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31 ottobre 2018

 

INVESTIRE IN MODO RAGIONEVOLE NEL FUTURO DI TUTTI

di Alfonso Navarra

portavoce dei Disarmisti esigenti

 

L’economia “verde” genera posti di lavoro in quantità ed è una svolta necessaria per la sopravvivenza dell’intera umanità. La comunità internazionale la postula attraverso tutti gli accordi giuridici nei quattro “campi” in cui si articola il “diritto alla pace”: disarmo, ecologia, diritti umani, giusto sviluppo. Il problema da porsi non è quindi semplicemente la creazione di reddito e di occupazione, ma come garantire reddito ed occupazione ai lavoratori dei settori economici nella fase della transizione. Questo è il problema della “giusta transizione”.

La svolta è necessaria tuttavia non è facile perseguirla: perché gli imprenditori, siano singoli lavoratori autonomi, siano cooperative, siano ditte di varie dimensioni che impiegano salariati, devono cambiare paradigma ed adottare nuovi modelli di business, possibilmente trovando un mercato regolato dai poteri pubblici in tal senso.

L’accoppiata tra grande burocrazia di Stato e profitti delle Corporations spesso rema contro, all’insegna di cortine fumogene che nascondono la sostanza delle vecchie logiche e dei vecchi comportamenti.

Si adottano come dei mantra formule retoriche confuse e persino fuorvianti: della serie “sviluppo sostenibile” ed “economia circolare”.

Se qualcuno ci tiene, le usi pure, queste formule magiche, ma quello che va messo in chiaro sono alcune cose che attengono alla corrispondenza tra i concetti e la realtà:

  1. non basta che si riciclino gli scarti produttivi, quando è meglio evitare in partenza le emissioni nocive;
  2. il “privato” è una cosa, altra cosa è l’appropriazione indebita da parte degli oligopoli di risorse (e beni comuni);
  3. si deve poter misurare una “prosperità”, una situazione florida di appagamento, che ha da coincidere non con l’accumulazione di cose ma con il benessere psico-fisico delle persone e con la loro socializzazione conviviale;
  4. diventa quindi determinante detronizzare il PIL dal trono in cui è stato posto. Ma anche in questo caso, come si può intuire da quanto si è affermato nel punto precedente, al dogma della “crescita” non bisogna contrapporre la smania ideologica della “decrescita”! (Anche questa espressione, per molti mantrica, chi vuole la usi, purché non si resti schiavi delle parole!).

 

Quello di cui comunque bisogna prendere atto, con uno sguardo pragmatico è che già oggi il mercato è “libero” solo fino ad un certo punto e la logica della potenza lo condiziona pesantemente. I movimenti dei capitali sono controllati, i dazi sono applicati, i lavoratori sono contingentati, le risorse sono spesso estorte con la violenza, le leve monetarie e fiscali sono usate a vantaggio di pochi. Dall’altro lato, pur in un ambiente sfavorevole, c’è chi pensa ai profitti senza voler danneggiare il prossimo e c’è anche chi – molti di più di quanto non si pensi - si dà da fare secondo la logica del dono!

Dobbiamo, se possibile, evitare di essere ingabbiati in categorie che ci separano dalla complessità e contraddittorietà del reale.

La società, intesa come la maggioranza dei membri che la compongono, non è guidata già oggi dalla “ricerca del massimo profitto monetario” e non può essere guidata domani con lo spirito (di San Francesco, ma nemmeno francescano, a ben guardare) del “do tutto senza voler ricevere nulla in cambio”.

 

La verità è che i soldi sono importanti per tutti ma solo per alcuni “fuori di testa” sono l’unica cosa che conta nella vita. Quello che dobbiamo evitare è che i “fuori di testa”, i dominati dall’avidità accumulatoria, siano al posto di comando della società, come oggi per lo più succede.

 

Detto e precisato questo, possiamo rivolgerci al “mondo economico” che vuole ragionare e prosperare perché usi l’ultima crisi da cui veniamo come occasione di un profondo ripensamento verso uno “sviluppo” equilibrato e duraturo, che riconcilii l’antagonismo che abbiamo creato tra società e natura. Il “bando ai combustibili fossili” che abbiamo adottato a Parigi con l’accordo sul clima dobbiamo prenderlo sul serio e dobbiamo accompagnarlo, per le stesse ragioni di sopravvivenza, al “bando nei confronti del nucleare”.

 

Finora abbiamo stampato tanta moneta per immetterla nel circuito di una distorta finanza mondiale imperniata sulla centralità del dollaro. Si parla di 20.000 miliardi, mica noccioline! Da oggi un po’ di denaro pubblico, qui in Italia per cominciare, faremmo bene magari a crearlo, ma soprattutto ad impiegarlo, per investimenti, trainanti i privati, con l’obiettivo della conversione energetica ed ecologica. Con una stima approssimativa ma verosimile, potremmo parlare di almeno 100 miliardi di euro ricavabili dalla legge Gentiloni che individua 24 opere prioritarie nocive, dal risparmio sulle spese militari incostituzionali (riarmo atomico a Ghedi ed Aviano, F35, MUOS...) e dall'abolizione degli incentivi alle fonti fossili.

Questi investimenti dobbiamo attivarli non solo perché guardiamo ai loro vantaggi a breve termine, che pure indubbiamente esistono. Ma anche e soprattutto perché ormai – ce lo dicono gli scienziati dell’IPCC – non abbiamo alternative. Comunque è sempre bene stare attenti a che “sprechi verdi” non subentrino a “sprechi bruni” e che si indirizzino i soldi a ciò che più risparmia inquinamento, moltiplica giri economici, promuove innovazione, cioè saggio uso di nuove conoscenze.

 

Abbiamo un decalogo virtuoso di misure da implementare (magari con il piano triennale di 100 miliardi di investimenti cui abbiamo accennato):

  1. sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, convertendo il più possibile i cannoni in mulini
  2. riqualificare energeticamente abitazioni, scuole, uffici, fabbriche
  3. risistemare le città per garantire il diritto alla casa e ripopolare le campagne
  4. sviluppare riutilizzo e riciclo dei rifiuti, ma anche prevenire la loro formazione
  5. riqualificare il sistema idrico nazionale nel rispetto del referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua
  6. intervenire per la riduzione del rischio idrogeologico
  7. disindustrializzare l'agricoltura rafforzando le coltivazioni biologiche e sostenibili
  8. bonificare i siti inquinati e contaminati
  9. puntare sulla mobilità elettrica riequilibrando verso il trasporto pubblico e verso il ferro contro la gomma
  10. potenziare ed orientare ricerca, istruzione e formazione, restituendo centralità all'impegno pubblico, verso la conversione energetica ed ecologica e verso il “diritto alla pace”.

 

Questo decalogo può benissimo rimanere una serie di slogan vuoti, soprattutto se non è nutrito dalla consapevolezza che le misure "costruttive" avrebbero necessariamente da farsi spazio nella distruzione di vecchie strutture, dinamiche e concentrazioni di interessi. Per passare a piani concreti, ai fatti, abbiamo bisogno del sincero contributo di mente e di cuore delle donne e degli uomini di buona volontà, a partire dagli attivisti sociali “iridati” e “competenti”.

 

A dire il vero, guardando a come si è messa la politica italiana, sia di “cambiamento”, sia di “opposizione”, forse dovremmo rimettere il cervello al primo posto perché con la pancia abbiamo già dato, mandando al potere “sovvertitori di caste” e “rottamatori” farlocchi.

Sembra, nel nostro dibattito pubblico sconclusionato e del tutto surreale, che il principale problema da fronteggiare sia una inesistente “invasione degli immigrati” che ci condurrebbe ad una “sostituzione etnica e culturale”: l’Italia rischierebbe di diventare addirittura musulmana!

La mia convinzione è che, per una risposta efficace al “cattivismo” dilagante, dobbiamo contrapporre alla falsa narrazione dell’invasione musulmana che staremmo subendo una capacità di ricondurre l’attenzione sui problemi veri che ci affliggono, causa reale delle frustrazioni e delle incazzature, e che tuttavia bellamente ignoriamo, cioè ci convinciamo ad ignorare prestando fede alle balle di distrazione di massa propinate a tutto spiano.

 

Ne elenco due.

 

La finanziarizzazione imperniata sul dollaro (l’euro è subalterno) insieme all’appropriazione da parte dei proprietari dei grandi mezzi di produzione del progresso tecnologico “digitale” hanno operato una grande, iniqua, redistribuzione della ricchezza dai redditi da lavoro a favore dell’1% già più facoltoso. Per fare un esempio, se si guadagnano 1.600 euro al mese, che pare sia lo stipendio medio in Italia, avendo perso, dal 2008 al 2018, un terzo del potere di acquisto grazie al trasferimento di ricchezza sopra richiamato (dati Banca d’Italia), ci si dovrebbe lamentare più che per Mohamed che ciondola sotto casa nostra per i 2.400 euro al mese che si dovrebbero percepire e che invece non si percepiscono!

La narrazione della “Grande Invasione” dovrebbe, insomma, essere soppiantata dalla narrazione della “Grande Rapina” subita!

 

Questa Grande Rapina spiega, ad esempio, perché il vero problema dell’Italia non è la Grande Invasione, che non c’è, ma la Grande Emorragia, disgraziatamente molto reale, dei giovani che scappano, specialmente dal Sud,  e scappano dalle province periferiche alle città e soprattutto all’estero!

Stando ai dati UNHCR, fra il 2014 e il 2017, cioè nei quattro anni in cui è stato più attivo il flusso dal Nord Africa, sono arrivate via mare in Italia circa 623mila persone. Di questi, poche persone si fermano entro i confini nazionali: spesso avevano parenti altrove in Europa oppure si sentivano più a loro agio in un paese dove erano in grado di parlare almeno una lingua, come Francia o Regno Unito. Ma, per farla breve, e omettendo di inseguire le cifre ufficiali, prendiamo pure per buone le cifre che spara il Ministro alle ruspe Salvini: abbiamo, in Italia, 5 milioni di stranieri e 500.000 clandestini, su una popolazione di 60,5 milioni di abitanti.

 

Allora entrano 150.000 stranieri l’anno, con tendenza alla diminuzione (quest’anno se ne prevedono solo 100.000, di cui appena 20.000 dal mare),  ma quanti sono gli italiani che abbandonano il loro paesello? Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 elaborato dal centro studi e ricerche IDOS e Confronti registra che oggi gli emigrati italiani sono tanti quanti erano nell’immediato dopoguerra. In numero ufficiale, oltre 250.000 l'anno, di cui 150.000 con la valigia per l’estero.

A emigrare - sottolinea il report - sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. Ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il Paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca, come risulta da una ricerca congiunta condotta nel 2016 da IDOS e dall'Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse.

Queste cifre, poi, udite udite!, dovrebbero essere aumentate di almeno di 2,5 volte perché, ad esempio, le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti nei registri pubblici tedeschi e britannici!

 

Morale della favola che non ci stanchiamo a ripetere, stiamo subendo, specialmente nel Meridione, da decenni, uno spopolamento intellettuale e giovanile, un vero e proprio dissanguamento, ed invece nei talk show televisivi non si fa che dibattere se respingere o accogliere quelli che a paragone potrebbero essere considerati quattro gatti!

Il Paese rapinato, umiliato e vessato è quello che subisce in silenzio l’emorragia dei suoi giovani, lasciati senza speranza, incazzandosi invece contro gli immigrati!

Quello che allora dovremmo fare è trovare le risorse per gli investimenti pubblici nell’economia verde anche dalla restituzione da parte dei ricchi imbroglioni dell'1% e dei loro maggiordomi politici e professionali (il 10%, dove spesso troviamo soggetti tanto più ipocriti quanto più rivoluzionari a chiacchiere) delle somme  che ci hanno sottratto attraverso finanziarizzazione e robotizzazione digitalizzata.

Se ci preoccupiamo di restituire le condizioni per la speranza ai giovani di casa nostra avremo anche la credibilità per portare avanti il giusto discorso della solidarietà con gli immigrati. Magari ricordandoci che la libertà di circolazione e di residenza è un diritto umano fondamentale (art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, di cui ricorre quest’anno il 70esimo anniversario).

Quando erigiamo un muro contro lo straniero in realtà stiamo rinchiudendo noi stessi dentro una prigione che riteniamo fortezza difensiva: sono le nostre libertà e sono i nostri diritti a cui per paura rinunciamo e questo non dovremmo mai dimenticarlo.

 

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