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16 novembre 2018

 

Perché l'Ecuador potrebbe scaricare Assange 

di Maurizio Stefanini

 

Gli Usa sono pronti a procedere contro il fondatore di Wikileaks. Ospite sempre meno gradito di Quito. L'ex presidente Correa che gli concesse l'asilo è fuggito in Belgio e con Moreno è cambiata l'aria. 

 

Per Julian Assange, dal 2012 ospite dell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, si mette male. Per errore, un assistente procuratore in Virginia ha rivelato che il dipartimento di Giustizia Usa ha preparato una richiesta di rinvio a giudizio per il fondatore di Wikileaks, e potrebbe anche aver già presentato accuse formali nei suoi confronti tra cui quella di spionaggio.

 

Non che prima, il fondatore di Wikileaks se la passasse benissimo. Anche perché come dice il proverbio, l'ospite dopo tre giorni puzza. Già nel gennaio 2018, come riportato dall'International Business Times e Fox News i diplomatici di stanza a Londra avevano sbottato platealmente: «Assange non si lava!». Una denuncia d’altronde coerente con quanto ha testimoniato sempre all'International Business Times Daniel Domscheit-Berg, già tra i più stretti collaboratori dell'attivista australiano: «Julian mangiava con le mani che poi si puliva sui pantaloni. Non ho mai visto pantaloni unti come i suoi in tutta la mia vita».

 

IL NUOVO PROTOCOLLO DI QUITO

Indiscrezioni che forse danno un senso particolare ad alcune clausole del nuovo protocollo che il governo di Quito ha imposto al rifugiato lo scorso ottobre. Respingendo un ricorso che Assange aveva presentato attraverso l’ex-giudice spagnolo Baltasar Garzón, la giudice Karina Martínez ha infatti stabilito che o accettava il nuovo stretto regime che gli era stato imposto o poteva lasciare l'edificio. E in questo regime oltre al contingentamento di visite e comunicazioni erano presenti anche precisi obblighi di igiene. «Non sono stati violati i suoi diritti di rifugiato perché concedere o ritirare l’asilo è potestà dello Stato ecuadoriano», ha statuito la Martínez.

 

LE RESTRIZIONI IMPOSTE DA MORENO

Ovviamente, però, non era l'odore il problema principale. A dicembre 2017 il presidente equadoriano Lenín Moreno aveva imposto ad Assange di firmare un impegno a non fare dichiarazioni che potessero compromettere le relazioni tra il governo di Quito e altri Paesi. Ma a marzo lui era sceso chiassosamente in campo a favore dei secessionisti catalani. Di tutta risposta gli erano stati tolti sia l’accesso a Internet, sia il diritto a ricevere visite. Adesso l’uno e l'altro sono state ristabiliti, ma in modo limitato. Ora può collegarsi con il suo pc e con il suo cellulare ma solo attraverso la rete wifi dell’ambasciata. I visitatori si devono annunciare tre giorni prima, devono segnalare i propri dispositivi elettronici, e l’ambasciata può acconsentire o meno al loro ingresso senza dare spiegazioni. Inoltre Assange deve pagare le sue spese di mantenimento, deve sottoporsi a visite mediche trimestrali pure a sue spese, e appunto deve provvedere alla pulizia di sé, della sua gatta e degli spazi che utilizza. Altrimenti, appunto, lo cacciano. Ma c'è di più. Indiscrezioni circa una sua possibile estradizione begli States erano già circolate dopo la visita del vicepresidente Usa Mike Pence a Quito, lo scorso giugno. L'Ecuador pareva pronto a consegnare a Washington il rifugiato.

 

Julian Assange nell'ambasciata dell'Ecuador di Londra nel 2012.

 

IL DOPPIO FILO CHE LEGA ASSANGE A CORREA

«Rifiutiamo queste maliziose dichiarazioni», aveva risposto il procuratore nazionale Íñigo Salvador, «l’Ecuador non agisce su pressioni di altre nazioni». «È un protocollo perfettamente in regola con la normativa internazionale sul diritto di asilo», aveva aggiunto il ministro degli Esteri José Valencia. Ovvio che se tali pressioni ci fossero state non sarebbero mai state ammesse. La verità però è un'altra. E cioè che queste pressioni non sono nemmeno necessarie, dal momento che l’evoluzione della situazione di Assange è strettamente collegata all'evoluzione interna dell’Ecuador.

 

LA "FUGA" DELL'EX PRESIDENTE IN BELGIO

Fu Rafael Correa a concedere l'asilo ad Assange nel 2012. L'ex presidente in questo momento però si trova a sua volta esule in Belgio, Paese natale della moglie. Vero, la notizia diffusa l’8 novembre secondo cui avrebbe chiesto formalmente asilo al governo di Bruxelles è stata smentita dal diretto interessato in una intervista a France 24. Ma si tratta di una smentita che in realtà sa molto di conferma. Insomma, non avrebbe chiesto asilo ma starebbe pensando di chiederlo: «Lo sto studiando, utilizzerò tutti i diritti che ho per difendere me e la mia famiglia». Comunque per il momento non torna in patria, perché all’arrivo sarebbe immediatamente arrestato. Il 7 novembre, infatti, Correa e altri tre ex-funzionari sono stati rinviati a giudizio con la pesante accusa di tentato sequestro di persona. Fernando Balda, deputato dell’allora opposizione, l'agosto del 2012 a Bogotà fu aggredito da un commando composto da quattro uomini e una donna, rinchiuso in un veicolo e liberato dopo un'ora e mezza dalla polizia colombiana.

 

L'ex presidente dell'Ecuador Rafael Correa.

Secondo il giudice Daniella Camacho, Correa fu il mandante, e pagò gli esecutori con denaro pubblico.

 

Secondo lo stesso Correa, che rischia tra i cinque e i sette anni, si tratta di una persecuzione politica orchestrata dall’attuale presidente Moreno. «L’Ecuador è un Paese senza Corte Costituzionale», ha denunciato l'ex presidente, «con un Consiglio della magistratura pieno di miei nemici politici». È però anche un Paese in cui un giudizio in contumacia non può iniziare in sua assenza: per questo all’Interpol è stata sollecitata la sua estradizione. Ed è, soprattutto, un Paese la cui Costituzione attuale è stata voluta da Correa di cui Moreno è stato vice.

 

LA ROTTURA TRA IL PRESIDENTE E IL SUO DELFINO

I due, però, hanno rotto nel modo più clamoroso. Moreno ha addirittura indetto un referendum per modificare la Costituzione in modo da impedire a Correa di ricandidarsi. «Traditore, sleale e mediocre», sono alcuni degli aggettivi con cui Correa ha definito il suo ex-delfino. «Correa soffre di crisi di astinenza dal potere», ha risposto Moreno. «Mi ha lasciato una situazione economica disastrosa». Jorge Glas, un vicepresidente che invece a Correa era rimasto fedelissimo, prima si è visto togliere tutti i poteri, poi è finito addirittura in galera per corruzione. Nel settembre 2017 Moreno ha accusato il suo predecessore di averlo spiato. «Da sette o otto anni c’era nell’ufficio del presidente una telecamera che sorvegliava tutto dal suo cellulare, e non me l’aveva detto!», aveva sbottato in tivù. «Se riesce a provarlo mi metta in carcere. Sennò rinunci alla Presidenza», gli aveva risposto altrettanto furibondo Correa.

 

VICUÑA E LE ACCUSE AL FONDATORE DI WIKILEAKS

Al posto di Glas adesso c’è María Alejandra Vicuña: con i suoi 42 anni, è la vicepresidente più giovane della storia dell’Ecuador. In una intervista al País ha accusato Assange di «ingratitudine» per aver fatto causa al Paese che lo ha ospitato per sei anni. Alla domanda se il governo stia pensando di ritirargli la condizione di rifugiato ha risposto secca: «Sarà una decisione del presidente della Repubblica, sempre rispettando i diritti umani di Assange».

 

QUANDO L'ECUADOR ERA IL MODELLO DEL M5S

Da ricordare che la Rivoluzione cittadina di Correa era stata presa dai cinque stelle come modello. «Vogliamo esprimerle la vicinanza del M5s che, per molti aspetti, prende spunto proprio dalla Revolución Ciudadana e dai principi della democrazia partecipativa oggi in vigore in Ecuador», era l’inizio di una lettera che Beppe Grillo e Manglio Di Stefano avevano indirizzato a Correa a fine gennaio 2017.

 

Lo screenshot della lettera inviata da Beppe Grillo e Manlio Di Stefano all'allora presidente dell'Ecuador Rafael Correa.

 

«Quando divenne presidente, lei ereditò un Paese in macerie per il debito estero e nel 2006 decise di non continuare a uccidere la sua popolazione, considerando persone non grate i rappresentanti della Banca Mondiale e del Fmi; imponendo poi un audit sul debito che ne certificò l'immoralità e le irregolarità manifeste da parte degli istituti finanziari nord-americani ed europei». Dunque, spiegavano il co-fondatore e l'allora responsabile Esteri dei pentastellati, «quando noi andremo al governo prenderemo a modello queste sue parole nei futuri rapporti con la Troika europea e del Fmi». In realtà Correa aveva mantenuto la dollarizzazione, decisa nel 2000, pur alleandosi con i governi anti-yankee di Hugo Chávez in Venezuela e di Evo Morales in Bolivia: una contraddizione che lo stesso Correa, economista con master negli Usa, aveva plasticamente rappresentato nell’autodefinizione di «Chicago Boy di sinistra». Con lui l’economia era andata abbastanza bene fino al 2016, poi era crollata. Soprattutto, però, a livello internazionale era diventato famoso per aver dato asilo ad Assange. Adesso l’asilo ad Assange rimane l’ultima "eredità" di Correa lasciata al governo di Moreno. Sì, ma fino a quando?

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