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19 aprile 2018

 

Scuola e sopraffazione

 

Snuff movies tra i banchi di scuola: ogni episodio di violenza catturato da smartphone tra le mura scolastiche si candida alle migliaia di visualizzazioni catturando un pubblico attratto da un misto di sadismo e curiosità morbosa. Così si passa da Scuola Zoo all’allarme bullismo. Con la complicità dei video-consumatori: chi lo guarda e chi lo commenta. Non i pedagoghi, ma i formatori, come si dice ora, salgono in cattedra!

 

Ora va per la maggiore e riaggiorna il filone la vicenda dell’istituto tecnico di Lucca dove un ragazzo urla al professore di mettergli sei. Lucca, Venezia, Velletri, Chieti ogni scuola in ogni angolo d’Italia è ostaggio delle gang di bulli, una categoria fuffa da sociologi on line utile a ridurre i fenomeni in ballo al binomio vittima/aggressore per punire l’aggressore e riconsegnare la vittima al suo sistema lasciandone immutato il ruolo. Si mobilitano i questurini, fioccano gli indagati e tutti quelli che mai ne hanno assaggiato in vita loro invocano punizioni esemplari a suon di cinghiate e schiaffi per ristabilire la buona educazione. Palati fini per sapori forti.

 

Insomma questa storia del bullismo è un raccontino speso a buon mercato per ogni caso di cronaca minorile: un termine ambiguo ed esteso che vede ovunque aggressori forti e vittime deboli. Ma in questo caso viene occultato qualcosa, quel rapporto rivelato da un frame preciso in cui il nemico pubblico del’iti di Lucca sbraitando contro il professore punta l’indice e ammonisce “chi è che comanda qui?”... e quello? E quello si ritrae mettendo al sicuro il tablet del registro elettronico, la risorsa del comando, il terminale che sanziona o premia. Oggi la scuola è sopraffazione. Il bullo cosiddetto è lo sfigato che esteriorizza una reazione a una regola formativa ricattatoria... conseguire il risultato non è in fondo tanto diverso da strapparlo, basta ottenerlo il sei e per ottenere si comanda. Chi è comanda qui? È la scuola, e perché dovrebbe intenderla diversamente, il bullo cosiddetto? Gli hanno insegnato che si tratta di quello, di comando. Gli è andata bene fino a quando uno smartphone non l’ha tradito: aveva imposto in classe la sua autorità ma il mondo esterno ristabilisce quella del professore. Allora di nuovo ognuno al suo posto, punite il mostro e assicurate il tablet al prof, a maggio ci sono i test invalsi, gli obiettivi da conseguire e bisogna prepararsi a conseguirli. Costi quel che costi.

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21 aprile 2018

 

Scuola, sopraffazione e Michele Serra

 

Torniamo sui fatti del ragazzo all’attacco del prof. a Lucca. Si aggiunge anche il rammarico dei filantropi progressisti che denunciano il classismo della nostra società per arroccarcisi meglio. “Un’operazione sgradevole” sottolinea il solito Serra dalla sua amaca.

 

Dondolando, comodo e riflessivo, aggiunge che “non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”.

Cristallino. Verosimile. Ma non scandaloso. Lui da una parte, noi dall’altra. Apparteniamo a quella specie che della mistica proletaria, della difesa a oltranza della merda del nostro mondo non ne ha mai fatto un cavallo di battaglia perché il nostro mondo vogliamo trasformarlo combattendo quello nemico. Ci amiamo e ci odiamo per come siamo, ma non concediamo ad altri il privilegio dolce della comprensione o quello amaro della severità nei nostri confronti. Serra pecca di “tracotanza”, l’hybris di cui il giovane proletario del tecnico di Lucca si sarebbe macchiato, a suo dire.

Va oltre il seminato perchè dice quello che è ma non va proclamato per non rivelare tutta la verità: la violenza è una regola sociale, ma l’attribuisce come stigma ai proletari per occultare quella della ruling class, la sua. Ha l’ansia di ristabilire un primato di classe fondato sulla stessa violenza che deplora, anche se calza i guanti dell’educazione, della padronanza delle parole, dei gesti e delle regole. Per dirla con la volgarità che imita i nostri “padri e madri ignoranti e impreparati alla vita”, Michele Serra ha proprio cagato fuori.

Non stiamo a girarci attorno. É con disagio che abbiamo scorto la debolezza dietro alla presunta aggressività del ragazzotto del tecnico. Uno sfigato. Perché tutto ritorna come prima: le regole, le buone maniere l’educazione... la scuola e la sua regola violenta, quella che considera questo ragazzo una bestia selvatica da ghermire e ne fa una bestia ghermita, quella che all’apice della sua missione formativa lo considera un contenitore da riempire e lo riempie a tutti i costi, con la forza, con il ricatto, con il comando.

Questa è la violenza dell’istituzione scolastica che divide chi ha i mezzi per accettarne le regole da chi non li ha. Questa linea di classe c’è nella nostra scuola, ne struttura l’istituzione, informa la regola del processo formativo oggi. É sfumata negli istituti liceali, meno affollati di popolani e populisti, come direbbe Serra, ed è negli istituti tecnici una trincea in cui si riparano professori e alunni aspettando la fine della guerra della scuola dell’obbligo per consegnare quelle bestie ad altre ostilità nel mondo di fuori.

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