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8 ottobre 2018

Il grande inganno del debito pubblico. Hanno messo le nostre vite in mano alla finanza internazionale. Ecco come uscirne
Ignazio Dessì intervista Guido Grossi

Secondo Guido Grossi, esperto di finanza ed ex manager di BNL, la politica ha rinunciato al controllo della moneta e non se ne vede la ragione. Prima il cittadino portava i risparmi in una banca pubblica e quei soldi venivano investiti nell’economia reale creando lavoro, lo Stato li usava per fare spesa pubblica. Oggi le banche private fanno speculazione e i cittadini non possono più finanziare lo Stato. Gli interessi sempre più alti fanno salire l’indebitamento. Ci hanno messo un cappio al collo. Lo Spread e il rating. La differenza tra Bot, Cct e Btp. Il meccanismo perverso che porta lo stato a svendere i beni pubblici. Il caso Grecia. Le mosse da fare per liberarci.

La necessità di abbassare il debito pubblico viene ribadita ad ogni occasione, soprattutto quando si tratta di chiedere sacrifici ai cittadini. Si dice che altrimenti arriverà il disastro, mentre davanti ai condizionamenti del mercato finanziario diventa un problema investire risorse per creare sviluppo e occupazione e magari sanare lo stesso debito. La discussione è divampata a proposito del 2,4% di deficit che il governo ha deciso di fissare per finanziare reddito di cittadinanza, flat tax e riforma della legge Fornero. Ma ritorna ogni volta che si cerca di andare oltre certi parametri interni e comunitari. Ci sono tante domande inoltre che fluttuano nell’aria. Per trovare i soldi che ci servono, per esempio, ci rivolgiamo sempre più spesso a finanziatori esteri, eppure nel nostro sistema interno c’è una massa enorme di liquidità. Perché? Secondo alcuni esperti il sistema finanziario, con la internazionalizzazione del debito pubblico, ha messo un cappio al collo agli Stati e impedisce loro di impostare liberamente le politiche economico-sociali. Per questo, secondo molti esperti, quello del debito pubblico è un grande inganno, come dimostrerebbe il fatto che Paesi come il Giappone e gli stessi Stati Uniti hanno i debiti pubblici più rilevanti del mondo e, in un certo senso, se ne fregano. Da noi invece sarebbero state fatte scelte tecniche precise che adesso ci impastoiano le gambe. E’ questo il punto di vista di Guido Grossi, esperto di finanza, giurista ed ex top manager di BNL, uno insomma che certi meccanismi finanziari non solo li ha studiati ma li ha anche a lungo praticati.
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Dottor Grossi, lei ha sostenuto in più di un’occasione che il debito pubblico, sotto un certo punto di vista, è un inganno e la finanza internazionale ha tolto agli Stati la possibilità di attuare liberamente le loro politiche. Perché? “Per due motivi. Il primo per aver consegnato la possibilità di creare nuova moneta direttamente ai mercati finanziari. Nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea c’è scritto che l’Unione non può prestare soldi agli Stati né ad altri enti pubblici diversi dalle banche. Perché? Non c’è alcun ragionevole motivo per cui la politica debba rinunciare al controllo della moneta. Noi viviamo nell’economia dello scambio, visto che nessuno è in grado di prodursi tutto quello di cui ha bisogno, e per scambiarsi le cose serve la moneta. Questa deve circolare, passare di mano in mano, quando ce n’è poca nel sistema bisogna immetterla. E dal 1971 è diventato chiaro che creare moneta è qualcosa che si può fare senza costi e senza elementi fisici. L’importante in ogni caso è che ce ne sia la giusta quantità e che, soprattutto, vada a finire nelle tasche giuste. Ma lo Stato ha rinunciato al potere di emetterla, questo è il primo punto”.

Il secondo punto? “Il sistema finanziario nel suo complesso si è trasformato, perché prima il cittadino portava i risparmi in banca, in genere una banca pubblica, e tale banca prestava quei soldi a qualcuno che li investiva nell’economia reale e creava lavoro. Oppure dava quei risparmi allo Stato. Il cittadino gli prestava i suoi risparmi perché era un modo per metterli al sicuro. Uno comprava Bot (Buoni ordinari del Tesoro) o Cct (Certificati di credito del Tesoro) ed era tranquillo. Lo Stato usava quei risparmi per fare spesa pubblica, rimetteva in sostanza quei soldi nelle tasche dei cittadini che spendono e nelle casse delle imprese che investono. La moneta circolava perché c’era un controllo pubblico sia nella sua creazione, sia nella sua circolazione. Basta approfondire il tema sul Web per capire che ormai la moneta si crea dal nulla e sarebbe meglio riportarla sotto il controllo pubblico”.

Molti problemi derivano dunque dal funzionamento del sistema finanziario? “E’ il sistema che fa circolare la moneta. Oggi non abbiamo il problema di crearne di nuova, ce n’è anche troppa in giro. La questione è che circola molto male, e circola male perché il sistema finanziario è diventato privato. E non solo, ha smesso di fare il suo mestiere: non prende il risparmio privato per indirizzarlo sulle imprese che investono o nelle famiglie che devono comprare casa, accade molto parzialmente. Il grosso finisce sui mercati finanziari, e se tutti vogliono comprare i titoli il prezzo sale, per una banale legge della domanda e dell’offerta. Per altro, se il mercato compra titoli e le banche centrali continuano a comprarne con le operazioni di quantitative easing, e comprano pure titoli di aziende private, in quelle operazioni non fanno altro che sostenere il prezzo della bolla speculativa. Ci dicono che lo fanno per far salire l’Inflazione e far entrare soldi alle imprese ma questi soldi vanno direttamente sui mercati finanziari”.

Eppure negli anni 80/90 si diceva che la finanza serviva a far crescere l’economia. “In quegli anni si è avuta questa illusione, e in parte era vero, perché molti dei soldi che circolavano nel mondo della finanza andavano a finanziare nuovi investimenti e nuove imprese. Ora questo è il destino di una parte molto ridotta di risorse. La gran parte invece viene destinata a circolare attraverso lo scambio di titoli, di derivati sempre più complessi e sempre più oscuri. In tal modo c’è chi riesce a fare il bello e il cattivo tempo. Una grande banca d’affari può chiamare una impresa, ottenere la sua collocazione in borsa, studiarla, preparare il report per presentarla ai mercati, finire col conoscerla meglio di quanto non riesca a fare l’impresa stessa. Può farle avere i soldi dei mercati perché conosce tutti i fondi di investimento, anzi ha i suoi fondi di investimento. Ha la sua ricerca che può distribuire a tutti gli enti istituzionali in giro per il mondo, può fabbricare i derivati sui titoli e sui prestiti, negoziarli, fare tutto per operare sui mercati finanziari. Ed è chiaro che con tali informazioni può sapere molto prima di altri quando il prezzo può salire e quando può scendere. E’ vero che le autorità sono intervenute dicendo che i vari dipartimenti di queste banche d’affari non devono parlarsi, ma è evidente come la soluzione risulti ipocrita, e sia inevitabile la circolazione delle informazioni. In un sistema simile alcuni possono fare qualsiasi cosa, far arricchire chi vogliono”.

Il fine ultimo del sistema finanziario è accumulare denaro? “La moneta che si crea dal nulla non ha valore in sé e ormai se ne è ben consapevoli, dunque l’obiettivo ultimo di tale sistema che ha trovato la cornucopia dell’abbondanza non è continuare ad accumulare moneta ma comprare beni reali. E come si fa a comprare a basso costo cose reali? Scatenando crisi economiche”.

Come la Grecia, dove alla fine società e banche tedesche si sono prese tutti gli aeroporti, ci insegna? “Come la Grecia ci insegna. E tutti i vincoli dei trattati europei vanno in quella direzione. Impedendo agli stati di creare moneta, perfino di farsela prestare per fare spesa pubblica in investimenti, perché i limiti al deficit a ciò servono, li si costringe ad avvitarsi. Anche se ce ne sono alcuni che si difendono meglio ed altri peggio”.

Il mondo della finanza è intimamente legato a quello delle multinazionali? “E’ molto legato al mondo delle grandi aziende internazionali. E paesi come la Germania e gli Usa, dove c’è un grosso nucleo di grandi aziende multinazionali, traggono dei benefici da questo sistema, e riescono a ottenere regole a proprio vantaggio. Anche in Italia ce le avevamo le grandi aziende: le partecipazioni statali. Ci hanno raccontato che erano carrozzoni spreca soldi. In realtà facevano invidia agli Usa, alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Germania. Il Trattato di Maastricht ci ha poi imposto il vincolo assurdo del rapporto del 60 per cento tra debito e Pil (e deficit non superiore al 3 per cento del PIL) in un particolare momento. In un momento in cui noi eravamo a 100 e gli altri a 60. Quindi siamo partiti con una mano dietro la schiena e le gambe legate. Così abbiamo dovuto svendere le partecipazioni statali, perché l’unico modo per entrare era vendere il patrimonio pubblico”.
Perché fino agli anni ’80 il debito pubblico non faceva così paura? “Negli anni ’60 e ’70 non c’era il concetto di debito. Poi negli anni ’80 è iniziata la trasformazione del sistema. C’è stato il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro e la prima non è stata più obbligata a finanziare la spesa in eccesso dello stato. Per tendere al pareggio di bilancio. Ora il pareggio di bilancio non è una cosa sbagliata in assoluto, ed è ragionevole tendervi. Ma quando l’economia è ferma, quando c’è troppa disoccupazione lo Stato ha il dovere di intervenire. C’è scritto nella Costituzione: lo Stato ha il dovere di fare quanto necessario per metterci in grado di avere una esistenza libera e dignitosa, di contribuire al progresso materiale e spirituale della nazione. E ciò lo possiamo realizzare solo lavorando. Se c’è disoccupazione, crisi economica, le famiglie non spendono e le imprese non investono, allora o interviene qualcuno dall’esterno o la crisi rimane e continua ad avvitarsi su se stessa”.

Difficile così per uno stato fare politiche keynesiane di sviluppo e occupazione? “Tolto il potere di chiedere a Bankitalia di finanziare il deficit, aggiunto il vincolo di pareggio di bilancio, lo Stato in pratica non può più intervenire nell’economia. Quando lo stato poteva creare moneta il debito pubblico materialmente finiva per non essere un problema. Lo stato non poteva mai trovarsi in condizione di non poter restituire i soldi a un cittadino perché non li aveva. Anche se in una economia che gira, in uno stato che controlla le leve monetarie, non si arriva mai a dover creare moneta per restituire i soldi ai cittadini, è proprio una distorsione concettuale. In un contesto simile i titoli di stato non servono a finanziare la spesa pubblica, sono una facilitazione che lo stato offre ai cittadini per impiegare tranquillamente i loro risparmi nella maniera meno rischiosa e più sicura possibile. Nello stesso tempo lo stato drena la liquidità in eccesso e la rimette nel circolo economico, a vantaggio di tutti. Ma se viene tolta la sovranità monetaria allora il rischio comincia a nascere. Lo stato per ripagare i titoli è obbligato o a prendere con le tasse i soldi dalle tasche di alcuni cittadini per ripagare chi ha i titoli, o a farseli prestare. Per vendere i titoli di stato poi il tesoro si serve degli operatori specialistici, che sono Goldman Sachs, Gp Morgan, Morgan Stanley e così via. Anziché rivolgersi ai suoi cittadini che non sanno dove mettere i risparmi si rivolge alle banche private che fanno aumentare i costi dello Stato”.

Solo una parte del debito italiano però è in mano a stranieri. “E' vero che ammonta a 700 miliardi il debito in mano a investitori esteri (su 2341 miliardi totali, ndr) ma la situazione è complessa. Perché la maggior parte dei titoli è controllata da questo sistema finanziario e viene gestito con queste modalità. Gli investitori ci prestano i soldi alle loro condizioni e noi abbiamo il rischio spread. Un rischio che arriva dai mercati: non sta scritto in nessuna norma che dobbiamo averlo. E’ stata una scelta tecnico-amministrativa che non ci è mai stata raccontata. Di questa scelta dobbiamo liberarci”.

Qual è in sostanza il rischio? “Mettendo il debito pubblico in mano agli investitori internazionali stranieri e non avendo possibilità di stampare moneta devo farmi prestare i soldi da altri per pagare questi investitori. Ho rinunciato a farmi prestare anche i soldi dai cittadini e dunque mi son messo un cappio al collo. Voglio finanziare cose indispensabili per il Paese? Sale lo spread , le agenzie di rating abbassano la qualifica dei nostri titoli e possono determinare eventi rischiosissimi e catastrofici. Se viene abbassato il rating molti investitori possono essere spinti a vendere i nostri titoli, e se tutti vendono si svende. Alla fine può arrivare il default, scattare il meccanismo Salva Stati come in Grecia. Cioè arrivano, ci prestano i soldi e in cambio ci impongono le tasse, ci dicono cosa privatizzare, cosa vendere, cosa tagliare e chi licenziare. Ci piaccia o no. Per questo bisogna rimettere ordine nella nostra ricchezza e modificare il meccanismo uscendo dal cappio”.

Lo Stato paga inoltre tassi di interesse parecchio alti. Cosa che invece sarebbe diversa se si facesse finanziare dai suoi cittadini? “Esatto, e a tal proposito è fondamentale distinguere tra tasso nominale e tasso reale. Negli anni ’80 avevamo tassi nominali molto alti, pagavamo anche il 10,15 o 20 per cento. Oggi invece paghiamo dall’1 al 3 per cento. Sembra che ci abbiamo guadagnato, in realtà ci abbiamo perso. Quello che conta infatti è il tasso nominale meno il tasso d’inflazione. Se ho un debito di 100, se in un anno pago il 10% ma l’inflazione sta al 15%, a fine anno non ho pagato 10, ho risparmiato 5. Perché il peso del mio debito è sceso del 5%. Questo indipendentemente dal livello dei tassi nominali. Dal momento in cui abbiamo cominciato a chiedere i soldi non più ai risparmiatori italiani, che si accontentano di un tasso al di sotto dell’inflazione perché vogliono semplicemente difendere il valore del capitale, sono iniziati i problemi.

Se io perdo l’1 per cento dell’inflazione ma nessuno mi frega il capitale non mi preoccupo. Se invece compro un prodotto di investimento in banca e nel momento stesso in cui lo prendo già mi hanno tolto il 4 o 5% (anni addietro addirittura il 10%) allora sì che corro dei rischi e allora sì devo preoccuparmi. E quando lo stato sceglie di farsi prestare i soldi non più dai propri cittadini, che si accontentano di un piccolo tasso di interesse in cambio della sicurezza, e comincia a rivolgersi agli investitori istituzionali che per natura fanno gli speculatori, è per forza costretto a pagare di più.
A loro sta bene rischiare un po’ di capitale, a differenza del cittadino risparmiatore, ma vogliono essere pagati molto di più in cambio del rischio. Ed ecco che i tassi reali sono diventati positivi. Oggi in Italia c’è l’inflazione all’1,50, il Btp a 30 anni rende il 3,55, quindi lo stato paga il 2% reale. Sembra una cifra bassa ma è altissima, perché basta che passi il tempo e il debito cresce a dismisura. E’ esattamente quanto è successo. Anche se ci raccontano che abbiamo sperperato i soldi. Certo, per carità, i soldi potevano essere spesi molto molto meglio, nessuno lo nega, ma non è quello lo spreco che ci ha rovinato. Lo spreco vero sono i 10 milioni di italiani che potrebbero lavorare e non facciamo lavorare”.

E nonostante tutto, malgrado le politiche lacrime e sangue, i tagli e l’austerità, in questi ultimi anni il debito pubblico ha continuato a salire inevitabilmente. La ricetta era sbagliata? “Sale il debito, sale la povertà, sale la disoccupazione. E’ evidente che la direzione presa era completamente sbagliata. Per fortuna qualcosina si sta muovendo ultimamente nella direzione giusta”.

In un sistema come quello che lei ci illustra i rating delle società di consulenza, lo spread, diventano strumenti con cui i mercati finanziari condizionano gli stati. Cosa si può fare per levarsi questo cappio dal collo? “L’obiettivo finale è riportare il controllo dell’emissione monetaria sotto il controllo pubblico, sotto la politica. Ma la cosa da fare subito è smetterla di farci prestare i soldi dagli investitori istituzionali. Non ne abbiamo alcun bisogno”.

Oggi un risparmiatore non compra più Bot o Cct. Non conviene. Gli unici che li comprano sono le banche centrali, i fondi di investimento, gli investitori istituzionali appunto. Come si fa a fare in modo che i cittadini riprendano a comprare i Bot e i Cct? E cosa sono i Btp? “Bisogna trasformare le emissioni. Negli anni ’70 i titoli di stato (Bot e Cct) erano comprati dal sistema Italia, dalle famiglie, dalle aziende e dalle banche italiane. Quando si è passati a chiedere i soldi agli investitori istituzionali i titoli sono stati trasformati sia nel modo in cui vengono offerti sul mercato, sia nella struttura del titolo stesso. Prima i Btp erano una eccezione, sono nati per andare incontro alle esigenze degli speculatori. Una durata lunga con un tasso fisso più alto dell’inflazione va bene sia a un cassettista (li compro, li tengo da parte, aspetto la scadenza e intanto guadagno più dell’inflazione), sia a uno speculatore o a un trader che continuamente compra e vende. La durata è lunga e il prezzo si muove ogni volta che il tasso di mercato cambia. Gli speculatori ci vanno a nozze.

Bisogna tornare indietro, a titoli di durata breve, perché al cittadino i soldi risparmiati gli possono servire da un momento all’altro, non fa speculazioni, li mette lì perché siano al sicuro e quando servono deve poterli prendere? "Un tempo, per esempio, c’erano i Bot a 3 mesi, ora non ci sono più. Eppure se tu Stato mi dai un Bot a 3 mesi, anche se rende lo 0,1%, considerato che in banca mi prendono i soldi e rischio molto, io i soldi te li porto. Non parliamone se poi mi dai lo 0,20 o lo 0,50: ti porto tutto quello che ho. Il caso del Cct (ora sono diventati CctEu, legati al tasso interbancario Euribor, determinato dalle banche) è molto diverso da quello del Bot, di cui lo Stato può, se vuole, stabilire il tasso. Una volta il Cct era legato al tasso dei Bot (0,20/0,30/0,40) più c’era un premio per la durata che solitamente era di 5-7 anni. Il tasso è però variabile, segue l’andamento dell’inflazione e dell’economia, il prezzo comunque non cambia oppure oscilla di pochissimo. Se dopo un anno lo devo vendere senza aspettare il trascorrere dei 7 anni, se l’ho pagato 100 me lo ripagheranno 100, più o meno.
Invece il Btp a 7 anni che ho pagato 100, se lo rivendo dopo un anno può darsi valga 90. Il rischio in questo caso è molto più consistente. E magari, a me cittadino, correre quel rischio non interessa. Il BTP è solo uno strumento per speculare sui tassi adatto alle grandi banche e fondi e va gradualmente eliminato. I Btp servono solo a chi vuol fare soldi con i soldi”.

Lei parla spesso anche della necessità di invertire i meccanismi d’asta che fanno alla fine guadagnare solo gli speculatori. Ci spiega meglio? “Se io mi sono messo nella condizione di farmi prestare soldi dai mercati finanziari è chiaro che quando faccio l’asta sto chiedendo sostanzialmente a loro di decidere le condizioni, e se di quei soldi non posso più farne a meno è evidente che le condizioni man mano si adatteranno alle loro esigenze: quelle di guadagnare il più possibile. Facciamo invece il contrario. Sapendo che c’è una massa enorme di liquidità (4.200 miliardi di risparmi) posso dire: cittadini italiani vi offro l’1% o il 2% per un certo tempo, portate quello che volete. Con quanto arriva mi ci vado a ricomprare i Btp sul mercato. Faccio crollare lo Spread. Basta che arrivino 200 miliardi e noi gli investitori internazionali li salutiamo. Gli restituiamo i loro soldi, ma gli diciamo basta”.

Siamo in grado? “L’esigenza dell’asta marginale (funziona come l'asta competitiva ma la differenza risiede nella fase finale: infatti tutti gli intermediari che si sono aggiudicati dei titoli li pagheranno al prezzo marginale, ovvero l'ultimo prezzo accoglibile, al quale verrà aggiudicato l'intero importo offerto, ndr), per cui in Italia si finisce col pagare 4 quello che avrei potuto pagare 2, nasce dall’esigenza di questo tipo: se mi scadono 30 miliardi di Btp li devo andare a rinnovare e ne devo rinnovare 30, non posso rinnovarne 25. Ora in un anno bisogna rinnovare circa 200/300 miliardi di euro. Ogni mese se ne rinnovano 20/30/40. Cosa ci vuole a offrire ai cittadini un titolo adatto alle loro esigenze per raccogliere tali cifre? Da considerare che in Italia i risparmi finanziari sono di 4200 miliardi (depositi, fondi, assicurazioni, qualche azione) e quelli in immobili di 5mila miliardi. Per questo siamo un Paese ricco e quei risparmi fanno gola a molti. Oggi quando i cittadini hanno risparmi, vanno in banca o alla Posta, dove c’è chi consiglia cosa comprare. Occorre capire che c’è però un conflitto di interessi enorme. Chi ci consiglia e ci vende un Bot o un Cct guadagna una piccolissima commissione. Se ci vende invece un prodotto di investimento, più rischioso, guadagna molto di più. Per forza allora ci venderà quel prodotto lì, di cui non abbiamo bisogno. Qualcuno guadagna e magari noi ci rimettiamo, e in più evitiamo di finanziare lo Stato, come potremmo.”.

Perché siamo arrivati a questo? “Questo succede perché il sistema finanziario e bancario è diventato privato. Io ho lavorato alla Bnl che era la Banca del Tesoro. Quando sono entrato mi pagavano lo stipendio per fare il mio dovere istituzionale, difendere e tutelare il risparmio da una parte, e selezionare gli investimenti dall’altra. Non mi pagavano per guadagnare, per fare un profitto: mi pagavano per svolgere una importantissima funzione di interesse generale. Questa è la mission di un ente pubblico. Poi la banca è diventata una Spa ed è arrivato il concetto della migliore efficienza. In realtà ci ha portato a cambiare completamente l’ottica: la mission non è più la qualità del servizio ma il fare soldi. Le banche sono diventate sempre più private, sempre più straniere e amen”.

Cosa si può fare? “L’obiettivo fondamentale allora è recuperare tutto il controllo del sistema finanziario. E’ il nostro sistema vitale. Per una economia, per una sana società, è fondamentale. Può esserci sempre chi cerca di farci dei soldi, perché qualcuno ci toglierà sempre del sangue, ma bisogna che quel sistema sia messo sotto controllo in modo democratico e trasparente. Che poi possiamo imparare ad essere più efficienti è verissimo ma comunque quel sistema era meglio di questo. Bisogna recuperare la distinzione tra prodotti di risparmio e di investimento. Ai cittadini bisogna tornare a offrire prodotti di risparmio. Si possono fare aste differenziate”.

Che ruolo può avere la cassa depositi e prestiti in quest’ottica? “La CDP è già all’80% posseduta dallo stato. Oggi viene utilizzata per finanziare grandi interventi. Viaggia con Bancoposta. Nessuna delle due è però una banca. Messe insieme fanno la funzione della banca perché Bancoposta raccoglie i risparmi e Cassa Depositi e Prestiti li investe. Entrambe però risentono dell’ottica privatistica. Bisognerebbe invece rindirizzare il management e la mission. Se io oggi vado a Bancoposta mi propongono ne più ne meno prodotti di investimento come qualunque banca o assicurazione. In una banca pubblica mi devono invece proporre qualcosa di diverso: un deposito semplice, un titolo di stato. Cassa Depositi e Prestiti invece può fare quegli investimenti pubblici di cui c’è enorme bisogno”.

Cosa vuol dire quando parla di quanto fa la Germania con Bundesbank e non fa l’Italia con Bankitalia? “In pratica quando ci sono le aste dei titoli (bund), il Tesoro tedesco cerca di orientare il prezzo, non lascia cioè i mercati liberi di fare ciò che vogliono. Usa due strumenti. Da una parte il giorno dell’asta, se non c’è domanda sufficiente per assorbire la quantità di titoli proposta, la parte invenduta viene parcheggiata presso la Bundesbank, la banca centrale. Non che la banca centrale li compri, perché l’art. 123 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea glielo vieta. Vengono parcheggiati e nei giorni successivi al momento opportuno collocati. E’ come se si allungassero i tempi dell’asta: questa dura fino a quando il mercato capisce che non può avere più di quello che il Tesoro tedesco è disposto a pagare. Si aggira in definitiva l’articolo 123”.

E il secondo strumento? “Il secondo è l’utilizzo della Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW), grande banca pubblica tedesca, non dissimile dalla nostra Cassa Depositi e Prestiti, perché utilizzata per i grandi investimenti. La KfW può intervenire nelle aste a comprare direttamente i titoli, perché l’art 123 vieta alla Banca centrale di comprare titoli in asta e di prestare soldi agli Stati e a tutti gli enti pubblici tranne che alle banche pubbliche. Ora quando hanno fatto l’articolo tutti gli Stati avevano grandi banche pubbliche. Anche noi italiani non ci siamo preoccupati, perché BNL era pubblica, Unicredit, Banca di Roma, Comit, San Paolo, Banco di Napoli, Banco di Sicilia lo erano: dopo però sono diventate tutte private e la maggior parte straniere. In ogni caso attualmente con quel sistema la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe comprare in Italia l’invenduto. Se sto facendo un’asta marginale e vedo che il prezzo sale troppo può interviene la Cassa e comprarne una parte, poi rivenderla nei giorni successivi sul mercato, come fa la KfW. E come fanno anche in Francia con la BPI, la banca pubblica per gli investimenti. Ed è giusto. Non c’è bisogno di chiedere il permesso a nessuno, per questi interventi: nessuna norma nazionale o internazionale li vieta. Non è che sbagliano loro a farlo, sbagliamo noi a non farlo”.

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