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22 Marzo 2018

 

Il castello di carte del caso Skripal

di Michele Paris

 

Gli sforzi del governo britannico nell’attaccare la Russia per il presunto avvelenamento dell’ex ufficiale dei servizi segreti militari di Mosca, Sergei Skripal, e la figlia Yulia sembrano procedere di pari passo con il progressivo crollare delle esili fondamenta su cui si basa la versione ufficiale della vicenda.

 

La ricostruzione del caso fatta dalle autorità di Londra sarebbe anzi molto probabilmente già stata smentita se i media ufficiali, invece di propagandare la tesi del governo, si fossero interrogati o avessero indagato in maniera seria su una serie di questioni a dir poco sospette e tuttora senza risposta.

 

Il primo ministro Theresa May e alcuni membri del suo gabinetto hanno in questi giorni insistito con i loro partner europei per superare le resistenze di questi ultimi ad abbracciare la linea della Gran Bretagna. Un comunicato ufficiale di Bruxelles sulla vicenda ha infatti espresso una relativa cautela nell’attribuzione delle responsabilità dell’avvelenamento, secondo fonti diplomatiche soprattutto per le perplessità di Italia e Grecia.

 

La stessa May avrebbe deciso di condividere con i colleghi europei le informazioni segrete raccolte dall’intelligence britannica e che proverebbero la colpevolezza di Mosca. Nessuna di queste presunte informazioni sarà comunque resa pubblica e, com’è successo finora, ciò che verrà chiesto sarà una cieca fiducia nella versione ufficiale offerta dal governo e dai servizi segreti.

 

Mentre la campagna britannica di demonizzazione della Russia proseguirà forse fino a portare al punto di rottura le relazioni con Mosca, fonti indipendenti, ma anche filo-russe, stanno a poco a poco smontando il quadro ufficiale della vicenda Skripal. Soprattutto i siti di informazione alternativa hanno proposto interrogativi e approfondimenti che aiutano a fare luce sul caso e, quanto meno, mettono in evidenza la natura colpevolmente sospetta delle conclusioni del governo di Londra.

 

La prima e più logica domanda riguarda le condizioni di Sergei e Yulia Skripal. Dal loro ritrovamento il 4 marzo scorso in un parco della città di Salisbury, sono stati diffusi solo vaghi aggiornamenti e bollettini medici. Ad oggi non si conoscono con precisione i sintomi che i due russi mostrano, se vi sono stati miglioramenti o peggioramenti del loro stato, essendo definiti entrambi generalmente “stabili”.

 

La questione delle loro condizioni di salute va collegata a un dettaglio che in molti hanno fatto notare. Un medico della struttura nella quale gli Skripal sarebbero ricoverati aveva indirizzato una lettera alla stampa britannica per smentire una precedente notizia che parlava di una quarantina di persone esposte a una sostanza tossica e sotto trattamento. Questo medico affermava che “nessun paziente aveva mostrato sintomi da avvelenamento da gas nervino”, per poi correggersi e confermare il ricovero di tre persone interessate da avvelenamento.

 

I tre sarebbero appunto gli Skripal e un agente di polizia giunto sul luogo del ritrovamento della coppia russa. Sull’apparente contraddizione del medico dell’ospedale di Salisbury non ci sono stati chiarimenti, ma un altro elemento va ricordato a questo proposito. La sostanza incriminata è stata descritta come altamente tossica e in grado di colpire chiunque venisse in contatto. La BBC e altri media hanno però assicurato che un medico intervenuto per soccorrere Yulia Skripal, trattandola per una mezz’ora nel parco di Salisbury, stranamente non aveva in seguito mostrato alcun sintomo da avvelenamento.

 

La stessa sostanza presumibilmente individuata dagli specialisti britannici sarebbe tra le cinque e le otto volte più tossica di un agente nervino molto nocivo conosciuto come VX e, quindi, pochi milligrammi rappresenterebbero una dose letale. Tuttavia, stando alle notizie di dominio pubblico, sia gli Skripal sia il poliziotto contaminato sarebbero sopravvissuti e, anzi, quest’ultimo è stato dimesso giovedì dall’ospedale. Se, inoltre, questa sostanza è realmente così pericolosa e letale, non è chiaro il motivo per cui le autorità della sanità pubblica inglese abbiano raccomandato misure igieniche e di sicurezza decisamente blande alle persone che avevano frequentato un pub e un ristorante visitati dagli Skripal prima del loro ritrovamento.

 

La natura e la provenienza del gas nervino responsabile dell’avvelenamento sono poi tra gli aspetti più controversi e oscuri della vicenda. Il governo di Londra assicura di avere elementi certi per ricondurre la sostanza a un programma militare, definito “Novichok”, sviluppato in Unione Sovietica negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. La Gran Bretagna sostiene che il governo russo sia automaticamente responsabile di quanto accaduto a Salisbury per il solo fatto che la sostanza è stata “sviluppata” in Unione Sovietica. Com’è evidente, da ciò non deriva affatto che l’agente nervino utilizzato contro gli Skripal sia stato prodotto in Russia e da qui giunto in territorio britannico.

 

I particolari di questo aspetto sono complessi e in continuo aggiornamento. Tuttavia, indagini indipendenti e varie interviste con ex scienziati sovietici coinvolti nelle ricerche di agenti chimici e nello stesso programma “Novichok” hanno spiegato che le procedure per la creazione di queste sostanze furono rivelate già nel 1992. Il laboratorio dove si eseguivano le ricerche si trovava inoltre in Uzbekistan e il sito, dopo la fine dell’Unione Sovietica, sarebbe stato smantellato e decontaminato con la collaborazione di personale del dipartimento della Difesa americano che, evidentemente, avrebbe potuto ottenere campioni delle sostanze e trasferirli negli Stati Uniti.

 

La stampa britannica ha anche citato la testimonianza del chimico russo Vil Mirzayanov, oggi residente negli USA, autoproclamatosi inventore della formula per la produzione del “Novichok” e oggi tra gli accusatori del Cremlino. Secondo la testimonianza di alcuni suoi ex colleghi, Mirzayanov non avrebbe però avuto le responsabilità e il ruolo che si auto-attribuisce. Non solo, senza apparente ironia, Mirzayanov assegna la responsabilità dell’avvelenamento degli Skripal alla Russia o “a qualcuno che ha letto il mio libro”, dove appunto rivelava la presunta formula del “Novichok”.

 

A conferma che queste sostanze non sono da tempo esclusiva russa o sovietica, a partire dal 2013 l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) aveva anch’essa condotto delle ricerche con scienziati iraniani che avevano sintetizzato con successo agenti riconducibili alla categoria del “Novichok”.

 

Proprio simili scrupoli devono avere avuto gli scienziati che operano nel laboratorio governativo britannico di Porton Down, situato a pochi chilometri da Salisbury. Secondo Londra, sono stati loro a identificare la sostanza che avrebbe avvelenato gli Skripal ma, da quanto rivelato dall’ex diplomatico britannico Craig Murray, si sarebbero rifiutati di sottoscrivere una dichiarazione ufficiale che ne faceva risalire la produzione alla Russia, in quanto non vi erano elementi certi per sostenerlo. Solo in seguito alle pressioni del governo i chimici di Porton Down avrebbero accettato un compromesso, acconsentendo solo a definire la sostanza di “un genere sviluppato dalla Russia”.

 

La versione britannica fa dunque acqua da molte parti. Anche il ministro degli Esteri, Boris Johnson, in uno dei suoi spesso bizzarri interventi pubblici per puntare il dito contro Mosca, ha ammesso la possibilità che la sostanza in questione possa avere origine non solo dalla Russia ma, anzi, anche da una località molto più vicina a Salisbury. In una recente intervista alla rete pubblica tedesca Deutsche Welle, Johnson ha cioè affermato che lo stesso laboratorio di Porton Down possiede campioni di “Novichok” e proprio questa circostanza avrebbe consentito il rapido riconoscimento della sostanza che ha avvelenato Sergei e Yulia Skripal.

 

Sempre aperta resta anche la questione, sollevata legittimamente da Mosca, del rifiuto del governo di Theresa May di fornire alla Russia campioni del gas nervino e del sangue dei due cittadini russi avvelenati. L’accesso alle prove da parte dell’accusato è evidentemente un principio basilare del diritto ed è previsto anche dalle regole dell’OPCW, di cui Londra fa parte.

 

La Gran Bretagna sarebbe in violazione di queste norme anche per un'altra ragione. Sempre Boris Johnson ha assicurato che il suo paese avrebbe prove del fatto che la Russia da dieci anni sta producendo e accumulando sostanze assimilabili al “Novichok” con il preciso scopo di utilizzarle per condurre assassinii mirati. Se così fosse, Londra sarebbe stata tenuta a informare del programma clandestino russo l’OPCW, la quale, fino a prova contraria, nel settembre del 2017 aveva certificato l’eliminazione di tutte le armi chimiche detenute da Mosca.

 

Mentre il governo conservatore si è precipitato ad accusare la Russia dell’accaduto, oggi sembra invece che i tempi delle indagini si allungheranno di parecchi mesi. Il comportamento del gabinetto May aveva perciò il preciso scopo di attaccare Mosca per ragioni di diversa natura e, così facendo, ha irrimediabilmente compromesso e politicizzato le indagini. Questa settimana, il capo dell’anti-terrorismo di Scotland Yard ha avvertito che l’inchiesta sul caso Skripal si prolungherà almeno fino alla prossima estate. Da ciò deriva inevitabilmente che, per lo meno, non esistono ancora prove certe della colpevolezza della Russia.

 

Un ultimo elemento della vicenda ignorato dai media ufficiali solleva inquietanti interrogativi e attende di essere approfondito. Sergei Skripal potrebbe essere stato cioè colpito per il suo coinvolgimento nel famigerato “dossier Steele”, compilato dall’ex agente segreto britannico Christopher Steele su commissione di ambienti del Partito Democratico americano vicini a Hillary Clinton per screditare Donald Trump mesi prima delle elezioni presidenziali negli USA.

 

Questo documento diffamatorio e di scarsissima attendibilità descriveva presunti rapporti compromettenti e illegali di Trump in Russia e, almeno per un certo periodo, è stato alla base del “Russiagate” negli Stati Uniti. Skripal era molto legato all’agente dell’MI6 britannico che lo aveva reclutato, Pablo Miller, anch’egli residente a Salisbury e coinvolto nella stesura del “dossier Steele”. Skripal, dunque, potrebbe ragionevolmente avere contribuito alla sua stesura.

 

Vista la durezza dello scontro in America sulle connessioni tra la Casa Bianca e il Cremlino, non è da escludere che l’ex agente dei servizi militari russi possa essere stato preso di mira a causa di quello che sapeva sulla questione. In ogni caso, anche questa pista meriterebbe quanto meno una seria indagine giornalistica o da parte delle autorità di polizia britanniche.

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