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5 marzo 2018

 

Le sei principali conclusioni dello speciale rapporto federale sulle scienze del clima

di Mary Mazzoni

 

Il cambiamento climatico è stato al centro del palcoscenico quando leader economici e capi di stato sono affluiti recentemente a Davos, Svizzera, per il World Economic Forum. Il Rapporto sui Rischi Globali del WEF, lanciato con un anno di anticipo rispetto al Forum, ha citato “eventi atmosferici estremi”, “disastri naturali” e “assenza di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico” come le sfide più pericolose per la comunità globale. Così non è stata una sorpresa che i leader mondiali abbiano usato l’evento per suonare ancora una volta la sirena dell’allarme climatico.

 

Il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno sollecitato la cooperazione globale sugli interventi climatici, mentre il primo ministro indiano Narendra Modi ha caratterizzato il cambiamento climatico come “la maggiore minaccia alla sopravvivenza della civiltà umana così come la conosciamo”. Persino magnati dell’economia si sono gettati nell’onda con amministratori delegati di Black Rock e del Gruppo Mahindra che hanno salutato l’intervento sul clima come una “opportunità economica” del valore di sino a 6 trilioni di dollari nei prossimi due decenni.

 

Nel frattempo pare che il presidente degli Stati Uniti abbia difficoltà a capire la differenza tra clima e meteorologia.  Nel corso di un’ondata di freddo l’anno scorso Donald Trump ha twittato che gli Stati Uniti “potrebbero usare un po’ di quel buon vecchio riscaldamento globale”. La fusione di tempo meteorologico quotidiano e tendenze climatiche a lungo termine ha fatto alzare gli occhi al cielo nella comunità scientifica e persino indotto il Weather Channel a diffondere una risposta pubblica. Macron è intervenuto con una propria frecciata a Davos: “Quando si arriva qui e si vede la neve, può essere difficile credere nel riscaldamento globale”, ha detto il presidente francese, suscitando risatine da una sala stipata di politici e di leader economici.

 

Ma non c’è davvero nulla da ridere. L’approccio da laissez-faire di Trump al cambiamento climatico sta già esigendo un considerevole pedaggio nella politica statunitense. Dopo aver riempito la sua amministrazione di impenitenti negazionisti del clima, Trump è passato a tagliare norme ambientali, tagliare fondi all’EPA [https://it.wikipedia.org/wiki/Agenzia_per_la_protezione_dell%27ambiente] e ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul Clima. La Strategia della Difesa Nazionale del Pentagono, resa nota a gennaio, per la prima volta dal 2008 non ha fatto alcuna menzione del cambiamento climatico.

 

Questa posizione caparbia non solo sfida quella dei leader del mondo e della maggioranza degli elettori statunitensi, ma è anche in totale contrasto con gli stessi scienziati del governo federale. L’anno scorso 13 agenzie federali hanno diffuso un rapporto esaustivo che dettagliava come il cambiamento climatico influenza gli Stati Uniti, e viceversa. Il rapporto conteneva “alcune dichiarazioni molto forti, franche che sono totalmente in contrasto con i papaveri dell’amministrazione e con le loro politiche”, ha dichiarato l’anno scorso al New York Times Philip B. Duffy, presidente del Woods Hole Research Center.

 

In un momento in cui gli Stati Uniti continuano a risaltare come un dente cariato sul palcoscenico politico mondiale, vale la pena rivisitare quello che hanno avuto da dire scienziati di spicco del paese, anche se questa amministrazione probabilmente lo negherà.

 

Gli esseri umani sono la causa del riscaldamento globale

Anche se da allora è svanito dalla luce dei riflettori lo Speciale Rapporto delle Scienze del Clima – che include dati e analisi da 13 agenzie federali – inizialmente ha sollevato un polverone per la sua conclusione bomba: “Sulla base di prove estese è estremamente probabile che le attività umane, specialmente le emissioni di gas serra, siano la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del ventesimo secolo”.

 

Di più ancora, gli scienziati federali affermano con “una sicurezza molto elevata” che non esistono “spiegazioni alternative convincenti sostenute dalla portata delle prove osservate”. Ciò include variazioni dell’attività solare e andamenti naturali come El Niño, due fattori comunemente citati dai cosiddetti scettici del clima.

 

La terra si sta riscaldando rapidamente

Le temperature medie globali sono aumentate di 1,8 gradi Fahrenheit negli ultimi 115 anni, affermano gli scienziati federali, citando un’analisi ultradecennale di dati di superficie e satellitari. L’Artico si sta riscaldando a un ritmo approssimativamente doppio rispetto alla media globale e se continuerà a riscaldarsi allo stesso ritmo i settembre saranno quasi privi di ghiaccio nell’Oceano Artico entro il 2040, il che potrebbe influenzare in misura spettacolare i livelli del mare in tutto il mondo.

 

Entro il 2050 le temperature medie annuali sono previste aumentare di circa 2,5 gradi Fahrenheit negli Stati Uniti rispetto al passato recente. Se lasciata incontrollata la temperatura media globale potrebbe aumentare di 9 gradi Fahrenheit entro la fine di questo secolo.

 

I livelli dei mari stanno salendo più rapidamente che in passato

Il livello medio globale dei mari è aumentato di circa 18-20 centimetri dal 1900 con quasi metà di tale aumento verificatosi dal 1993 e città di tutti gli Stati Uniti ne stanno già avvertendo gli effetti. L’incidenza delle maree quotidiane sta crescendo in più di 25 città dell’Atlantico e della Costa del Golfo. Onde di marea abbastanza forti da causare danni minori – cosiddette “maree moleste” – sono aumentate di circa 5 – 10 volte dagli anni ’60 in molte di queste città, hanno rilevato gli scienziati federali.

 

Essi prevedono che i livelli dei mari continueranno a salire di almeno diversi centimetri nei prossimi 15 anni e da circa 30 centimetri a un metro e venti entro il 2100. Già questo è inquietante poiché un aumento del livello del mare di un metro e venti farebbe finire sott’acqua vaste aree di Miami Beach, Lower Manhattan e altre regioni costiere, secondo il Sea Level Rise Viewer della National Oceanic and Atmospheric Administration.  Ma gli scienziati avvertono che “un aumento di sino a due metri e mezzo entro il 2100 non può essere escluso” e prevedono che le coste est e ovest degli Stati Uniti se la passeranno peggio della media globale.

 

Gli ecosistemi oceanici sono sempre più a rischio

Gli oceani mondiali hanno assorbito sino al 93 per cento del calore in eccesso causato dal riscaldamento globale dalla metà del ventesimo secolo, rendendoli più caldi, cambiando i loro andamenti e mettendo a rischio ecosistemi marini. Gli oceani assorbono anche un quarto dell’anidride carbonica emessa nell’atmosfera, il che li rende più acidi e minaccia ulteriormente la vita marina.

Il contenuto di calore degli oceani è aumentato a tutte le profondità dagli anni ’60 e il tasso attuale di acidificazione è senza paralleli in almeno gli ultimi 66 milioni di anni, hanno rilevato gli scienziati. Se le emissioni saranno lasciate incontrollate essi prevedono che la temperatura marina superficiale media aumenterà di circa 4,9 gradi Fahrenheit e l’acidità media aumenterà dal 100 al 150 per cento.

Eventi atmosferici estremi sono più frequenti e intensi

Alcuni estremi atmosferici, come piogge pesanti, ondate di caldo e incendi forestali, sono già aumentati di frequenza, intensità e durata, hanno rilevato gli scienziati. Molti estremi sono “attesi continuare ad aumentare o peggiorare, presentando concrete sfide ai sistemi edificati, agricoli e naturali”.

 

Sommati complessivamente gli eventi atmosferici estremi sono costati agli Stati Uniti più di 1,1 trilioni di dollari dal 1980, secondo il rapporto. Per porre ciò in prospettiva, gli USA hanno promesso 3 miliardi di dollari al Fondo Verde per il Clima in base all’accordo di Parigi e alla fine hanno trasferito circa un miliardo di dollari. Trump ha detto che il denaro, che è inteso ad aiutare paesi vulnerabili in via di sviluppo ad adattarsi al cambiamento climatico, è stato “depredato dal bilancio degli Stati Uniti”. Tuttavia studi continuano a dimostrare che le misure di adattamento sono considerevolmente meno costose che attendere i danni indotti dal clima, e non si tratta soltanto degli altri paesi: questa amministrazione non sta investendo nell’adattamento o nella mitigazione nemmeno in patria.

 

Così i costi degli Stati Uniti causati da eventi atmosferici estremi hanno toccato un record di 306 miliardi di dollari l’anno scorso, una tendenza che ci si attende unicamente prosegua se non saranno adottate seriamente misure di mitigazione e adattamento.

 

La sola via d’uscita consiste nel ridurre le emissioni

“La dimensione del cambiamento climatico oltre i prossimi pochi decenni dipenderà principalmente dalla quantità di gas serra (specialmente anidride carbonica) emessi globalmente”, hanno concluso gli scienziati.

 

Una certa quantità di continuo riscaldamento è inevitabile a causa delle emissioni attuali e del passato. Ma “riduzioni significative di emissioni” potrebbero limitare l’aumento globale della temperatura a 3,6 gradi Fahrenheit (2 gradi Celsius) oltre i livelli pre-industriali entro la fine di questo secolo, la soglia superiore fissata nell’accordo di Parigi. In un apparente affondo all’uscita degli Stati Uniti, gli scienziati hanno indicato che gli impegni assunti in base all’accordo potrebbero “aprire la possibilità” di porre un tetto all’aumento della temperatura globale, “mentre non ci sarebbe virtualmente alcuna possibilità se le emissioni globali nette seguissero un percorso ben superiore a quello implicato negli annunci dei paesi”.

 Donald Trump si è rivolto agli astanti l’ultimo giorno del World Economic Forum, diventando il primo presidente statunitense a parlare all’evento in due decenni. Prevedibilmente non ha fatto alcuna menzione del cambiamento climatico, anche se ha dedicato un certo tempo a vantarsi si revisioni delle regole e ha dichiarato: “Le regole sono una tassazione fantasma”. Trump ci ha anche dato dentro sulla sua strategia di “prima gli Stati Uniti”, indicando contemporaneamente che “prima gli Stati Uniti non significa Stati Uniti da soli”.

 

Tali parole di facciata è improbabile trovino eco in leader mondiali come Narendra Modi, che ha usato il suo discorso – il primo al WEF di un primo ministro indiano in 21 anni – per sfidare il nazionalismo e l’isolazionismo. “Molte società e paesi stanno diventando sempre più concentrati su sé stessi”, ha detto Modi, aggiungendo che non affrontare il cambiamento climatico mostra un “allarmante assaggio del nostro egoismo”. La tedesca Angela Merkel ha pronunciato simili avvertimenti contro l’ascesa dell’”egotismo nazionale” e ha insistito che la comunità globale deve “trarre le proprie conclusioni senza gli Stati Uniti” per quel che riguarda il cambiamento climatico.

Queste parole non sono parse influenzare il discorso di Trump a Davos ed è improbabile che abbiano un impatto sulla prosecuzione della politica della sua amministrazione sul clima che porrà solo la Casa Bianca ancora più in contrasto con la comunità globale e il suo stesso popolo.

 

Più di 2.500 città, stati, tribù, imprese e istituti di istruzione superiore statunitensi hanno già aderito alla coalizione We Are Still In [Ci siamo ancora] e dichiarato il loro impegno a confermare l’accordo di Parigi. Il governatore di Washington, Jay Inslee, parlando a Davos per conto della coalizione, ha avvertito che la posizione di Trump sul clima non fa che isolarlo ulteriormente dal resto del mondo, affermando che quando si tratta della politica negazionista sul clima “C’è un solo uomo in questa parata”.

 


Mary Mazzoni è una giornalista ambientalista indipendente e redattrice con sede a Philadelphia. Il suo lavoro è apparso su Triple Pundit, Yahoo Travel, Budget Travel e su molte altre pubblicazioni. Seguitela su Twitter @mary_mazzoni.


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/6-major-findings-from-federal-climate-science-special-report/

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