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11 dicembre 2018

 

C’era una volta Macron: sembrava un liberal, ed è il peggiore dei padroni

di Fulvio Abbate

 

Accolto in tutta Europa come la soluzione ai populismi, ha innescato la peggiore delle rivolte sub-populista. Ha semplicemente aiutato i ricchi e depresso i poveri. Parabola di un enfant prodige che si è rivelato un ragazzino senza prodigi

 

E se fossimo già, quasi, al "C’era una volta Macron"? Chi mai avrebbe immaginato per il tecnocrate Emmanuel un destino terminale, l’elicottero pronto lì sul tetto dell’Eliseo, come già gli americani, un tempo, nell’ambasciata di Saigon, o comunque, se non proprio quello, la “DS présidentielle”, già accordata per schizzare via al primo sentore di rivolta che si fa rivoluzione, evidente conclusione di una carriera che, almeno inizialmente, confidavamo invece brillante, invidiabile, unica. O piuttosto, perdonate l’iperbole nella sequenza delle possibili vie di fuga repentina, degna di un Noriega, povero Macron privo tuttavia della maschera tragica - la “cara de piña” - e insieme caricaturale dell’uomo di Panama, semmai da scolaretto disegnato da Sempé. Macron che, assente come sempre alle leggi dell’empatia, si rivolge ai suoi concittadini, meglio, sembra parli della Francia in terza persona, quasi non fosse direttamente affar suo, un piccolo mea culpa, forse neppure tale, faremo, sì, faremo, ho dato disposizione si faccia… Quasi la Quinta Repubblica voglia cedere il passo a una possibile Sesta.

 

Ma cominciamo dalle (migliori?) premesse: come altri leader francesi post-gollisti, segnati dall’olio santo e dalle insegne della moderazione, Macron si era annunciato muovendo da slogan impeccabili da blazer, parole come “confiance”, degne di un Raymond Barre o il Giscard d’altri tempi, fiducia, sì, fiducia. Lo so, che il suo programma recitava in verità più dinamicamente un “En marche”, parafrasi della “Marsigliese” e insieme, implicitamente, degli indicatori economici, parole perfette, in tinta per un ex grande burocrate della Banca d’affari Rothschild, eppure, meno di due anni dopo, a giudicare dal monte premi politico, la sua marcia sembra ormai mostrarsi affannosa, effimera, frutto di un eccessiva valutazione di sé, fallimentare il programma neoliberista e il profilo securitario che tuttavia non ha scaldato l’anima già poujadista del paese, segno di un ircocervo politico che trasfigura i propri trascorsi nel governo socialista di Hollande in un’altra prospettiva, come dire, padronale.

 

E ancora si fa fatica a dimenticare l’immagine della sua “guardia del corpo”, Alexandre Benalla, che durante le manifestazioni di piazza dello scorso primo maggio illecitamente fermava dei manifestanti aggredendoli, utilizzando impropriamente il casco e le funzioni della Gendarmerie. Si deve a un video pubblicato da “Le Monde” se la condotta di un simile figuro ha potuto essere mostrata e pubblicamente denunciata. Sempre Benalla, lo si apprende da “Canard enchaîné”, avrebbe imposto un "ritmo infernale" il 16 luglio al convoglio dei “Bleus” per assicurare a Macron, in calo nei sondaggi, l'apertura in diretta dei tg delle 20 dall'Eliseo con i giocatori di calcio della nazionale francese, campioni del mondo in Russia. Piccole grandi miserie di un giannizzero, che tuttavia Macron ha cercato di proteggere e coprire fino a quando la situazione non ha messo in serio pericolo la credibilità delle intere istituzioni.

 

Caratterialmente parlando, sebbene sia nato nel 1977, esattamente un anno dopo l’uscita nelle sale di “L'argent de poche” di Truffaut, l’indole del ragazzo Macron può perfettamente suggerire il mondo dei ragazzini narrato in quel film, senza tuttavia la perfidia di chi, rimasto in casa, agguanta un megafono per urlare al vicinato che i genitori l’hanno lasciato solo e digiuno, al contrario l’uomo si mostra fin dall’inizio pizzuto come perfetto rampollo destinato, se non all’École spéciale militaire de Saint-Cyr, comunque all’ENA, l’istituto superiore, vivaio dei quadri dirigenti della nazione.


E ancora, nel suo caso, la relazione con l’ex insegnante di lettere e latino, Brigitte Trogneux, 24 anni di differenza, non ispirerà pellicole tragiche tipo “Morire d’amore”, Annie Girardot protagonista, al contrario sarà propellente per la carriera, perfino a dispetto delle voci su una presunta omosessualità, nulla comunque di problematico in una società aperta come la francese.

 

Chissà perché nel suo caso, aldilà del tratto decisionista, calco di un predecessore come Sarkozy, la maschera dura e insindacabile dei garantiti che hanno transitato tra Neully-sur-Seine e il Lycée Henri-IV, il “classico” parigino per definizione, vi è tuttavia qualcosa di ridicolo, se non caricaturale, in Emmanuelle M. Lo si ravvisa, per esempio, nelle foto di circostanza ufficiale, concessione al glamour spettacolare, che lo mostrano insieme ad alcuni rapper, uno dei quali addirittura innalza il dito medio senza che il diretto interessato se ne accorga, eppure lì c'è lo stesso Presidente che, tempo prima, aveva redarguito un ragazzino colpevole di essersi rivolto a lui durante una commemorazione dell’appello alla Resistenza di De Gaulle con un amichevole “Ça va, Manu?”, “Come va, Manu?”

 

A futura memoria della presidenza Macron resteranno anche le immagini video di un centinaio di ragazzi, zaini alle spalle, inginocchiati con le mani sulla nuca e contro un muro, così costretti dai poliziotti. L'episodio è avvenuto davanti a un liceo di Mantes-la-Jolie, località a una cinquantina di chilometri da Parigi. Immagini da stato di polizia. Le immagini dei 146 ragazzi, le mani sulla testa, hanno perfino costretto il ministro dell'Istruzione, Jean-Michel Blanquer, a dirsi "sconvolto" per l’accaduto. Un episodio inaccettabile per un paese che non ha mai dimenticato il cosiddetto massacro del métro Charonne, a opera della polizia nel 1962.

 

Lo stesso presidente che aveva presenziato ai funerali di Aznavour, doveri di Stato, protocollo per la memoria canora dell’Esagono, sull’eco delle macerie del Partito socialista, costretto intanto a svendere perfino la sede di Rue de Solférino, simbolo dell’età dell’oro dei consensi conquistati da “Tonton”, ossia Mitterrand”, Macron cui si deve d’avere bloccato alle ultime presidenziali, segnate appunto dalla débâcledella sinistra storica, l’avanzata della destra populista di Marine Le Pen in nome del “fronte repubblicano” dei moderati, poiché com’è noto la destra francese è, sì, tale nei principi e nella difesa dei privilegi di pochi, ciononostante storicamente può vantare di avere combattuto nella Resistenza immolando molti dei suoi figli, davvero altro dalla destra italiana che nell’orbace mussoliniano si trovava a suo agio.

 

E adesso? Lo spettacolo, al momento, sembra appunto mostrare, se non l’elicottero del paradigmatico si-salvi-chi-può sud vietnamita, certamente proprio la Ds ammiraglia presidenziale sul tetto dell’Eliseo, pronta a fuggire via quando la situazione sarà davvero insostenibile, ingovernabile. Fa tenerezza, a fronte della sua arroganza e di un programma di governo che sembra aver freddamente ghignato in faccia ai meno abbienti per dare invece ai "ricchi", ridotto in povertà, trasformati in nuovi sanculotti i Dupont, così per gratificare al contrario, metti, i Conti di Poitiers o i Duchi di Brissac, fa un po’ tenerezza che adesso l’uomo ammetta di avere commesso delle “conneries”, sciocchezze, coglionate, di più, stronzate, e soprattutto pensare a chi, in questi anni, cominciando dall’Italia si sia riferito a lui come nuova frontiera di un riformismo in grado di mettere in atto senza complessi una politica liberista, perfino immagunando un movimento para-macroniano, qui il pensiero va a Renzi, al suo candore. Si sa per certo che, al di là delle promesse elettorali, ha gratificato la borghesia imprenditoriale garantendo la riduzione delle tasse sul capitale finanziario, in luogo di questo soccorso alle classi dominanti, alle élite, gli altri non hanno visto invece nulla. Il possibile detonatore di una rivolta è presente in nuce in questa sua colpevole cecità.

 

 Dovrà far riflettere che, al di là delle scritte modello base della protesta in atto a Parigi e in molte altre località del paese - “Macron démission” - accanto a quest’invito, lo slogan più ripetuto, e perfino segnato con i pennarelli sui gilet gialli sia invece “Macron enculé”, parole certamente turpi, proprie di una Francia profonda che vuol cingere d'assedio Parigi, "argot" della rabbia, come spiegherebbe assai bene Louis-Ferdinad Céline se fosse ancora fra noi, magari la stessa che figura anche in un sito porno come “Jacquie et Michel”, sarà bene rammentare allora che i francesi sono maestri nel disselciare i pavé, nelle rivoluzioni: quando sull’Arco di Trionfo, lungo gli Champs-Élysées, c’è modo di scorgere spray: “Bruceremo l’Eliseo”, forse, qualche domanda è il caso di porsela.

 

C’era, forse, una volta Macron. La quasi certezza che dopo il suo breve regno possano arrivare i barbari è un nodo che nulla toglie all’inadeguatezza dell’uomo con la sua arroganza, Emmanuel pensava ad essere la soluzione, Manu non lo era. A dispetto delle promesse pronunciare con il ghigno della terza persona, d’avere ammesso "uno stato di emergenza sociale ed economica" e dichiarato che la sua “legittimità deriva dai francesi, non dalle lobby”, la DS présidentielle, se non ha già ingranato la prima, poco manca.

 

 

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