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13/7/18

 

Juncker ubriaco, emblema di un’Europa che crolla

di Valerio Malvezzi

 

Nota di FL. YouTube ha censurato il video posto da Valerio Malvezzi, per cui abbiamo dovuto cercarne uno differente, ma significativo, da Facebook, in  Francese. Efficienza della censura. 

 

Vedere quelle immagini produce tristezza.
Un vecchio che oscilla, incapace di reggersi sulle proprie gambe, ridanciano e scomposto nei gesti, articolando parole che, immagino, siano sconnesse come i suoi pensieri.
Ad alcuni, compresi primi ministri, provoca involontaria risata, soffocata dall’imbarazzo.

Perché questo indecoroso spettacolo pubblico non è elargito da un barbone in una qualunque stazione dei treni italiana.


Questa scena imbarazzante è proposta in mondo visione da un Signore che, degli italiani, ha spesso formulato giudizi critici, sprezzanti, al limite dell’offesa e del buon gusto.

Questo Signore è il Presidente della Commissione Europea, Juncker, cioè il vertice del Governo che decide sulla vita di noi tutti, cittadini europei, italiani baffi neri e mandolino, mafia e spaghetti compresi.

 

Quando tu, Juncker, dicevi ancora recentemente che gli italiani dovrebbero recuperare competitività, lavorare di più, essere meno corrotti e non accusare l’Europa dei propri mali, parlavi come Presidente di tutti noi, sudditi spreconi della nostra vita.

Ma noi non siamo tutti mafiosi e non balliamo come cicale aspettando che le operose formiche del nord Europa lavorino per noi.


Se non altro, noi camminiamo eretti sulle nostre gambe, e non abbiamo bisogno di nessuno che ci sostenga.

 

Ti ricordo, Presidente, che il bilancio dell’Italia nei confronti dell’Unione Europea è a credito per decine di miliardi, a differenza di quanto la tua vergognosa narrazione (e quella dei tuoi tanti servili cortigiani) tende a far credere.

 

Da creditore, pertanto, sono a dirti esattamente l’opposto di quanto affermi. L’Italia lavora in ore medie lavorate pro capite più di tanti altri paesi del nord, Germania compresa.

La nostra inefficienza, te lo scrivo da economista, è dovuta a una moneta senza stato, che in un sistema a cambi fissi e in un modello predatorio ha avvantaggiato gli uni e penalizzato altri.

 

Ti dirò di più; è stato fatto per quello.

Solo che questo popolo ora si è stancato di vedere imprenditori suicidarsi in onore delle vostre presunte “riforme”.


Questo popolo si è stancato di tagliare le pensioni per far quadrare bilanci che non possono quadrare, perché sono gli interessi sul debito verso banche private e non più pubbliche a mangiarli.


Questo popolo si è stancato di perdere posti di lavoro in onore della vostra “produttività”, che si dovrebbe chiamare come è: deflazione salariale.


Questo popolo si è stancato di tagliare la spesa pubblica per gli anziani non autosufficienti, per i malati di cancro negli ospedali, per i posti di lavoro dei giovani disperati costretti ad emigrare, mentre voi organizzate spostamenti di massa tra continenti per abbassare la competitività salariale, con una lotta tra poveri.


Questo popolo si è stancato di credere alla favola dello spread e dei “mercati”, perché ha capito che una banca centrale, se vuole, può metterli a tacere per il bene del popolo, comprando i titoli dello Stato oggetto di speculazione privata.

 

E a chi mi dice che questa sia demagogia, caro signore, da economista rispondo con un garbato; “vaffanculo”.

Lo faccio in memoria degli imprenditori suicidi di Stato, dei risparmiatori truffati dal bail in, dei poveri senza lavoro e speranza.

 

Quella scena di te che oscilli tra i grandi delle terra rimarrà indelebile nella memoria di milioni di persone.

 

Quella resterà nei libri di storia, te lo dico oggi, come una pagina memorabile.
Il tuo oscillare, dopo tanti anni di sicumera ed arroganza, dopo aver offeso un intero popolo, rimarrà ad imperitura memoria della caduta del vostro potere.
Tu sei il simbolo cadente, Juncker, di un potere decadente.

 

Ti possono sostenere membri della corte compiacenti, come nei penosi filmati che circolano in rete tutto il mondo ha potuto vedere.


Non ti potranno sostenere in eterno, perché la rabbia del popolo oppresso è inarrestabile, e colma ne è la misura.

 

La tua traballante camminata, su quel tappeto rosso, produce ilarità.
Bene lo spiegava Pirandello – un grande italiano sai? – nel fatto che l’imprevisto provoca il riso.

 

Ma dopo quel riso, la riflessione è amara è ineluttabile. Tu sei il simbolo, insostenibile e indifendibile, della barcollante tenuta di un sistema oligarchico di potere che, irrispettoso del bene e del volere del popolo, lo ha oppresso per vent’anni.

 

Potrete offenderci con le parole; potrete chiamarci demagoghi o populisti, retrogradi o qualunquisti, razzisti o nazionalisti.

 

Non potrete fermare l’ineluttabilità degli eventi, come non si può sorreggere un corpo senza più energia dalla forza di gravità.

 

L’unione europea dei burocrati, dei prevaricatori, dei legislatori che pretendono di sfuggire al giudizio popolare non potrà reggersi a lungo, perché priva delle gambe della moralità.

Un’Europa che ha anteposto alla legge del cuore quella del portafoglio non può andare lontano.


Un’Europa che si preoccupa più dei mercati che dei suoi cittadini non potrà coesistere con le loro speranze.


Un’Europa che antepone la finanza alla morale non ha più futuro.

Io ti dico oggi che la tua incerta e indecorosa camminata, in un traballante contesto ufficiale, non è altro che la simbolica anticipazione di un’ineluttabile caduta di un intero centro di potere illiberale, non democratico e oligarchico.

 

Quel tipo di Europa cadrà, prima o poi.
E io sarò lì a vederlo e a segnarlo sui libri di storia, come tanti miei concittadini italiani, donne e uomini dalle gambe salde e dal cuore puro.

 

Ti manderemo un biglietto in tanti, quando quella Europa, la vostra e non certo la nostra, cadrà.


Lo faremo ricordando un verso in endecasillabi di un altro grande Italiano, un poeta che ricordava che esiste l’inferno, ma poi c’è il Paradiso.


“E cadde come corpo morto cade.”

Sul mittente di quella missiva leggerai; un italiano come tanti.

 

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