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09.11.2018

 

L’Italia è morta e i mercati attendono di spolparla

di Mauro Bottarelli

 

Lo spread fisso a quota 290-300 punti base non è un buon segnale per l’Italia. Significa che viene percepita come un Paese emergente dai mercati

 

Avete visto, ancora una volta i grandi esperti di politica estera e geopolitica che hanno pontificato per un’intera notte sulle principali reti televisive ci hanno azzeccato in pieno. Pur avendo tenuto il Senato, Donald Trump esce molto indebolito dalle elezioni di mid-term, avevano sentenziato. Talmente indebolito che, quando le schede elettorali erano ancora calde, ha silurato in un nanosecondo il suo ministro della Giustizia, reo di troppo credito verso il Russiagate. E questo senza che i Democratici abbiano aperto bocca. Forse erano ancora troppo intenti a festeggiare lo sbarco al Congresso del loro circo Barnum di casi umani e minoranze etnico/religiose da social o da talk-show. Patetici. Addirittura, per Alexandra Ocasio-Ortez è già stato scomodato il termine fashion icon socialista, copyright del Sole24Ore: la buonanima di Josif Stalin si sta ancora adesso ribaltando nella tomba. 

In effetti, servirebbe la penna acuminata e illuminata di Giovannino Guareschi, uno che Baffone l’ha maneggiato e trattato, per cercare di descrivere il grado di impazzimento del mondo nella sua versione 2.0. L’Italia, poi, rappresenta ormai un caso clinico. Così come studio approfondito meriterebbe la capacità dei 5 Stelle di suicidarsi politicamente a ogni mossa. C’è infatti qualcosa di scientifico nella loro propensione a regalare consensi alla Lega di default, quasi ci fosse un tacito patto. Prendete gli ultimi due giorni. Non solo il ministro Salvini ha trattato il ministro Di Maio e il premier Conte come due domestiche filippine, anteponendo un piatto di ravioli e la Champions League a un vertice in loro compagnia, ma ha dettato le regole come nemmeno Maduro in Venezuela: prima mi votate il “Decreto sicurezza” (il quale è sacrosanto in ogni suo comma e, in qualsiasi Paese avanzato e civile, sarebbe stato proposto da un partito progressista e di sinistra, sia chiaro), con tanto di fiducia e mal di pancia interni dei grillini, poi si parla di prescrizione. Et voilà, incassato ciò che interessava in vista delle europee, ecco che sempre il ministro dell’Interno spedisce a trattare sul nodo prescrizione all’interno del Ddl anti-corruzione il ministro Giulia Bongiorno, una che ha fatto assolvere Giulio Andreotti dalle accuse di mafia, non un azzeccagarbugli. E, infatti, si è messa in tasca l’intera pattuglia grillina come Van Basten la difesa della Pro Patria, ottenendo che la prescrizione sia sì interrotta dopo il primo grado di giudizio, ma dal 2020: ovvero, da quando questo Governo non ci sarà più. 

Da Arcore pare si sia udito in lontananza un clamoroso applauso di sottofondo. E non per una prestazione maiuscola del Monza. Ma tranquilli, a Natale torna quell’altro scienziato di Alessandro Di Battista, vedrete che la musica cambierà. Sempre ieri, poi, anche la pantomima con l’Europa sulla manovra ha voluto sollazzarci con l’ennesimo capitolo: ormai sembra Casa Vianello, peccato che non faccia più nemmeno ridere. Ovviamente, la Commissione Ue ha bocciato nella sua revisione autunnale dei conti la nostra Finanziaria, dicendo chiaramente che il deficit reale alla fine sarà del 2,9% e non del 2,4%, che la ratio debito/Pil non si schioderà dal 131% e che l’anno prossimo saremo ultimi della classifica continentale per tasso di crescita. «Analisi non attenta e parziale», ha immediatamente replicato il ministro Giovanni Tria, non si sa se quello vero o la più credibile imitazione che ne fa Maurizio Crozza. Direte voi, con un fuoco di fila e un nuovo innalzamento della tensione Roma-Bruxelles di questo livello, lo spread sarà esploso? Zero. Lì, fermo nel suo range di pascolo, fra 290 e 310. Dopo la replica del ministro all’Economia, il differenziale fra Btp e Bund segnava un “clamoroso”, +0,58% a quota 292,7. 

Ora, volete capirla che l’Italia è morta e i mercati attendono solo di espiantarne gli organi ancora sani o siete così ottimisti (trattasi ovviamente di eufemismo) da credere che davvero qui in ballo ci sia la possibilità di riforma per via ordinaria un Paese come il nostro? Ci trattano come un mercato emergente, il nostro debito ormai è materiale per speculazione a breve: non a caso, come vi dico da mesi e mesi, lo comprano a lungo termine solo Bce e banche italiane. Gi altri hanno detto bye bye da tempo. Poi, certo, c’è chi oltre a Babbo Natale e agli unicorni rosa crede anche a Donald Trump che compra Btp con il badile (avendo una grana da poco da sistemare con la Fed e con l’economia reale interna) e alla Russia che ci salva dallo spread come l’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale all’assedio di Stalingrado. Ma anche lì, come per l’autolesionismo politico a 5 Stelle, ricadiamo nel contesto clinico. Quasi da Tso. 

Nessuno ci salverà. Per il semplice fatto che nessuno salva un potenziale concorrente quando può metterlo fuori competizione, privandolo delle sue armi principali. Signori, quello spread fermo nonostante tutto, quel differenziale piantato e immobile qualsiasi cosa accada, non è sintomo di salute o guarigione, significa coma irreversibile: siamo attaccati alla macchina della Bce, la quale però – salvo cambi di programma (che ci saranno, a breve) – dal 1 gennaio diminuirà di molto la ventilazione, limitandosi a reinvestire i bond italiani già in detenzione. Un sollievo da circa 6 miliardi: praticamente, una goccia nel mare delle nostre necessità di rifinanziamento per il 2019. Anno in cui, giova ricordarlo, l’eurozona entrerà in recessione. 

Perché per quanto a Bruxelles ostentino brillantezza, i dato macro della Germania delle ultime due settimane parlano di una locomotiva economica piantata come il nostro spread. Ferma. E chi garantirà crescita all’indice PMI europeo, la Finlandia, forse? Il Belgio con il suo carico di debito privato da mani nei capelli? La Svezia con la sua bolla immobiliare in attesa di esplodere? Ve l’avevo detto tempo fa e ora siamo al redde rationem: le misure emergenziali tipo Qe vanno bene in quanto tali, ovvero per un periodo limitato di tempo. Quando invece proseguono per anni e divengono normalità, il corpaccione economico che le riceve paga l’assuefazione e diventa dipendente da denaro a costo zero: appena quello zero diventa zero virgola, va in crisi di astinenza. Sbava. Urla. Si contorce. Ecco l’immagine trasposta dello spread. Il nostro, invece, è catatonico. Fermo, fissa il muro, ha il battito rallentato e i riflessi spenti. 

Signori, siamo nel pieno di un mercato obbligazionario sovrano ormai illiquido, senza volumi: comprano solo la Bce e le nostre banche, gli altri stanno distanti. Almeno, lo staranno fino a quando non vedranno all’orizzonte un’altra occasione di raid speculativo mordi e fuggi come quella presentatasi a maggio scorso o poche settimane fa. Ci trattano come il debito turco o argentino, ormai. Prima vi dicevo che la Bce farà sicuramente qualcosa. E lo confermo, non fosse altro perché altrimenti ci ritroveremo nella versione 2.0 di Dresda dopo i bombardamenti alleati. A livello europeo, non italiano. Ma questo impone due criticità. 

Primo, con sempre più probabilità, saremo noi l’agnello sacrificale per far rompere gli indugi al board dell’Eurotower, probabilmente già alla riunione di dicembre. Ma occorre uno shock grosso, un grande spavento. Mancano 20 giorni e il dibattito su cosa farà, sempre nella sua riunione di dicembre, la Fed riguardo al nuovo aumento dei tassi, è già aperto: da questo combinato potrebbe nascere, più o meno esogeno, lo shock. Secondo, una volta garantito che la Bce non staccherà la spina del respiratore, chi guiderà la fase di transizione reale del Paese fino alle europee? Sicuramente resterà in carica formale questo Governo, ma, è la cronaca di questi giorni a confermarlo impietosamente, non certo per le cose serie. Perché una cosa è modificare l’attività degli Sprar o cancellare la protezione umanitaria, una cosa è millantare vittorie sulla prescrizione, un’altra è gestire l’economia e i nodi finanziari di un Frankenstein indebitato e sclerotizzato burocraticamente come l’Italia. Cosa accadrà da gennaio a maggio, nelle stanze dei bottoni, mentre tg, giornali e propaganda partitica ci racconteranno la loro solita narrativa distorta e parallela? 

Vi pare un caso che saltino fuori sondaggi dai quali si scopre che Mario Draghi sarebbe il premier preferito, a livello di fiducia, dagli italiani? Il problema è gestire la transizione fino al suo arrivo, visto che il numero uno dell’Eurotower, formalmente, deve appunto anche fingere di essere ancora totalmente indipendente nell’azione e nel giudizio. Non abbiate paura del post-europee, dell’ondata sovranista all’Europarlamento, delle dinamiche interne: abbiate paura dei mesi che vanno da ora all’appuntamento con le urne di maggio. Se sarà spogliazione di ciò che resta di importante e profittevole di questo Paese, accadrà in questo arco temporale. E, certamente, non sotto i riflettori. E non agitatevi troppo per cercare di evitarlo: se vogliamo sopravvivere ed evitare di diventare l’Argentina d’Europa, è il prezzo da pagare. 

Il conto mandatelo alle classi dirigenti degli ultimi venti anni, soprattutto quelle che invece di sfruttare il whatever it takes per cercare di rimettere in sesto le fondamenta stesse del Paese in questi sei anni hanno pensato solo al passo breve del consenso elettorale. Certo, prendersela con la Germania è più semplice. E, soprattutto, mantiene candida la coscienza.

 

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