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20/10/2018

 

Afghanistan, un voto nel vuoto. E nel sangue

By Umberto De Giovannangeli

 

Decine di morti in seguito ai vari attentati nei seggi elettorali afghani. Dietro alle esplosioni le mani dei talebani e dell'Isis

 

Un voto nel vuoto. Per dare una parvenza di normalità in un Paese che la "normalità", intesa come pace, sicurezza, stabilizzazione, non ha mai conosciuto. Un voto "blindato". Un voto insanguinato. Un voto in ritardo di tre anni.

Gli afghani hanno iniziato a votare per le elezioni legislative, che si tengono con tre anni di ritardo, con il terrore di nuovi attacchi per mano di talebani o dell'Isis che nei giorni scorsi hanno minacciato di macchiare di sangue il voto. Il presidente afghano, Ashraf Ghani, ha votato di primo mattina a Kabul da dove ha incoraggiato la popolazione a recarsi ai seggi. "Chiedo a tutti gli afghani, giovani e vecchi, donne e uomini, di esercitare il loro diritto, di uscire e votare", ha dichiarato Ghani. Più di 5 mila seggi elettorali sono stati aperti nelle aree del Paese controllate dal governo, ma nelle aree in cui sono attivi i talebani 2mila seggi sono rimasti chiusi per ragioni di sicurezza. Il ministero dell'Interno afghano ha ordinato il dispiegamento di altre 20.000 unità per la protezione dei seggi: sale così a 70.000 il numero di militari e agenti schierati per le parlamentari. In tutto il Paese, ha dichiarato il ministero dell'Interno, Ma questo spiegamento di forze non ha impedito una serie di attacchi anche nel cuore di Kabul. Almeno 67 persone sono morte, e altre 127 sono rimaste ferite, nei vari attentati nei seggi elettorali, nella capitale afghana come nel resto del paese. Lo riferiscono diversi media internazionali tra cui l'Evening Standard. Molti altri sono rimasti feriti. L'ong Emergency riferisce invece di esplosioni e attentati ai seggi che hanno causato decine di feriti in tutta la città. Quarantotto sono arrivati in mattinata all'ospedale di Emergency a Kabul: 14 sono stati trattati in pronto soccorso, 33 sono stati ricoverati, uno è arrivato morto, un bambino di 10 anni.

Nei giorni scorsi i Talebani hanno emesso diversi comunicati in cui hanno esortato integralista chiama "cospirazione americana maliziosa". Nelle ultime settimane prima del voto, centinaia di persone sono morte e altre sono rimaste ferite in atti di violenza legati alle elezioni. E almeno 10 candidati, dei 2.500 in corsa per le elezioni, sono stati uccisi. Giovedì, un attacco dei Talebani contro un edificio governativo fortificato ha ucciso il capo della potente polizia della provincia meridionale di Kandahar, il generale Abdul Raziq, così come il capo della intelligence provinciale e un giornalista della televisione afghana. Il generale Scott Miller, comandante delle forze Nato e statunitensi in Afghanistan, che si trovava nell'edificio al momento dell'attacco, ne è uscito illeso. Dopo l'attentato, le autorità afghane hanno deciso di rinviare le elezioni nella provincia di Kandahar per una settimana. Il voto avviene nell'anno del record – dopo altri anni di record negativi - di violenze e di morti civili: dai registri della missione Onu in Afghanistan, dal gennaio al giugno 2018 sono state 1.692 le vittime, 3.340 i feriti innocenti e nell'estate il trend non è andato migliorando.

Preparativi fittizi, aspettative di frodi su scala industriale e escalation di violenza legata al voto minacciano di far deragliare le elezioni, che la comunità internazionale sta in gran parte finanziando. "Stiamo cercando di rendere una situazione terribile leggermente meno grave", ha detto alla France Presse un diplomatico occidentale, riflettendo così un brusco calo delle aspettative di un risultato credibile, anche per gli standard afghani. Gli osservatori si aspettano che l'affluenza alle urne sia di gran lunga inferiore rispetto agli 8,9 milioni registrati per votare nelle prime elezioni legislative dal 2010. Più di 2.000 centri di voto sono già stati chiusi per motivi di sicurezza e la minaccia di ulteriori attacchi jihadisti potrebbe persuadere molti elettori a rimanere a casa. Oggi i Talebani controllano o hanno influenza sul 40% dell'intero territorio, numeri mai raggiunti dall'inizio del conflitto nel 2001. Conquistano territori e comprano equipaggiamento, armi, munizioni e carburante direttamente dai soldati dell'esercito afghano. A denunciarlo è John Sopko, ispettore generale dell'organismo americano che supervisiona la ricostruzione (SIGAR), in occasione di un intervento nel Centro per gli studi strategici e internazionali, presentando un rapporto sui rischi che sta correndo in Afghanistan il processo di stabilizzazione. L'ispettore ha lanciato un allarme sulle conquiste territoriali realizzate dalle forze antigovernative. Nel novembre 2015 il governo di Kabul sosteneva di avere il controllo del 72% del territorio nazionale. Una percentuale scesa al 63,4% nell'agosto 2016. Oggi siamo sotto il 60%. Nel documento, Sopko ha sottolineato anche che lo sforzo delle forze di sicurezza afghane per sottrarre agli insorti aree strategiche del Paese ha causato molte decine di soldati misteriosamente scomparsi. Infine, l'ispettore generale ha presentato una lista dei maggiori rischi che ostacolano in Afghanistan il successo della ricostruzione nazionale. Fra questi, la corruzione, l'impossibilità di consolidare i successi ottenuti, l'incapacità del governo afghano di gestire in maniera efficace il suo budget e la cattiva gestione dei contratti. Quando non riescono a controllare il territorio, organizzano attentati terroristici nelle città più importanti controllate dai governativi come Kabul, Kandahar, Lashkargah.

Il Governo di Ashraf Gahni non ha ancora la forza militare per riconquistare i territori perduti dopo che la Nato il 1 gennaio 2015 ha dichiarato chiusa la sua missione, lasciando solo 11.000 uomini. Ma nemmeno può accettare le condizioni per il cessate il fuoco poste dai rappresentanti dei talebani: imposizione in tutto l'Afghanistan della sharia più inflessibile e governo di transizione a guida talebana. E a contendere la leadership jihadista ai Talebani sono i foreign fighters dell'Isis. Il "terzo incomodo" (l'Isis) si fa più aggressivo, conquista territori, mette a rischio il controllo delle munifiche rotte (e campi) della droga in mano ai Talebani e alle tribù su cui si reggeva il potere dell'ex presidente Hamid Karzai: stando al rapporto annuale preparato dall'Ufficio dell'Onu contro il traffico di droga e la criminalità organizzata (Undoc) nel 2017 i coltivatori di papaveri in Afghanistan hanno battuto ogni record e raggiunto le novemila tonnellate di produzione di oppio: l'87 %in più rispetto al 2016. Secondo un recente rapporto dello Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (SIGAR), i Talebani hanno adesso il controllo completo di 5 distretti su 18 della provincia di Ghazni e del 60% di altri 9 distretti. Peraltro, Ghazni è anche una roccaforte di a- Qaeda, Stato islamico, Islamic Movement of Uzbekistan e dei pachistani di Lashkar-e-Taiba. Sul terreno si assiste ad una competizione per la leadership del terrore tra l'Isis, che sta arruolando i pashtun, e al Qaeda 2.0 rianimata da Hamza, il figlio jihadista di Osama Bin Laden. La strategia dell'Isis in Afghanistan è stata quella di attingere le nuove forze fresche proprio dal movimento talebano. Una recente inchiesta della Bbc mette in evidenza come l'adesione allo Stato islamico sia divenuta economicamente più appetibile per gli afghani, considerato lo stipendio di 500$ mensili, cui il movimento talebano (in guerra dal 2001) non può sicuramente entrare in concorrenza.

Dunque più si indeboliscono i talebani, più si rafforza l'Isis. E per contrastarne la penetrazione i talebani schierano le loro forze speciali contro Isis. L'Emirato Islamico ha annunciato di aver schierato nell'est del Paese, in particolare tra le province di Laghman e Nangarhar, le sue unità top per dare la caccia ai piccoli gruppi Daesh presenti in zona e consolidare la leadership. Ciò dopo che i miliziani dell'Isis avevano inflitto perdite alla formazione concorrente, conquistando porzioni di territorio. Finora, invece, i commandos jihadisti avevano operato soprattutto nel sud della nazione asiatica, nella guerra contro le forze di sicurezza (ANSF) di Kabul. Perciò, l'Isis – che in passato era definita spregiativamente poco più di una banda di criminali – è stato promosso a nemico numero. Forse anche prima delle forze internazionali e delle istituzioni afghane. Il pericolo di un progressivo sbilanciamento di forze a favore delle bandiere nere era stato denunciato dallo stesso leader Mullah Omar, ora defunto, in una lettera proprio rivolta al Califfo Al-Baghdadi. Nella stessa missiva, il Mullah intimava il Califfo di "non cercare di penetrare in Afghanistan" e che la sua azione stava "pericolosamente dividendo il mondo musulmano". "Nessuno - spiega un comandante talebano intervistato dal Guardian - - sa chi sia la figura di riferimento di queste persone in Afghanistan e Pakistan. Semplicemente sono gruppi di una decina di persone che vanno su e giù per le montagne". Le giovani reclute, sottolinea l'intervistato, e i Talebani sono mondi separati. Entrambi i gruppi puntano all'imposizione della sharia, la legge islamica, ma il Califfato non riconosce Stati né confini nazionali, mentre i Talebani sono nazionalisti che vogliono trasformare il proprio Paese. Sempre secondo il comandante talebano intervistato dal Guardian, ci sarebbe anche una differenza dottrinale. "Quando le persone – afferma - chiedono ai militanti del Califfato che missione stiano compiendo, loro rispondono 'la vostra fede è debole e noi vogliamo renderla più forte'".

Gli ideologi dell'Isis sarebbero quindi troppo settari e intolleranti per i Talebani. Ed eserciterebbero una violenza cieca e insensata che i ribelli afgani avrebbero da anni respinto. Questi ultimi avrebbero quindi rinnegato la furia distruttrice verso opere d'arte e intere comunità esercitata in passato. Una concorrenza che non oscura il dato di realtà: l'idea del "califfato" prende sempre più piede, e territori, in Afghanistan. E a rendere ancora più ingovernabile il Paese è la frammentazione etnico-tribale, che ha assunto tratti sempre più profondi: alla maggioranza etnica Pashtun si aggiungono Tajiki, Hazara, Uzbechi, Aimak, Turkmeni e Baluchi.

Questo è il quadro afghano a quasi diciassette anni dall'inizio di una guerra, post 11 Settembre, che avrebbe dovuto distruggere al Qaeda, liquidare i Talebani, sradicare i gruppi jihadisti, rafforzare la sicurezza internazionale. E consolidare un processo democratico. Gli attentati a raffica, la corruzione dilagante, raccontano un'altra storia. La storia di una guerra perduta (stavolta dall'Occidente, come prima era avvenuto per l'Armata rossa) nel "cimitero degli imperi". E il voto nel vuoto ne è una conferma.

 

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