Fonte: Accademia nuova Italia

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04/12/2018

 

Sono sempre lì, a versare acqua nella benzina?

di Francesco Lamendola

 

L’Italia, oggi, è sotto attacco: di fatto è in guerra, anche se non l’ha dichiarata a nessuno, ma la sta ugualmente subendo da parte di altri. Molti incominciano a intuirlo, pochi l’hanno veramente compreso; stampa televisione brillano per tenere la gente nell’assoluta ignoranza della realtà e continuano a raccontare, imperterrite, favole e leggende metropolitane, nell’interesse esclusivo di chi li finanzia – cioè del nemico. L’attacco è triplice. Da una parte c’è l’invasione diretta, scoperta, anzi non solo una invasione vera e propria – perché non esiste altra maniera di definire una sistematica violazione della sovranità territoriale da parte di masse crescenti di soggetti estranei, ai quali è praticamente impossibile rispondere con un “no” – ma qualcosa di assai peggiore, una rapida e inarrestabile sostituzione di popolazione, con la conseguente distruzione e scomparsa finale del popolo italiano, della sua identità, della sua civiltà, del suo retaggio culturale nel mondo. Dall’altra parte c’è la distruzione della sovranità politica e finanziaria perseguita metodicamente dai signori di Bruxelles a colpi di spread, e particolarmente dalla BCE, volta a trasformare il nostro Paese in una loro colonia. Oltre a queste due branche della tenaglia ce n’è poi una terza, ancor più insidiosa e, se possibile, più infame: quella di una parte della nostra classe dirigente che non solo si augura la piena vittoria del nemico, facendo il tifo per lo spread e predicando incessantemente l’accoglienza di masse crescenti di falsi profughi e di islamici ben decisi a islamizzare il nostro Paese, ma si adopera attivamente perché essa avvenga e quindi si impegna al massimo affinché quanti cercano di difendere l’Italia, la sua sovranità, la sua identità, la sua civiltà, vengano isolati, disprezzati, criminalizzati, messi sotto inchiesta, additati come beceri fautori del razzismo e del fascismo, infine ridotti al silenzio e all’impotenza.

Un caso speciale di questa terza faccia del nemico è dato dalla chiesa cattolica, o meglio dai suoi attuali vertici e da una parte del clero (una parte, non tutto e forse neppure la maggioranza), i quali, in una strana e perfetta sintonia con il noto brigante finanziario internazionale George Soros, predicano incessantemente il dovere cristiano di accogliere i falsi profughi e spingono il loro ricatto sino al punto di proibire l’ingresso in chiesa ai “razzisti”, cioè ai cattolici che vogliono restare cattolici e non vogliono assistere rassegnati e passivi all’islamizzazione dell’Italia e alla fine della civiltà cristiana. Ed è evidente che un ruolo centrale in questa strategia anticristiana e anticattolica, oltre che antinazionale, è svolto dal signore argentino che si spaccia per vicario di Cristo sul seggio di san Pietro, ove è stato messo da una congiura di cardinali massoni e modernisti, col preciso mandato di accelerare i tempi della distruzione. D’altra parte, proprio questa convergenza fra gli obiettivi della neochiesa modernista e anticattolica e la grande finanza internazionale (Soroso non è che il caso più lampante, coi suoi sfacciati e criminosi finanziamenti alle o.n.g. impegnate a salvare naufraghi, cioè a far invadere l’Italia da masse di africani e d’islamici che non fuggono da alcuna guerra, né da alcuna carestia o emergenza umanitaria) ci offre la chiave per comprendere quale sia la centrale operativa da cui pare l’attuale attacco concentrico contro l’Italia. Le “migrazioni”, o meglio i “flussi migratori”, infatti, sono degli eventi tanto naturali quanto lo sono gli alti e bassi dello spread, regolati dalle banche europee che vendono acquistano i titoli di Stato italiani al preciso scopo di destabilizzare e mettere in ginocchio la nostra economia: vale a dire che non lo sono affatto. C’è una regia, ed è la stessa sia quando l’alcolizzato Juncker e l’arrogante Moscovici mettono il governo Conte sul banco dei delinquenti, accusandolo di non rispettare i patti (i patti coi quali l’Italia si dovrebbe impiccare da sola, a loro esclusivo beneficio) sia quando l’Unione Europea e le Nazioni Unite impongono all’Italia di subire in silenzio l’auto-invasione e, anzi, di collaborare volonterosamente ad essa, per esempio attraverso un Global Compact che trasformerebbe il nostro Paese in un enorme, permanente campo profughi e seppellirebbe qualsiasi speranza di riconquistare indipendenza e identità, anche per le generazioni future.

Ma la cosa più inquietante è il ruolo giocato da una parte della nostra classe dirigente. Una bella fetta di essa non solo fa il tifo sia per lo spread, sia per l’invasione, non si limita a questa simpatia platonica per il nemico: si dà da fare con tutte le sue risorse per affrettare la sua vittoria e per piegare le ultime resistenze del popolo italiano e di chi vorrebbe difendere i suoi legittimi interessi. E quale interesse potrebbe mai esservi più legittimo di questo: difendere il diritto di un popolo alla sopravvivenza, sia sul piano puramente biologico, sia su quello della sua identità e della sua civiltà? Se le donne italiane non sono ancora costrette ad andare per la strada con il burqua, e se gli omosessuali maschi italiani (sì, cari amici progressisti e fautori dell’islamizzazione dell’Italia: è proprio così, con o senza la legge Cirinnà) non corrono il rischio di essere imprigionati, lapidati, impiccati per il fatto di praticare apertamente la sodomia, lo si deve alla ragione che c’è ancora qualcuno che non ci sta, che ha capito l’inganno e che s’impegna per scongiurare un simile futuro per noi e soprattutto per i nostri figli. Stranamente, pare che i signori dell’auto-invasione, i progressisti, non valutino affatto le conseguenze delle loro scelte, dato che non solo svolgono una instancabile propaganda che è una gigantesca mistificazione della realtà, presentando gli invasori come profughi e come naufraghi, mentre non sono né l’una cosa, né l’altra, e nello stesso tempo dando ragione a Juncker e Moscovici e assicurando l’opinione pubblica italiana che è il governo Conte ad avere torto marcio nella disputa con l’Unione Europea, ma additano quotidianamente alla pubblica esecrazione quanti si oppongono ai loro sciagurati disegni. Ed è molto triste, anche se non sorprende affatto, vedere che, fra i partigiani del nemico e gli affossatori della verità e della libertà italiana, ci sono proprio quelli che hanno assaggiato la medicina dell’Unione Europea nel 2011, quando essa attuò in casa nostra un colpo di Stato mascherato, diretto da Bruxelles e avallato dall’inquilino del Colle; e che adesso, per rancore meschino e per la smania di tornare al governo prima che il loro partito di plastica si liquefaccia completamente, si affiancano al partito antinazionale dichiarato (i neomarxisti sono sempre stati internazionalisti, quindi sono sempre stati antinazionali) e utilizzino il loro quasi monopolio mediatico per manipolare e falsificare sistematicamente l’informazione pubblica, facendo del loro meglio, o del loro peggio, per ridurre gli italiani a una massa di pecore condotte al macello, che non devono neanche accorgersi di quale destino le attenda.

Quello di parteggiare per il nemico e di aiutare in ogni modo l’invasione straniera è un vizio antico, che affonda le radici nei secoli più remoti. Per limitarci all’ultima guerra mondiale, nella quale si è giocata la partita decisiva per l’indipendenza del nostro Paese, e che l’Italia ha perso, senza che il popolo italiano si rendesse conto, né allora, né poi, quale fosse la vera posta in gioco, e anzi applaudendo il nemico vincitore e insultando quanti si erano sacrificati per difendere, sino all’ultimo, la Patria, si notano delle analogie impressionanti con quel che sta succedendo oggi. La storia della guerra italiana del 1940 attende ancora di esser raccontata in maniera onesta. Per come la si racconta adesso, nelle scuole e nei programmi televisivi, e in quasi tutta la saggistica e la memorialistica (opportunamente selezionata), non è che un cumulo di spudorate menzogne e di deliberate falsificazioni. Ancora viene fatto credere al pubblico che i nostri soldati furono mandati in Russia con gli scarponi dalle suole di cartone, cosa assolutamente non vera, per dare a intendere che furono incoscienti e criminali quelli che ce li mandarono; e ancora viene fatto credere – come sta scritto su una lapide immortalata da tante fotografie – che ai nostri combattenti di El Alamein mancò la fortuna, non il valore. Invece non è la fortuna che venne a mancare, ma l’onestà e la lealtà dei capi; in altre parole, essi, come tanti altri loro camerati impegnati su tutti i fronti, e come i marinai che si prodigarono e si sacrificarono in una lotta impari nel Mediterraneo e anche sugli oceani, furono vittime di tutta una serie di deliberati sabotaggi e di odiosi tradimenti. Del resto, ci sarà una ragione se i vincitori, nel Trattato di Parigi del 1947, vollero inserire l’intollerabile articolo 16, che faceva esplicito divieto alle autorità italiane di perseguire quei concittadini i quali si erano adoperati per la vittoria alleata, e quindi per la sconfitta della loro Patria, non dall’8 settembre del 1943, quando ci fu il poco glorioso ribaltamento delle alleanze, ma sin dal primo giorno delle ostilità, cioè dal 10 giugno del 1940. Perché la triste verità è questa: l’Italia, nel secondo conflitto mondiale, era piena di traditori che favorivamo attivamente la causa del nemico.

Potremmo citare decine di esempi circostanziati. Eppure, quasi il solo scrittore che ebbe il fegato di parlarne, con particolare riguardo alla Regia marina, la quale pullulava di ammiragli e comandanti filo-inglesi, sposati con donne inglesi e simpatizzanti per la Gran Bretagna e per la sua causa (cioè contro la causa nostra: con gl’inglesi che tenevano Gibilterra, Malta e il Canale di Suez nelle loro mani, e quindi spadroneggiavano nel nostro mare) è stato Antonino Trizzino, che rimediò una querela per oltraggio all’onore delle Forze Armate (proprio lui!) e fu trascinato in tribunale, peraltro uscendone assolto. Un altro, ancor più acuto e puntuale nella sua analisi, sotto il profilo politico-militare, è stato Franco Bandini; per il resto, silenzio di tomba, e avanti con la retorica delle suole di cartone e del valore cui mancò la fortuna; e, naturalmente, avanti con gli insulti e gli improperi alla memoria di Mussolini, che con folle incoscienza aveva trascinato in guerra, lui solo, un popolo che non aveva voglia di farla e i cui veri sentimenti erano ben diversi; e tacendo, per lo più, o minimizzando come cosa irrilevante, il piccolo dettaglio che il capo dello Stato, nel 1940, non era il duce, ma il re, quello che il 25 luglio del 1943 se ne sbarazzò in un lampo, facendolo arrestare dai carabinieri come fosse un delinquente di mezza tacca; e che il re aveva tranquillamente firmato la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, poi anche alla Grecia, alla Russia, agli Stati Uniti.

Ecco, per esempio, cosa scriveva il maresciallo Rommel, nel suo diario, dal fronte di El Alamein (ci. Da: Pietro Caporilli, Trent’anni di vita italiana. Panorama storico dal 1915 al 1945, Roma, Michele Nastasi Editore, 1967, vol. 2, p. 532):

 9 luglio 1942. Puntate di carri britannici. Le difficoltà del rifornimento si aggravano. I fusti di benzina provenienti dall’Italia sono per due terzi pieni d’acqua! Abbiamo fatto una inchiesta e la situazione risulta identica e abituale. È un vero e proprio sabotaggio. Vi sono in media da 50 a 60 litri d’acqua per ogni fusto. Gli italiani vi sono già abituati, dato che i comandi hanno disposto “per prescrizione” che prima dell’uso i fusti siano posti a decantare per dividere i due liquidi. È incredibile!

12 luglio. Le notizie di Tripoli sui convogli e sui rifornimenti sono gravi.

18 luglio. Giornata di stasi sul fronte. Von Rintelen (addetto militare tedesco a Roma) assicura di aver trattato col generale Cavallero la questione del controspionaggio in Italia. La questione si presenta sempre più pressante se non si vogliono condannare tutti i convogli di rifornimenti per la Libia ad una sicura distruzione. Le radio clandestine pullulano in Italia ed il nemico è criminalmente informato di ogni movimento nei porti, per cui non valgono scorte navali od aeree, perché le rotte sono conosciute prima dagli inglesi che dai comandanti delle navi… Insisto da tempo perché il controspionaggio tedesco prendesse in mano la difesa contro le radio clandestine ma il Comando Supremo italiano ed il S.I.M. si sono finora mostrati contrari ad un nostro intervento ed alla istituzione della nostra rete radiotelegrafica di controllo il che, a nostro avviso, è inspiegabile, (a meno di voler formulare dolorose ipotesi).

7 agosto 1942. S.O.S. per i rifornimenti. Le navi affondano e noi ci insabbiamo.

18 agosto. Le perdite dei convogli sono sempre più gravi.

 Dunque: mentre i nostri soldati, a El Alamein, combattevano contro un nemico strapotente, con indomito coraggio; mentre i nostri marinai affrontavano immensi sacrifici per tentar di rifornire l’esercito del carburante necessario alla guerra nel deserto; e mentre i nostri aviatori si sacrificavano nei cieli per contrastare la schiacciante supremazia aerea alleata, in Italia c’era chi versava sistematicamente ettolitri d’acqua nei fusti di benzina destinati ai nostri carri armati, e chi, standosene al sicuro nei porti, informava via radio la flotta nemica di tutti i movimenti delle nostre navi, comprese le partenze e le rotte dei convogli destinati a rifornire la Libia. C’era chi, insomma, pugnalava alla schiena i nostri soldati, aviatori e marinai, preparando la sconfitta della Patria e la vittoria del nemico. Gente che poi non solo ebbe l’impunità, grazie all’articolo 16 del trattato di pace, ma ricevette anche medaglie e onorificenze da Stati Uniti e Gran Bretagna per i servigi resi a quei Paesi, non certo al nostro. Oggi, perciò, chiediamo: c’è ancora chi versa acqua nella benzina?

 

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