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20/08/2018

 

Cambiare registro, rischio impotenza dietro l'angolo

di Sergio Cofferati

Europarlamentare

 

I problemi che il dramma epocale generato dal crollo del ponte Morandi a Genova pone al Paese sono innumerevoli, complessi ed in parte inediti.

 

Per Paese intendo le istituzioni tutte, la rappresentanza politica, quella sociale, ed anche i singoli cittadini.

 

Cominciamo dai problemi, il primo riguarda le vittime del crollo e le loro famiglie. É importante l'affetto ed il cordoglio dei primi momenti, ma questo dovrà essere seguito da aiuti concreti distribuiti nel tempo e in grado di assicurare dignitose e adeguate condizioni di vita ai nuclei familiari colpiti.

 

Poi bisognerà rapidamente definire le ragioni del crollo e le relative responsabilità, sia quelle politiche che quelle tecniche e gestionali, sulle quali evidentemente si dovrà pronunciare anche la magistratura. Quelle politiche hanno molte facce, si va dalla scelta di privatizzare la gestione delle autostrade (e di molti altri settori fondamentali) alle modalità con cui è stata definita la concessione, fino alla mancanza ormai appurata di verifiche sul rispetto delle intese e alla necessità di rendere pubblica ogni parte delle stesse. Ovviamente ogni livello istituzionale, dal centro alla periferia, dovrà rispondere per le sue competenze.

È necessario ripristinare al più presto condizioni di sicurezza per il territorio, sgombrando il greto del fiume, abbattendo il resto del ponte rimasto ancora in piedi e ancor prima liberando il territorio circostante dagli edifici assurdamente costruiti sotto e intorno (va da sé che prima bisognerà trovare adeguata collocazione a quanti vi abitavano o vi lavoravano).

 

Bisognerà poi procedere a definire un piano adeguato (e sicuro) per la mobilità. Piano che non dovrà assolutamente limitarsi a riproporre il ponte e la "mitica" Gronda. Genova è uno scrigno di tesori, è una città bellissima che si è autocondannata all'isolamento depauperando una parte del suo valore. I "vuoti storici" sono arcinoti perché sono stati oggetto di molte discussioni e di nessun intervento. Un piccolo aeroporto, irrilevante nel traffico nazionale, senza un collegamento rapido con la città che sarebbe tra l'altro possibile se si unisse alla rete ferroviaria che passa a poche centinaia di metri. Una rete ferroviaria vetusta, che manca ancora del raddoppio dei binari verso la Francia e non in grado di ospitare l'alta velocità in nessuna direzione. Che dire poi delle autostrade, al netto del ponte che non c'è più? Bisogna aspettare i disagi enormi che verranno provocati dalla fase transitoria per scoprire che gli ultimi 40 km dell'A7 da Milano verso Genova sono quanto di peggio sia stato progettato in materia autostradale? Il "problema" del ponte farà esplodere tutti questi altri limiti e contraddizioni.

 

Di questo bisognerà avere consapevolezza, e per questo bisogna affrontare complessivamente i limiti infrastrutturali che sono stati ignorati per decenni. Non si potrà certo risolverli tutti contestualmente, sarà necessario avere un ordine di priorità, ma sempre collocate in un quadro generale.

 

Gli effetti del crollo non colpiscono solo Genova e la sua economia (a cominciare dal porto, dalla logistica e dal turismo) ma si estendono a Piemonte, Lombardia, Emilia e Toscana, cioè ad una parte rilevante dell'intero Paese.

 

Servirà uno sforzo immane, con rilevanti risorse da mettere a disposizione per risolvere quello che è diventato oggettivamente un problema nazionale.

 

Perché il tutto si realizzi è però necessario un diverso clima politico. La solidarietà deve unire e non deve essere mai accompagnata dalle polemiche. I diversi punti di vista sulle scelte passate e sulle cose da fare vanno messi in campo per cercare, nel rispetto reciproco, la soluzione migliore e non per rinviare il tutto.

 

Addossare la responsabilità della mancata realizzazione di alcune infrastrutture ai vari comitati sorti nel tempo, ad esempio quello contro la Gronda, è privo di senso. I comitati coalizzavano le paure e i timori dei singoli cittadini per la realizzazione delle opere, ma nessun comitato era in grado di fermarle. Sono state alcune amministrazioni (di entrambi gli schieramenti) che non hanno voluto procedere con il coraggio che serviva. La ragione è semplice. Non esistendo un "prato verde" sul quale edificare, la realizzazione di una grande infrastruttura richiede modifiche all'esistente e agli interessi in campo, con la messa a repentaglio del consenso elettorale dei coinvolti. È sempre così, le difficoltà sono immediate mentre i benefici sono lontani nel tempo. Perciò è meglio aspettare e passare il problema a chi verrà dopo. Questo è successo.

 

I Vigili del Fuoco, la Protezione Civile e i singoli volontari sono stati straordinari, come avevamo già visto nel caso delle recenti alluvioni. Ma una comunità non può fare affidamento solo sulla generosità e sul senso civico dei suoi cittadini nella gestione dell'emergenza. Ha bisogno anche di un sistema stabile di prevenzione e sicurezza.

I toni e i comportamenti di molti in questa fase sono stati negativi: si è passati da promesse mirabolanti di ricostruzione a valutazioni ridicole dei costi di un programma che ancora non c'è, dalla fuga dalle responsabilità più evidenti a polemiche fini a sé stesse. Per arrivare alle ingiustificabili assenze ai funerali di Stato.

 

Bisognerà cambiare registro, altrimenti il rischio dell'impotenza crescerà rapidamente.

 

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