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Gennaio 16, 2018

 

L’anno che avrà il volto di Kim

di Fjodor Lukjanov

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

In un articolo pubblicato il 26 dicembre 2017 su Russkaja Gazeta (edizione federale 7460/294), col titolo “L’anno che avrà il volto di Kim” (Jong-un), Fjodor Lukjanov, professore e ricercatore presso la School of Economics, riteneva che la Repubblica democratica popolare di Corea, avendo raggiunto l’obiettivo del deterrente nucleare operativo, ritornerà ai negoziati, allentando la morsa delle sanzioni economiche. Un’analisi che si è dimostrata premonitrice, data l’offerta al dialogo del Maresciallo Kim Jong-un nel discorso di Capodanno: dopo il dialogo inter-coreano è stato rinnovato con le Olimpiadi di Pyeongchang. Il presidente della Repubblica di Corea Moon Jae-un annunciava di essere pronto ad incontrare la controparte nordcoreana, mentre il presidente Donald Trump dichiarava di essere pronto a colloqui col Presidente Kim Jong-Un, Qui la traduzione dal russo dell’articolo di Fjodor Lukjanov.

L’anno che avrà il volto di Kim
Alla vigilia del nuovo anno, ero interessato a sapere da un collega giapponese come a Tokyo guardino alla Corea democratica e alla possibile escalation della crisi sulle armi nucleari e i missili. Con mia sorpresa, reagiva tranquillamente: probabilmente non ci saranno più provocazioni, Pyongyang ha raggiunto i suoi obiettivi (la creazione del deterrente nucleare) e ora si concentrerà sugli strumenti diplomatici. Il nuovo compito sarà ridurre la pressione sull’economia, causata dalle sanzioni, pressione aumentata considerevolmente lo scorso anno. Washington non è interessata a una guerra, i generali che circondano Trump non vogliono rischi superflui. Il mio interlocutore riassume come segue: i negoziati diretti sono possibili nel 2018. È ciò che la RPDC ha cercato sin dall’inizio. Nell’abbondanza di importantissimi eventi internazionali del 2017, va evidenziato il problema della Corea democratica. Il regime del Juché, dalle radici nel sistema del socialismo mondiale della seconda metà del XX secolo, ha sperimentato il sistema per 30 anni. Dopo la scomparsa dell’URSS, alcuni ritennero che i giorni di Pyongyang fossero contati. Prima col modello principale e il supporto spariti, e poi con le ondate della democratizzazione generale, la Corea democratica era sempre più considerata un anacronismo (per alcuni un Paese di selvaggi). Ma lo scenario fu più capriccioso. La famiglia Kim trasse la conclusione della crisi degli ex-alleati, che cercarono di allentare le tensioni interne con la liberalizzazione diretta. Stringere i bulloni, non lasciare spazio a dubbi, non mostrare debolezza politica, questa ricetta ha funzionato. Da allora il potere nella RPDC è cambiato di mano due volte, il Paese ha subito la prova di una crisi economica e di una carestia terribili, ma ha tenuto duro, e a un certo punto sono apparse riforme prudenti che hanno permesso di passare da un regime di sopravvivenza a un modello di sviluppo originale.
Oltre alla stabilità interna c’è il problema della stabilità estera, qui la leadership nordcoreana ha anche manifestato senso politico. Il lavoro intensivo sul programma nucleare iniziò molto prima che diventasse chiaro che “dittature fuori dall’ordinario” avrebbero lasciato la scena politica non solo con la forza delle idee e della pressione economica, ma anche con l’intervento armato. Quindi l’unica garanzia era la loro capacità di causare danni inaccettabili in risposta. Sadam Husayn, Muammar Gheddafi… ci pensarono, ma osservando da vicino si nota quanto fu deplorevole il loro destino, esitando su questa via. Il leader della RPDC è un attore molto attento che sa cosa fare. Il 2017 è stato l’anno decisivo. Da un lato, una serie di azioni aperte col test nucleare e i lanci di missili di Pyongyang, e la completa inosservanza della reazione della comunità internazionale. Dall’altra parte le minacce dagli Stati Uniti fino alla dichiarazione del presidente Trump all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul desiderio di spazzare via la Corea democratica. A metà dell’anno si cominciò a parlare seriamente della possibilità di guerra. Verso l’autunno si delineava. La pressione delle sanzioni al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite raggiunse il culmine. Ma non successe niente. E ora si inizia a parlare di possibile rilassamento. In questa storia ci sono due componenti. Una legata alla specificità del regime nordcoreano, estremamente originale e personalizzato. La volontà di Kim Jong-un di andare dritto e di alzare la posta impressiona, e la maggior parte degli osservatori riconosce che il leader della Corea democratica è molto cauto e agisce con la piena comprensione della situazione. Ma c’è un’altra componente. La crisi nordcoreana è un tipico esempio di ciò che accade quando il sistema internazionale è squilibrato, con tutti gli attori chiave impegnati a risolvere i propri problemi e non interessati a risolvere problemi complessi. Kim Jong-un, molto prima di Trump, formulò il suo slogan: “La Corea democratica prima di tutto”. Ecco perché Kim non è affatto disturbato dalla reazione estera, di certo non ne viola la linea. Sa anche che, nonostante i voti unanimi del Consiglio di sicurezza, le grandi potenze non si ritroveranno su un approccio comune al problema nucleare nella penisola coreana. La necessità di mantenere il regime di non proliferazione non è contestata da nessuno, ma quasi tutti hanno altri obiettivi e priorità.
Il 2017 ha definitivamente dimostrato la fine dei vecchi schemi, il cambio dei modelli di direzione, considerati degli assiomi negli ultimi trent’anni. All’avanguardia gli Stati Uniti, la cui svolta “verso i propri affari” non è iniziata con Trump, ma è diventata chiara e netta. Gli USA non rifiutano il primo posto, ma non rivendicano più la “posizione di leader globale”. Questo influenza tutti gli altri e apre possibilità ad altri attori, immergendoli però nel disordine. Per alcuni, il dominio degli Stati Uniti è diventato naturale e punto di partenza per adattare la propria condotta, e non sono sicuri di cosa fare quando la forza predominante volta le spalle. In questo contesto, la strategia della Corea democratica, da sempre autarchica, preferendo affidarsi alle proprie forze, è più adatta alle nuove condizioni. Un risultato inaspettato.

 

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