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22/10/2018

 

Kostantin Sigov: Vogliamo l’autocefalia ucraina e la fine dell’uso politico della religione da parte dei russi

di Caterina Zakharova

Il grande intellettuale ucraino spiega le ragioni che spingono il suo popolo a esigere l’indipendenza dal patriarcato di Mosca. In Russia pressioni dello Stato e strumentalizzazioni della Chiesa sono all’ordine del giorno. Una Chiesa indipendente sarebbe un passo importantissimo verso la liberazione dell’Ucraina dal passato sovietico. Ma il problema è anzitutto spirituale.

La questione dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina ha causato la rottura della comunione fra Mosca e Costantinopoli. Quella che a molti pare una baruffa senza senso, nasconde problemi spirituali e politici. L’autocefalia della Chiesa ucraina data da molto prima dell’invasione della Crimea ed è desiderata e voluta dagli ucraini per vedere la fine di una strumentalizzazione politica della Chiesa ortodossa russa. Sono alcune delle tesi che lo studioso Konstantin Sigov esprime in questa intervista. Sigov, 56 anni, è fra gli intellettuali di punta dell’Ucraina e una personalità ecumenica d’eccezione. Filosofo, professore universitario, direttore del Centro per le ricerche europee umanistiche presso l’Università Nazionale Accademia di Kiev Mohyla.

«Tutta l’Ucraina è rimasta scioccata quando una madre ha chiesto il funerale per il suo bambino e il prete lo ha rifiutato perché il piccolo era stato battezzato nel patriarcato di Kiev scismatico. È una questione politica? No, è una questione spirituale. Come si fa a mancare di misericordia in questo modo verso le persone solo perché non sono «canoniche»? Vuol dire che il «canone» diventa strumento di segregazione, di isolazionismo, viene usato per rinchiudere in un «ghetto» milioni di persone solo perché non vogliono sottomettersi al Cremlino. È una questione non politica ma spirituale, morale, una questione della Chiesa in fin dei conti».

Dunque l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina è un’esigenza reale per il suo Paese?

L’autocefalia viene richiesta già da molto tempo. Si è cominciato a chiederla molto prima di Porošenko, molto prima del Majdan e anche della Rivoluzione arancione del 2004. Parliamo del momento in cui l’Ucraina ha acquistato l’indipendenza nel 1991, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Nella Chiesa ucraina sono state prese subito iniziative in questo senso, e da una di queste è nata la Chiesa Autocefala scismatica. Se alla Chiesa ortodossa ucraina l’autocefalia fosse stata data in quel momento, non ci sarebbero stati scismi.

L’esperienza degli ultimi 25 anni ha mostrato che Mosca non cerca possibilità di dialogo in Ucraina, ormai è chiaro che non c’è speranza di ottenere nulla in questo senso. Eppure parliamo di milioni di persone, non di decine di migliaia, ma di milioni considerati scismatici, anche se tra noi e loro non ci sono differenze dogmatiche, di rito, di fede, i santi sono gli stessi... L’unico punto sul quale non c’è unità sono i rapporti con Mosca. Affinché ci sia varietà nell’unità e unità nella varietà bisogna trovare una via di dialogo. E se oggi si è creata la possibilità che questa situazione venga superata - e la cosa riguarda noi tutti uomini di fede – lo si deve fare.

Certo, bisogna ancora capire come. È una questione difficile che non può essere risolta in modo leggero, perché qualsiasi semplificazione può fare solo del male, ma d’altra parte non dobbiamo nemmeno lasciarci prendere dal panico e temere di muoverci per non provocare mali peggiori. Non sarebbe una posizione cristiana, sarebbe una posizione fatalista. Invece tutto dipende da come lo Spirito opererà, dalla nostra apertura e da quanto riusciremo ad agire in comunione, tramite il dialogo.

E dunque, da una parte si tratta di avere volontà di dialogo per risolvere la questione in maniera costruttiva, dall’altra ovviamente bisogna vedere come questa volontà potrà compiersi, infatti, anche se la volontà c’è da varie parti, c’è sempre il grosso rischio di interferenze. Le autorità della Chiesa ortodossa russa non sono libere di esporre il loro punto di vista personale rispetto alle questioni ecclesiastiche. È assolutamente chiaro che la Chiesa ortodossa russa subisce la fortissima influenza del Cremlino. Dopo gli ultimi casi accaduti a Mosca, dove hanno picchiato i manifestanti e altre persone sono state arrestate senza alcun motivo, è chiarissimo che viene esercitata una forte pressione sulle varie strutture sociali, e sulla Chiesa in modo particolare, perché è la maggiore istituzione esistente che non appartenga allo Stato.

L’autocefalia eliminerebbe l’influenza della politica russa sulla Chiesa?

Se teniamo conto di quello che è successo negli ultimi anni in Russia, dell’aumento della violenza nei confronti della società civile; se teniamo conto che al momento non ci sono possibilità di separare Stato e Chiesa, il potere spirituale da quello temporale - al contrario la pressione dello Stato sulla Chiesa aumenta sempre più, e aumenta la strumentalizzazione della Chiesa -,  per noi ucraini diventa chiaro che l’unica possibilità per dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, per sfuggire all’influenza dello Stato è separarci dalla Chiesa ortodossa russa.

Personalmente io preferirei che in questo campo ci fosse sempre meno politica. Ritengo che allo stadio in cui ci troviamo ora, dopo tutto quello che è stato fatto, si dovrebbe chiedere a tutti i personaggi politici di tutte le parti di lasciare tranquilli vescovi, credenti, laici e non laici, e che nessuno dei presidenti dei Paesi coinvolti si immischi in questa faccenda, che non è affare né di Putin, né di Erdogan, né di Porošenko .

Non esiste il rischio che nella nuova Chiesa ucraina la questione nazionale diventi più importante di quella spirituale, che il nazionalismo prevalga? 

Il rischio c’è sempre, ma i contesti sono molto diversi. La situazione Ucraina, in 27 anni di indipendenza, non è mai stata monolitica né mai lo sarà. In Ucraina c’è sempre stata pluralità e questa pluralità si conserverà sempre; nessuna delle sue Chiese deve diventare Chiesa di Stato. La società civile ucraina è convinta che proprio nella sua varietà, nel suo ricco mosaico stia la sua forza, la sua ricchezza e che quindi questa situazione non debba cambiare. Allo stesso tempo non voglio idealizzare la realtà: bisogna evitare che qualsiasi estremismo, compreso quello etnocentrico, cominci a giocare lo stesso ruolo che ha oggi all’interno della Chiesa ortodossa russa. Per questo motivo la giovane Chiesa ucraina dovrebbe avere a cuore che le altre Chiese, non solo Costantinopoli, ma la Chiesa della Georgia, della Repubblica Ceca, della Romania, della Grecia, siano in dialogo tra loro, e che l’Ucraina esca finalmente dall’isolamento.

Noi dovremo soprattutto fare in modo di evitare la violenza nelle eventuali future redistribuzioni delle chiese tra i vari patriarcati. Bisogna che si mantengano al massimo grado la misura, la razionalità sociale che erano proprie dei primi mesi del Majdan. Tutti gli stranieri che venivano a Kiev in quei mesi si stupivano di non trovare neanche una vetrina rotta, non una macchina capovolta, le strade erano pulite... Questo è il modello che ci serve anche oggi.

La situazione è molto delicata e proprio per questo abbiamo bisogno della solidarietà di tutti i cristiani, non solo degli ortodossi, ma anche dei cattolici. Tutti ora capiscono che la questione del dialogo tra Oriente e Occidente dipende dalla situazione a Kiev. Quindi è necessario che Kiev possa portare avanti un dialogo diretto e non venga isolata.

Mi ha stupito molto in questi giorni sentire che da Mosca accusano Bartolomeo di papismo. Né Roma né Costantinopoli oggi hanno le stesse ambizioni geopolitiche che ha Mosca. Ambizioni che vanno dall’annessione di territori all’idea che qualsiasi città europea nella quale ci siano abitanti russofoni sia di fatto un pezzo di Mondo russo. È chiaro che una Chiesa indipendente sarebbe un passo importantissimo verso la liberazione dell’Ucraina dal passato sovietico, ed è proprio questo che oggi provoca la reazione di Putin, che non vuole lasciare andare l’Ucraina: con tutti i mezzi, compresa la strumentalizzazione della Chiesa, cerca di trattenerla a sé. È per questo che oggi la pressione sulla Chiesa ortodossa russa è così forte; mi spiace molto per le persone su cui viene esercitata e che ad essa si piegano.

Qualcuno ha scritto che la questione dell’autocefalia ucraina è un terribile anacronismo nel XXI secolo, il tentativo di vivere secondo modelli d’altri tempi. La storia dimostra che patriarcati e autocefalie diventano importanti solo quando si tocca la grande politica. E quando si parla di politica si dimentica la Chiesa come comunità di fedeli. 

A questo proposito vorrei citare un commento di padre Zelinskij: se milioni di persone lo chiedono da più di 25 anni, se desiderano che i loro sacramenti vengano riconosciuti, come si fa a dirgli: andatevene? Si parla di anacronismo. E i rapporti tra Stato e Chiesa che ci sono a Mosca non sono forse un anacronismo? Dobbiamo uscire dalla logica dell’isolazionismo. L’isolazionismo dice che tutto ciò che viene fatto al di fuori di noi ci fa del male. Se usciamo da questa logica possiamo renderci conto che l’iniziativa che viene portata avanti può essere per il bene della stessa Chiesa russa. È vero: la Chiesa ortodossa russa potrebbe formalmente diminuire il numero dei suoi fedeli, ma questo potrebbe essere per il meglio. In teologia parliamo di kenosis: lo svuotamento interiore che crea lo spazio affinché la forza dello Spirito agisca. Questa è l’occasione per la Chiesa Russa di praticare la kenosis. Non è una questione di numero, ma di qualità.

Nel 1996, quando l’Estonia proclamò la propria autocefalia, fu interrotta per mesi la comunione eucaristica. In quel periodo ero a Oxford e lì celebravano nella stessa chiesa il metropolita Kallistos, del patriarcato di Costantinopoli, e il metropolita Vasilij, del patriarcato di Mosca. Per loro l’interruzione della comunione fu una tragedia; allora il metropolita Kallistos, uno dei maggiori teologi di Costantinopoli, disse pubblicamente che non si può abusare dell’Eucarestia, che non si può interrompere la comunione eucaristica: non lo si fa per differenze dottrinali, tanto meno si può farlo per questioni territoriali. Chi porta avanti questa retorica? Kiev? Al contrario, Kiev vuole superare l’assenza di comunione eucaristica tra Chiese che nella nostra città abitano nella stessa strada, nella stessa famiglia. Questo è il nostro compito.

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