Fonte: Accademia nuova Italia

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08/07/2018

 

La Favola Bella è andata in pezzi. Finalmente

di Francesco Lamendola

 

Di solito è un momento assai triste quello in cui le favole si dissolvono davanti alla cruda realtà: i bambini ci restano malissimo, ed è comprensibile. Se ne va la poesia, se ne va l’ingenuità, se ne va, almeno in parte, l’incanto del mondo. Poi bisognerà ricostruirlo, per evitare di scivolare nel cinismo. C’è un caso, tuttavia, nel quale il momento della dissoluzione delle favole è altamente positivo: quando le favole vengono costruite per ingannare e quando a bersele non sono i bambini, ma gli adulti e, magari, i popoli interi. Ed è questo il caso della Favola Bella per eccellenza, per antonomasia: la favola delle Nazioni Unite, del mondo nuovo che sorge dalle macerie del fascismo e del nazismo (e anche, trascurabile dettaglio, dai due funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki); la favola della Pace ritrovata che genera la Concordia, la Solidarietà, la Cooperazione, il Bene Comune, tutte cose le quali, a loro volta, generano il Mercato Comune Europeo e, a piccoli passi, l’Unione Europea. Un mondo dove tutti si vogliono bene, nessuno pensa più a scavalcare, a fregare, a sfruttare l’altro; dove ciascuno non pensa, né desidera, che il bene di tutti, la sicurezza di tutti, la tranquillità di tutti; dove ogni sorta di contese, di meschine rivalità, di sporchi giochi nascosti, di egoismi nazionali, sono ripudiati per sempre, e, al loro posto, subentrano la ricerca disinteressata dell’armonia universale, della cooperazione leale e della più coerente e rigorosa trasparenza diplomatica. Un mondo dove non ci sono più nemici (tranne quelli d’oltre Cortina, beninteso fino al 1990) e dove le antiche inimicizie hanno cessato, per incanto, di esistere, in un fraterno abbraccio di popoli: senza più distinzioni fra grandi e piccoli, fra ricchi e poveri, e, soprattutto, fra vincitori e vinti. Una favola più bella di così… Cominciata con il pane bianco già nell’estate del 1945, generosamente donato dai liberatori americani, e proseguita con gli aiuti del generosissimo Piano Marshall, indi illustrata dalla concessione dell’indipendenza alle ex colonie, in un clima di signorile fair-play, come nel caso dell’India, la colonia più ricca e importante di tutte, dalla quale i britannici se ne andarono senza farsi ulteriormente pregare, con lo stile di perfetti gentlemen che, come tutti sanno, da sempre li caratterizza.

La favola aveva cominciato ad andare in crisi già da un bel po’, e specialmente dopo la fine della Guerra fredda. Bisogna dire, peraltro, che quelli che ci avevano creduto più di tutti, o ai quali era stata rifilata in dosi più massicce, erano proprio gli italiani; gli altri popoli, probabilmente, non ci hanno mai creduto per davvero, anche se i capi di Stato e di governo, almeno a parole, ne reclamizzavano gli slogan come se ci credessero anche loro. Certo, segnali per rendersi conto che era solo una favola, ce n’erano stati anche troppi,  sin dall’inizio: dal Trattato di Parigi del 1947, che aveva trattato l’Italia da nazione vinta e umiliata, ciò che del resto si meritava; ma la cruda realtà venne coperta sotto densi strati di cortine fumogene, perché, altrimenti, sarebbe caduta l’aura ideale della quale le classi dirigenti s’erano ammantate, nel compiere la conversione di centottanta gradi dal fascismo all’antifascismo, dalla dittatura alla democrazia, dal nazionalismo all’americanismo e al suo braccio armato e ideologico, l’atlantismo. Sposando la tesi di Churchill, che un solo uomo era stato colpevole di tutto – Mussolini -, magari insieme a pochi altri, ma che insomma il fascismo, come disse Croce, era stato una sorta di calata degli Hyksos, un’irruzione barbarica che passa senza lasciar tracce, come un’improvvisa e violenta malattia, le nuove classi dirigenti (nuove si fa per dire: erano piene e strapiene di vecchi nomi, tutti agilissimi nel fare il salto della quaglia per balzare sul carro del vincitore), esse legittimavano se stesse e si rifacevano a buon mercato quella verginità politica della quale avevano bisogno. Ci hanno provato tutti e ci sono riusciti brillantemente quasi tutti: solo il re e la dinastia non ci sono riusciti, sia per la loro personale imbecillità, sia per un concorso di circostanze esterne: i veri vincitori, cioè gli Alleati, non si fidavano più dei Savoia, per cui era inevitabile che se ne dovessero andare. Avevano cercato di farlo capire a Vittorio Emanuele III in tutti i modi, perfino con l’arma della villania, come quando il generale Mac Farlane si era presentato da lui in maniche di camicia e calzoncini corti, col deliberato proposito di offenderlo; ma il vecchio aveva mandato giù anche quella umiliazione (tanto, dopo l’8 settembre, ci era abituato) e aveva fatto del suo meglio per perdere la corona non solo per sé, ma anche per Umberto, ritardando scioccamente l’abdicazione e tirando in lungo la luogotenenza, fino a bruciarsi tutte le carte buone che aveva ancora in mano. La Germania, del resto, era stata trattata ben più duramente dell’Italia: divisa addirittura in quattro, e sul punto di venir trasformata in un Paese a economia agro-pastorale, secondo i feroci piani di vendetta dell’ebreo Morgenthau.

 

Ad ogni modo, nessuno sa auto-ingannarsi e auto-illudersi più e meglio degli italiani, quando ci si mettono di buona lena, cioè quando ne hanno la convenienza; perché, se non ce l’hanno, sono uno dei popoli più smaliziati e impietosamente critici al mondo, fino al limite del cinismo. Addirittura, quando finì la Guerra fredda, con la caduta del Muro di Berlino e, poi, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ci furono delle anime belle, ancora immerse nella dolce favola della solidarietà europea e della leale collaborazione fra le nazioni, le quali si chiesero cosa mai ci stesse ancora a fare l’Alleanza atlantica, e perché non venisse sciolta, come la logica avrebbe voluto: visto che non c’era più il nemico… Ma di un nemico, anzi, di un Nemico con la maiuscola, di una minaccia permanente ai Valori del Mondo Libero, i vincitori anglosassoni (doppiamente vincitori: della Seconda guerra mondiale nel 1945, della Guerra fredda nel 1991) avevano comunque bisogno, tanto è vero che non persero tempo a crearlo addirittura: Al Qaida, il terrorismo islamico, l’11 settembre, eccetera. Nella loro stupidità, non videro che il nemico c’era per davvero, e stava facendo passi da gigante: la Cina comunista o, piuttosto, postcomunista, con la sua economia in rapidissima ascesa. Ed ecco una serie di guerre apparentemente inspiegabili, su scenari sempre più “sbagliati” (in realtà, esattissimi), dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria: sempre volute dalla coppia di ferro Stati Uniti-Gran Bretagna, e sempre con gli altri Stati europei al rimorchio, più o meno di buon grado. Per quanto riguarda l’Italia, che pure aveva partecipato a una serie di spedizioni militari “di pace”, dal Libano alla Somalia (e prima ancora nel Congo, dove alcuni nostri aviatori erano finiti mangiati vivi), è arrivato, alla fine, il momento in cui la Favola Bella si è incrinata irreparabilmente ed è andata in frantumi. Quel che non avevano insegnato agli italiani né le vicende di Trieste, fino a 1954; né la fine di Mattei, di Moro e di Craxi; né il coinvolgimento dei servizi segreti americani (e israeliani) nelle stragi degli anni di piombo, e, infine, neppure il proditorio attacco alla Libia del 2011 (che fu, a tutti gli effetti, un attacco contro l’Italia), e il successivo colpo di stato della finanza internazionale che costrinse alle dimissioni il governo Berlusconi, gli italiani lo hanno appreso, definitivamente e inequivocabilmente, dal Consiglio Europeo del 28 e 29 giugno 2018. La storia dirà che è stato allora che la Favola Bella si è dissolta e gli italiani, anche i più ingenui, e, quel che più conta, anche gli uomini di governo, peraltro legittimati da un preciso mandato popolare (ciò che non accadeva dal 2011), hanno dovuto prendere atto che di una favola si trattava; che le relazioni fra gli Stati europei avevano seguito, dopo il 1945, esattamente le stesse linee guida anteriori al 1939, con la sola differenza che le guerre non si erano più fatte con gli eserciti, ma con la finanza; che l’eterno egoismo francese, la gretta stupidità tedesca, l’astuta perfidia britannica, erano tali e quali quelle che avevano già svolto un ruolo decisivo nello scoppio dei due conflitti mondiali; che ciascuno aveva sempre seguito, e continua a seguire, il proprio egoismo nazionale, nella maniera più spudorata, all’ombra delle frasi gentili e della diplomazia fasulla di Bruxelles; e, più ancora, che gli Stati si erano trasformati in agenzie di import ed export per gli interessi finanziari delle grandi banche, a cominciare dalla Banca Centrale Europea, banca privata, privatissima (ad onta del nome), nei cui interessi non ci sono mai stati il lavoro, il benessere, le pensioni, la scuola e la tutela degli interessi dei cittadini e dei popoli europei.

 

Il primo a rendersene conto deve essere stato il nuovo capo del governo, Giuseppe Conte: una persona pulita, che non viene dai giochi di palazzo e che si è accinto al suo compito con autentico spirito di servizio verso il popolo del quale è stato chiamato a difendere gli interessi. La cosiddetta emergenza dei migranti è una di quelle congiunture croniche e semi-permanenti che consente di misurare la differenza che esiste, in Europa, fra le chiacchiere e i fatti. Che l’Italia sia stata lasciata da sola e che abbia dovuto sobbarcarsi oneri pesantissimi, questo a parole lo riconoscevano tutti; e l’hanno riconosciuto anche i due partner europei di maggior peso, Macron e Merkel, coi quali Conte, giustamente, aveva avuto degli incontri preliminari, proprio per preparare il terreno alla richiesta italiana di rivedere la Convenzione di Dublino. Ma al summit di Bruxelles del 28 e 29 giugno scorsi, anche Conte, insieme a sessanta milioni d’italiani, ha dovuto prendere atto che né Macron, né Merkel, né alcun altro, in Europa (e tanto meno gli “amici”, a cominciare da Tajani) tengono nel minimo conto le assicurazioni e le promesse verbali; che ciascuno è ferocemente preoccupato di difendere il proprio tornaconto, anche solo di bottega, come la Merkel, impegnata solo a salvaguardare il suo traballante governo; che nessuno, assolutamente nessuno, in Europa, ha mai creduto seriamente, neanche per un momento, che i problemi comuni, come le migrazioni, siano davvero comuni, fino a quando i singoli Stati trovano il modo di tutelarsi da sé, scaricando oneri e rischi su qualcun altro. Per cui il cerino in mano era stato sempre dell’Italia, la quale è vissuta, per una ventina d’anni, nella beata illusione che si trattasse di una situazione temporanea, di una contingenza destinata a finire, perché gli altri Paesi, prima o poi, si sarebbero fatti avanti e avrebbero assunto ciascuno le proprie responsabilità.

 

Il merito di aver strappato l’ultimo velo della Favola Bella, che serviva unicamente a far passare da minchioni sessanta milioni d’italiani, è soprattutto di Matteo Salvini e della Lega. Se lui non avesse puntato i piedi sulla questione dei migranti, dei porti e soprattutto delle ONG, scoperchiando la pentola e mostrando a tutti le colossali menzogne e ipocrisie sulle quali nessuno aveva mai volto gettare uno sguardo, la commedia sarebbe proseguita ancora, e l’Italia avrebbe continuato ad essere cornuta e mazziata. Ora, finalmente, le cose sono state mese in chiaro. Macron è solo un cinico egoista e uno spudorato mentitore: lui, che ha chiuso da un pezzo i porto francesi, viene a far la morale agli italiani, per la loro mancanza di umanità e di solidarietà verso mi poveri migranti. La Merkel è un cadavere ambulante: ormai le importa solo di salvare la sua quarta poltrona di cancelliere, tutto il resto non conta, chi se ne frega dell’Europa; tanto più che la Germania, col suo colossale surplus commerciale (in barba a tutte le regole dell’Unione Europea) è il solo Stato che ci guadagna da questa Europa, ed è il solo Stato che, secondo giustizia e secondo verità, se ne dovrebbe uscire; ma ha troppa convenienza a rimanerci, per farsi pagare i conti dalla Grecia, dalla Spagna e dall’Italia. Gli inglesi, che non avevano mai cambiato la sterlina con l’euro, hanno già fatto vedere quanto importa loro dell’Europa. Polonia, Ungheria e gli altri Stati del gruppo di Višegrad giocano per conto proprio. La Grecia è distrutta; la Spagna è pronta a vendersi alle banche francesi e tedesche per mendicare un po’ di credito, e cerca di farsi bella accogliendo un paio di navi di migranti (dopo che l’Italia ne ha accolte a centinaia, senza ricevere ringraziamenti da alcuno). Ecco: da Giuseppe Conte all’ultimo italiano, finalmente una cosa è apparsa chiara: che la Seconda guerra mondiale non è mai finita, solo ha preso delle forme “civili” e “democratiche”; che Francia e Germania continuano a giocare alle primedonne, senza aver imparato assolutamente nulla dalla storia (la Francia dalla sua disfatta, la Germania dalle sue inutili vittorie), perché, come oggi direbbe Clausewitz, invertendo, per la proprietà transitiva, il suo celebre aforisma, la pace è la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Logico, del resto: la seconda guerra mondiale è stata solo la prosecuzione della Guerra Civile europea, iniziata nel 1914 (o, se si preferisce, nel 1792: e a dichiararla fu la Francia rivoluzionaria all’Europa dell’ancien régime), che prosegue tuttora e non è mai finita, nonostante le parole altisonanti di Schumann, Adenauer e De Gasperi, parole buone per i gonzi, e infatti gli unici a crederci a lungo, troppo a lungo, sono stati i gonzi italiani. La lezione di Bruxelles del 28 e 29 giugno 2018 non è tuttavia solo questa: non è solo che ciascuno Stato deve riprendersi la sua libertà d’azione, e, se possibile, la sua sovranità monetaria, perché l’Unione Europea è solo una creazione artificiosa e parassitaria dei banchieri e dei burocrati, e non ha niente a che fare col progresso, la pace e la giustizia. C’è anche un’altra lezione, ancora più importante: che i popoli possono ancora contare qualcosa e costringere i propri governi a difendere i loro interessi, combattendo contro il mostruoso egoismo delle banche, contro il potere finanziario che vorrebbe la distruzione dell’Europa, la sua sommersione sotto il peso dell’invasione islamica camuffata da accoglienza, e l’asservimento dei suoi lavoratori sotto il peso di un debito pubblico creato ad arte dalle banche per ricattare in permanenza i popoli e rapinarli nel lavoro e nei risparmi...

 

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