delle emissioni proviene dalla combustione di fonti energetiche non rinnovabili (soprattutto fossili), se vogliamo contrastare i cambiamenti climatici dovremo trasformare il nostro intero sistema energetico e fermare ovunque le estrazioni e l’uso dei combustibili fossili, o almeno di quelli a maggiore potere inquinante e clima-alterante. Le fonti rinnovabili sono già una realtà in grado di sostituire – grazie anche al ricorso a tecniche di miglioramento dell’efficienza energetica - tali combustibili».

«Per quanto riguarda le politiche agricole, facciamo nostre le richieste di Via Campesina, che riportiamo: “Noi di Via Campesina dichiariamo ancora una volta che la Sovranità Alimentare – basata sull' agroecologia contadina, le conoscenze tradizionali, la selezione, il salvataggio e la condivisione di semi adottivi locali, e il controllo sulle nostre terre, la biodiversità, le acque, e territori - è la vera, valida , e giusta soluzione a una crisi climatica globale causato in gran parte dalle multinazionali. Per implementare la Sovranità Alimentare, però, abbiamo bisogno di un cambiamento di vasta portata, di riforme agrarie globali, di appalti pubblici per la produzione contadina, e della fine dei distruttivi Trattati di libero Commercio promossi dalle multinazionali. In breve, abbiamo bisogno di giustizia - sociale, economica, politica, e di giustizia climatica"».

E ancora: «Chiediamo ai governi a dare priorità ai bisogni delle persone sugli interessi corporativi e di accettare soluzioni climatiche reali - inclusi i sistemi contadini di produzione alimentari, che raffreddano il pianeta . Le soluzioni delle multinazionali sono false soluzioni, e non risolveranno la crisi climatica. Le nostre sono soluzioni reali, e dovrebbero avere la priorità da parte delle Nazioni Unite”».

Ecco cosa chiede e/o auspica Isde:

- Il settore della produzione e distribuzione di energia ha il più ampio potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra, che dovrebbero essere completamente eliminate entro il 2050 grazie all’abbandono dei combustibili fossili, al ricorso alle energie rinnovabili e alle “smart grids”.

- Il settore dei trasporti dovrebbe essere orientato verso scelte di mobilità elettrica e, nel caso di veicoli pesanti (ad es. traffico aereo), verso l’utilizzo di biocarburanti prodotti con limitate e misurate finalità, evitando speculazioni. È infatti strategico subordinare tali scelte a programmi di mobilità sostenibile orientati alle effettive necessità delle Comunità

- Il consumo di suolo è una delle principali cause del cambiamento climatico, è necessario, pertanto, promulgare una norma che blocchi immediatamente questa tendenza, che ha raggiunto livelli insostenibili in Italia, e che ancora oggi riguarda sponde di fiumi e laghi, aree protette, coste, aree elevato rischio sismico, rischio di frane e rischio idraulico, andando ad aggravare gli effetti degli eventi climatici estremi sulle popolazioni.

- Le città oggi nel mondo sono responsabili di più del 60% consumo energetico globale e del 70% delle emissioni di gas serra. In Europa il solo settore residenziale è responsabile del 42% del consumo energetico totale e rappresenta la principale fonte emissiva di CO2 (32% trasporti e 24% industria), oltre a produrre ¼ di tutti i rifiuti e consumare il 50% di tutti i materiali estratti. In Italia gli edifici sono tra i più energivori in Europa. All’interno degli ambienti urbani è necessario incentivare la riqualificazione/demolizione/ricostruzione degli edifici in bioedilizia; adottare regolamenti che indirizzino verso caratteristiche di autosufficienza energetica, recupero dell’acqua, comfort etc.; istituire incentivi per i condomini che attivano pratiche di riduzione dei consumi. Gli edifici dovrebbero essere costruiti o ristrutturati con tecniche e materiali in grado di ridurre il fabbisogno energetico e utilizzare, se necessario, fonti energetiche rinnovabili locali, abbandonando le fonti fossili.

Negli edifici pubblici occorre affrontare il tema degli sprechi e vincolare gli appalti pubblici a requisiti di sostenibilità. Analizzare in tutti gli edifici pubblici gli sprechi energetici, di acqua e di rifiuti e porvi rimedio. Prevedere l’obbligatorietà dei piani di mobilità per i dipendenti e favorire il tele-lavoro.

- Gli insediamenti industriali a più elevata richiesta energetica (ad es. acciaierie, cementifici) dovrebbero ridurre drasticamente le emissioni entro il 2050 attraverso l’utilizzo di fonti energetiche più pulite, il miglioramento dell’efficienza energetica e l’impiego di tecnologie per la cattura e l’immagazzinamento della CO2.

L’agricoltura deve abbandonare l’uso dei fertilizzanti chimici, deve essere utilizzata come strumento di tutela dell’ambiente, della salubrità degli alimenti e della biodiversità e deve contribuire alla cattura di CO2 nei suoli e nelle foreste. È anche necessario modificare le abitudini alimentari preferendo il consumo di vegetali e riducendo quello di carne.

La tutela e l’incremento del patrimonio boschivo devono essere garantite, evitando distorsioni speculative a fini energetici dell’impiego delle biomasse di origine vegetale.

La sicurezza della catena alimentare e delle risorse idriche deve diventare un obiettivo prioritario per tutti, anche prevenendo contaminazioni tossiche di suolo e falde acquifere e mettendo in atto adeguate misure di monitoraggio e bonifica dei siti inquinati.

- È urgente favorire una rapida transizione verso una riduzione degli sprechi e della produzione di rifiuti, verso il riciclo e il recupero di materia (economia circolare), anche sostendendo la ricerca in questo settore.

- I Paesi economicamente più avanzati dovrebbero investire risorse per ridurre l’impatto delle modificazioni climatiche sulla salute e il benessere non solo delle proprie popolazioni ma anche di quelle che vivono in aree geografiche a basso e medio reddito.

«E - conclude Isde - tutto questo non è più rimandabile».

 

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