https://www.lettera43.it/

02 luglio 2018

 

Brexit, lavoro in picchiata: i segnali della catastrofe economica

di Guido Mariani

 

Dal 2016 il Regno Unito ha perso 130.548 posti. Rolls Royce e Airbus potrebbero chiudere gli stabilimenti. Ed è in arrivo una bomba finanziaria. Cresce l'ansia per l'addio definitivo all'Ue del 29 marzo 2019.

 

Man mano che ci si avvicina alle ore 23 del 29 marzo 2019, cioè il momento in cui il Regno Unito deve uscire definitivamente dall’Unione europea, gli effetti della storica decisione del referendum del 2016 si fanno sentire sempre di più sull’economia britannica. I dati sono particolarmente drammatici per i posti di lavoro. Una recente indagine diffusa dall’Observer ha valutato che almeno un quinto delle aziende del settore manifatturiero ha intenzione di licenziare dipendenti nei prossimi mesi.

 

INSOSTENIBILE AUMENTO DEI PREZZI.

Il settore della manifattura sarà tra i più colpiti: l’11% delle imprese ha già registrato una riduzione degli ordinativi o un taglio dei contratti dopo il referendum. Sono dati frutto di un’indagine del Cips (Chartered Institute of Procurement and Supply) che ha anche riferito come più di due terzi degli imprenditori abbiano comunicato la necessità di alzare i prezzi. «È ormai chiaro come la manifattura non sia più in grado di reggere il costo della Brexit, e il peso dei prezzi più alti stia ricadendo sui consumatori, sui fornitori, sui clienti e stia modificando l’intera filiera distributiva», ha spiegato John Glen, economista del Cips.

 

STERLINA CALATA DI OLTRE IL 10%.

Il database Brexit Job Losses, aggiornato da Andy Hickmott dell’associazione anti-Brexit “Manchester for Europe”, sta annotando da quasi due anni tutti i posti di lavoro persi per cause legate alla decisione di tagliare i ponti con l’Ue: siano esse il deprezzamento della sterlina (calata di più del 10% dal giugno 2016), la riduzione degli investimenti, la chiusura di sedi britanniche di multinazionali o la frenata dell’economia inglese.

 

Soltanto a giugno 2018 il totale è di 10.200 posti persi in tutto il Regno Unito

Il conteggio segna 130.548 licenziamenti. È un numero che cresce ogni mese. Soltanto a giugno 2018 il totale è di 10.200 posizioni perse. Uno dei casi più recenti è quello che sta coinvolgendo la Young’s Seafood, storico marchio legato alla commercializzazione del pesce surgelato. L’azienda ha annunciato il primo giugno la chiusura di uno stabilimento in Scozia e una riduzione del personale nella sua sede storica di Grimsby: 1.650 posti di lavoro sono a rischio.

 

BEFFATI I PESCATORI DEL "LEAVE".

Ma ogni pezzo del domino che cade ne travolge un altro. Grimsby, nel Lincolnshire, è una città che vive di pesca e la crisi della Young’s Seafood rischia di colpire anche i pescatori, una delle categorie che si era schierata più convintamente per sostenere il “Leave”. «Migliaia di noi hanno votato per lasciare l’Ue. Ma il governo ci ha abbandonati», ha dichiarato un pescatore alla stampa inglese.

 

LA CATENA POUNDWOLRD CHIUDE.

Sempre nel mese di giugno la Rolls Royce, storico marchio di automobili e produttore anche di motori per aerei di linea e militari, ha annunciato la riduzione di circa il 10% della sua forza lavoro, composta da 50 mila dipendenti. La catena di negozi low cost Poundworld ha chiuso i battenti causando circa 3 mila esuberi.

 

Nell’area di Manchester la disoccupazione è ai massimi da 4 anni, in costante crescita nell’ultimo trimestre e superiore dell’11% rispetto a prima del referendum

 

L’economia britannica è quella che cresce meno tra i Paesi del G7: dati peggiori dal 2012

Guardando il quadro macroeconomico, gli effetti della potenziale bomba-Brexit appaiono per ora meno evidenti, ma iniziano a farsi sentire. Il prodotto interno lordo del Regno Unito sta già subendo gli effetti dei preparativi per l’uscita dall’Ue. L’economia britannica è quella che cresce meno tra i Paesi del G7: i dati ufficiali del primo trimestre indicano un incremento dello 0,2% congiunturale e dell'1,2% tendenziale, il dato più basso dal 2012. Sono dati leggermente migliori di un misero 0,1% rispetto alle previsioni, ma non portano ottimismo.

 

GRANDE CONTRAZIONE DEI CONSUMI.

John Hawksworth, economista capo della società di consulenza PwC di Londra, ha spiegato: «I numeri indicano che l’incertezza dovuta alla Brexit sta producendo una stagnazione degli investimenti e una contrazione dei consumi». Il dato aggregato sulla disoccupazione è ancora basso (4,3%), ma a febbraio ha registrato la prima crescita dopo la grande crisi del 2008 e gli economisti hanno notato una diminuzione della qualità dei lavori con una crescita dell’ormai famigerata “gig economy” e un deciso calo delle nuove iniziative imprenditoriali.

 

SEMPRE PIÙ OVER 50 SENZA LAVORO.

Per ogni lavoro perso, sembrerebbe, se ne crea ancora uno nuovo, ma di qualità inferiore e con minori garanzie. Lo dimostrerebbe anche un calo della crescita dei salari medi. La possibile tempesta in arrivo è annunciata da alcuni dati relativi alle regioni più sviluppate del Paese. Nell’area di Manchester la disoccupazione è ai massimi da 4 anni a questa parte, in costante crescita nell’ultimo trimestre e superiore dell’11% rispetto a prima del referendum. In questa regione sono aumentati esponenzialmente i disoccupati over 50, cresciuti dalla data del voto del 20%.

 

Il sindaco di Londra Sadiq Khan teme la perdita nei prossimi 10 anni, nella sola capitale, di mezzo milione di posti di lavoro e di 50 miliardi di sterline in investimenti

 

Il vero timore è la «catastrofe industriale»: Rolls Royce e Airbus chiudono?

Il vero timore è quello che alcuni giornali inglesi hanno definito la «catastrofe industriale». Senza un accordo con gli ex partner dell'Ue, i grandi gruppi dei settori automobilistico e aeronautico potrebbero decidere di chiudere gli stabilimenti. Gli esuberi alla Rolls Royce sono solo l’inizio? La Airbus, dalla cui filiera produttiva dipendono 100 mila lavoratori, ha comunicato a giugno per voce del suo amministratore delegato Tom Williams le sue preoccupazioni. Altri gruppi si sono dimostrati cauti per timore di essere accusati di interferire in decisioni politiche, ma la paura di una scissione senza accordo è alta.

 

BOMBA FINANZIARIA NON ANCORA ESPLOSA.

Un altro settore a rischio è quello finanziario. Secondo Sir Mark Boleat, che fino al 2017 era il presidente della City of London Corporation, l’ente di governo autonomo della City, Londra rischia di perdere 75 mila posti di lavoro e 10 miliardi di sterline in mancati introiti fiscali. È una bomba che non è ancora esplosa.

 

GLI EFFETTI SI SENTIRANNO A LUNGO TERMINE.

«È un’operazione a lungo termine, probabilmente decennale», ha spiegato Boleat, «nel breve periodo non si farà notare, gli istituti finanziari non fanno comunicati stampa per annunciare le ristrutturazioni, non vogliono una cattiva pubblicità. Ma si stanno preparando». È l’opinione anche del sindaco di Londra Sadiq Khan che ha detto di temere un terremoto Brexit con la perdita nei prossimi 10 anni, nella sola capitale, di mezzo milione di posti di lavoro e di 50 miliardi di sterline in investimenti.

 

Il 20% di chi ha votato per la Brexit oggi cambierebbe la sua decisione. Il 29 marzo 2019 è visto come l’ultima data utile per correggere un errore

 

Il 23 giugno migliaia di persone sono scese in strada a Londra per un nuovo voto

La Brexit che l’elettore britannico vide come una liberazione appare oggi se non un incubo, un’incognita. Se vogliamo dare fiducia agli ultimi sondaggi, il 47% dei cittadini di sua Maestà adesso è contrario all’uscita dall’Ue, solo il 40% si dichiara ancora per il “Leave”. Il 20% di chi ha votato per la Brexit oggi cambierebbe la sua decisione. Il 62% dei britannici ritiene comunque che il governo stia gestendo male la transizione. Il 23 giugno, anniversario del referendum, migliaia di persone sono scese in strada a Londra per chiedere al governo un nuovo voto.

 

INCHIESTA PER INTERFERENZE RUSSE SUL VOTO.

La voci di interferenze russe sulla consultazione del 2016 non contribuiscono alla popolarità della Brexit. La National crime agency (Nca) ha messo sotto inchiesta l’imprenditore Arron Banks, uno dei più importanti finanziatori della campagna elettorale per il “Leave”; l’accusa è che il magnate abbia ricevuto in concomitanza con il suo impegno a favore della Brexit alcune importanti contropartite dalla Russia tra cui una miniera d’oro nell’Africa occidentale e una partecipazione nella società mineraria russa Alrosa, di proprietà dello Stato. Intanto il tempo scorre e sempre più britannici guardano al 29 marzo 2019 non come all’inizio di una nuova era, ma come all’ultima data utile per correggere un errore.

top