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febbraio 7, 2018

 

Il nesso USA-SIIL in Afghanistan è al centro dell’attenzione

di Melkulangara Bhadrakumar

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

Teheran ha iniziato a dire forte e chiaro di essere inquieta dagli Stati Uniti che inviano in Afghanistan i terroristi dello Stato Islamico da Siria e Iraq, dove sono stati sconfitti. Il 30 gennaio, il leader supremo dell’Iran Ali Khamenei dichiarava: “L’obiettivo degli Stati Uniti nel trasferire i terroristi dello SIIL in Afghanistan è giustificare il loro dispiegamento nella regione e rafforzare la sicurezza del regime sionista“. In effetti, qualsiasi affermazione del Leader Supremo attira invariabilmente attenzione segnalando una direttiva politica autorevole basata su un’attenta decisione presa alla luce di rilevanti input dell’intelligence.

 

Il punto è che tre giorni prima che Khamenei parlasse, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) si scontrava coi terroristi dello SIIL infiltratisi nella provincia occidentale di Kermanshah dall’Iraq. A detta di tutti, fu uno scontro importante in cui tre membri dell’IRGC furono uccisi, compreso un ufficiale. Secondo il comandante delle forze di terra dell’IRGC, Generale Mohammad Pakpour, furono catturati ben sedici terroristi. Incidenti di questo tipo accadono con sempre maggiore frequenza lungo i confini iraniani e le agenzie di sicurezza iraniane sequestrano enormi quantità di esplosivi ed armi contrabbandate, ma questa è la prima volta che si verifica uno scontro così grave.

 

Significativamente, il consigliere per la politica estera del parlamento, Hossein Amir Abdollahian, voce influente nel circuito diplomatico iraniano, poneva la questione del trasferimento segreto di terroristi dello SIIL in “Afghanistan settentrionale” incontrando Jan Kubis, presidente della missione di assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq, il 28 gennaio. Kubis, diplomatico di carriera slovacco, fu in precedenza inviato speciale delle Nazioni Unite in Tagikistan (durante il periodo di transizione successivo alla guerra civile, alla fine degli anni ’90), segretario generale dell’OSCE (1999-2005), inviato speciale dell’UE in Asia centrale (20015-2006) e, ultimamente, rappresentante speciale dell’ONU e capo della missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (2011-2015). Abdollahian non avrebbe potuto scegliere migliore interlocutore nel fare un passo così delicato. Il messaggio avrebbe raggiunto i destinatari voluti in pochissimo tempo. Due giorni dopo, Khamenei parlò. Date le ragioni riportate, va notato con attenzione che l’Iran da allora indica il tema del nesso USA-SIIL come questione bilaterale tra Teheran e Kabul. Il 4 febbraio, il Ministro della Difesa iraniano Brigadier-Generale Amir Hatami telefonava all’omologo afghano Tariq Shah Bahrami avvertendolo che Washington “trama per trasferire il gruppo terrorista SIIL in Afghanistan“. Il Generale Hatami parlava sulla base delle osservazioni di Khamenei e, cosa importante, ha messo in guardia dai piani degli Stati Uniti per aumentare il proprio dispiegamento militare in Afghanistan, sottolineando che la sicurezza in Afghanistan sarà possibile solo in armonia con gli Stati regionali e unendo le risorse per combattere il terrorismo. Il Generale Hatami aveva solo avvertito che Teheran potrà agire per contrastare la minaccia alla propria sicurezza nazionale dall’Afghanistan. È ipotizzabile che la telefonata a Kabul riflettesse le percezioni delle minacce a Teheran dopo l’interrogatorio dei 16 terroristi dello SIIL catturati dall’IRGC.


L’Iran ha motivo di sentirsi turbato dall’Afghanistan occidentale che vede un vuoto politico simile a quello avutosi nell’Afghanistan settentrionale, nella regione dell’Amu Darya, nelle ultime settimane. Il presidente afgano Ashraf Ghani ha destabilizzato l’intero settentrione confinante con l’Asia centrale con l’improvviso licenziamento del governatore della provincia di Balkh Atta Mohammad Noor, a novembre. È improbabile che Ghani abbia fatto un passo così precipitoso di sua spontanea volontà. Atta è una figura potente, popolarmente noto come il “Re del Nord”. Noor, a proposito, è anche il capo del Jamiat-i-Islami e sembra essere un aspirante candidato alle elezioni presidenziali nel 2019. Senza dubbio, gli Stati Uniti sono d’accordo con la rimozione di Noor, se non addirittura da essi voluta. Curiosamente, l’amministrazione Trump da allora ha espresso sostegno a Ghani. Il vicepresidente degli USA Mike Pence fece due telefonate a Ghani a gennaio per esprimergli solidarietà. Il 24 gennaio, la Casa Bianca fece un passo straordinario dichiarando che “ha seguito da vicino la controversia” e chiedeva la rapida soluzione dello stallo Ghani-Noor, che in pratica lasciava presagire quest’ultimo passo. Ma Noor reagiva il 3 febbraio definendo il regime di Kabul burattino degli statunitensi e alimentando il nazionalismo afghano. Naturalmente, il prolungato vuoto di potere a Balkh ha creato le condizioni favorevoli ai terroristi dello SIIL per la propria presenza nel nord dell’Afghanistan. Allo stesso modo, Rashid Dostum, l’uomo forte uzbeco, baluardo contro i gruppi terroristici nelle province settentrionali, è in esilio in Turchia. Gli Stati Uniti, che controllano lo spazio aereo afgano, hanno rifiutato due volte il permesso di atterrare al suo velivolo (è interessante notare che il presidente turco Recep Erdogan ha rapporti diretto con Dostum ad Ankara).


Il nocciolo della questione è che una situazione simile a Balkh è anche possibile nella provincia occidentale di Farah al confine con l’Iran, dove il governatore provinciale Mohammad Aref Shah Jahan ha “improvvisamente” rassegnato le dimissioni, dieci giorni fa, citando come ragioni “il peggioramento della sicurezza a Farah” e “l’interferenza nelle mie responsabilità di diversi individui“. Sembra che sia stato costretto a dimettersi (negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno effettuato nuovi schieramenti a Farah). Ciò che diventa un enigma avvolto nel mistero è che Jahan, (pashtun), e Noor (tagico), hanno la reputazione di nazionalisti afgani. La conclusione inevitabile è che, per ragioni sue, Washington desiderava il “cambio di regime” in queste due province di frontiera dall’importanza cruciale (Balkh e Farah), confinanti rispettivamente con l’Asia centrale e l’Iran. Basti dire che Teheran si chiede: “Chi ci guadagna?” Naturalmente, può essere solo lo SIIL.

 

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