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24 settembre 2018

 

“Prima i tedeschi!”, e ci scopriamo migranti come gli altri…

di Alessandro Avvisato

 

Sembrava l’uovo di Colombo del reazionario senza cervello: siamo in difficoltà?, ci sono pochi soldi in cassa?, dobbiamo rispettare i parametri di Maastricht?, e allora togliamo qualcosa a qualcuno e inventiamoci una bella guerra tra poveri… “Prima gli itagliani!”

Il problema delle idee stupide è che possono venire in testa proprio a tutti. E l’idea più stupida che possa venire in testa a un governo di un paese di emigranti – che proprio negli ultimi due anni sono stati più degli immigrati da altri paesi, tutti sbrigativamente apostrofati come un tempo come extracomunitari, ora più brutalmente come negri– è proprio quella di aprire la stagione globale del “ognuno a casa sua”.

Non sorprende, dunque, che lo stesso virus maligno abbia rapidamente attecchito anche in Germania, dove le vittime di questo atteggiamento sono tutti i cittadini “non tedeschi”, a prescindere dal colore della pelle. Dunque anche gli italiani.

Radio Colonia, una emittente cittadina in lingua italiana, visto l’alto numero di connazionali presenti in quel territorio, ha mandato in onda la testimonianza di una donna italiana convocata dall’Ufficio per gli immigrati che le ha dato una sorta di ultimatum.

“Mi hanno comunicato che avevo quindici giorni di tempo, visto che non potevo provvedere a me stessa, per trovare un lavoro: altrimenti mi avrebbero rimpatriato e avrebbero pure pagato il viaggio a me e alle bambine, se non fossi stata in grado di poterlo pagare io”. A raccontare la vicenda è un’immigrata italiana che si è trasferita in Germania nel 2013 e, dopo aver smesso di lavorare in seguito a una gravidanza, è andata a chiedere il sussidio sociale. Dopo tre mesi di attesa è stata convocata dall’Ufficio per gli immigrati che le ha dato l’ultimatum. 

La stessa cosa sta avvenendo però in molte altre zone del paese. Sono in molti ad aver avuto comunicazioni simili, prima a voce e poi per lettera. Le minacce di espatrio nei confronti di italiani che non lavorano o non lo stanno cercando, secondo Radio Colonia, sono almeno un centinaio soprattutto nel Nord Reno-Westfalia. E riguardano, riferiscono esponenti dei patronati intervistati dalla Radio, anche situazioni di grave difficoltà, come donne in avanzato stato di gravidanza. 

Alla base di questo fenomeno c’è una legge di due anni fa, che ha elevato da tre mesi a cinque anni il periodo di permanenza in Germania che consente di accedere ai sussidi sociali. Dietro questa legge c’è la volontà di ridimensionare uno stato sociale ritenuto troppo generoso che attraeva troppi ‘stranieri’ europei che – facendo leva sul principio della libera circolazione – sfruttavano il sistema in una dimensione che a Berlino si era giudicata eccessiva.

Una volta fatta la legge, dunque, è cominciata a cascata la pioggia dei “regolamenti” delle singole amministrazioni locali. Nell’aprile scorso, una circolare del Job Center che regola l’applicazione della legge del 2016 (modificata nel 2017), stabilisce che chi si trasferisce in Germania con lo scopo di trovare lavoro ha tempo sei mesi, al termine dei quali scade la libertà di circolazione e i dati vengono inviati all’Ufficio stranieri. A questo punto occorre dimostrare che la ricerca di lavoro continua. In caso contrario si rischia l’espulsione.

E in questo caso la legge non distingue tra cittadini dell’Unione Europea (“comunitari”) e extracomunitari, ma solo tra tedeschi e non. Prima gli alemanni!, insomma.

Il primo a lamentarsene, qui da noi, è stato il sottosegretario agli Esteri, Ricardo Merlo (una “c” sola, all’iberica), trevigiano, ovviamente leghista, fondatore del Maie (Movimento Associativo Italiani all’Estero). Ma invece di denunciare la logica malata della guerra tra poveri, il sottosegretario ha scelto la solita via del servitore italico: “Chi è che difende davvero l’Unione Europea? Chi lavora per proteggerne i confini o chi starebbe preparandosi a cacciare dal proprio Paese cittadini europei?”

Avevamo sempre detto e scritto che l’”euroscetticismo” di Lega e Cinque Stelle era una posa ad effetto, per attirare simpatie popolari nel tempo in cui ogni abitante di questo paese si è accorto che il far parte di questa Unione neoliberista lo sta impoverendo ogni giorno che passa. Ora c’è anche la confessione del leghista: “ma come, noi vi stiamo facendo da cani da guardia nei confronti del Sud del mondo e voi ci trattate come loro?”.

Gli aspetti paradossali sono comunque numerosi. La Germania è il paese più ricco della Ue, quello che ha ridisegnato nella crisi – e proprio “grazie” alle politiche di austerità – le filiere produttive di tutta Europa. Presenta da anni un surplus di bilancio enorme, cui corrisponde il deficit crescente degli altri paesi, specie quelli mediterranei. Potrebbe insomma agevolmente investire, aumentare i salari e mantenere gli alti livelli di welfare che lo avevano caratterizzato nel dopoguerra.

Ma è sempre un errore ragionare in termini geopolitici, come se un paese fosse un’entità unitaria. La Germania, è vero, potrebbe spendere molto di più, ma i padroni tedeschi non sono la Germania. Per loro il problema – esattamente come quelli italiani o “globali” – è incrementare i propri profitti e le proprie rendite, non quello di garantire uno sviluppo equilibrato e la coesione sociale.

Perciò anche nella ricca Germania si comincia a dire che “i soldi sono pochi, togliamo qualcosa agli immigrati”.

Solo che lì, e non da ora, “gli immigrati” siamo noi. Anche noi, tra gli altri…

 

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