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4 Maggio 2018 

 

Renzi-Di Maio, era quasi accordo. Ma … cherche la femme

di Giulio Scranno

 

Alla fine il Pd ha deciso di non decidere. Almeno per il momento è stata sventata l'ipotesi di una conta interna che avrebbe lasciato sul campo un partito spaccato a metà. La mediazione è coincisa con il rinnovo a tempo (molto determinato) della fiducia nei confronti del reggente Maurizio Martina e l'impegno a convocare l'Assemblea nazionale quanto prima (nel mese di maggio). Questa assise, a sua volta, darà il via al percorso congressuale che, situazione politica permettendo, terminerà con l'elezione del nuovo segretario nelle prime settimane dell'autunno di quest'anno. A quel punto, la conta ci sarà eccome.

 

Ma come si è arrivati a questo punto d'incontro dopo una vigilia tanto minacciosa? Può sembrare un paradosso ma l'artefice principale della (momentanea) riappacificazione in casa dem è quel Matteo Renzi che fino a poche ore fa veniva considerato il più deciso ad andare fino in fondo. I minuti immediatamente precedenti alla riunione sono stati decisivi, quando in una stanza del Nazareno si sono incontrati l'ex leader e il suo successore. «Io ti voto la fiducia perché non voglio spaccature, ma solo fino all'Assemblea perché ora abbiamo bisogno di un congresso»: sono state più meno queste le parole dette da Renzi a Martina. Il quale, durante la sua relazione, non ha risparmiato alcuni fendenti nei confronti della gestione precedente del partito. Ma in questa fase per l'ex rottamatore era necessario ricucire. 

 

Ricucire una frattura che porta la sua firma, soprattutto per quanto è successo nei giorni scorsi. Secondo fonti ben informate e molto vicine al Giglio Magico, infatti, Renzi, a dispetto di quanto dichiarato pubblicamente, stava lavorando eccome ad un'intesa con i Cinque Stelle. Tanto che la ormai famosa lettera di Di Maio al Corriere della Sera, uscita domenica scorsa, sarebbe addirittura stata concordata con lo stesso Renzi, prima della sua ospitata da Fazio. Il "senatore semplice di Scandicci" aveva l'appoggio di quasi tutti i big del partito e, soprattutto della stragrande maggioranza degli amministratori locali, allarmati dal crollo del Pd e molto ben disposti ad allargare il loro margine d'azione insieme al M5s. 

 

Su questa linea, comunicata anche a Mattarella (il quale non avrebbe mai accettato alla cieca le rassicurazioni di Fico che parlava sommariamente di "esito positivo" del suo incarico esplorativo della scorsa settimana), Renzi aveva posizionato un po' tutti nel Pd. Da Delrio al recalcitrante Marcucci, da Lotti (uno dei Gigliati che si è speso di più per l'accordo), a Gentiloni, allo stesso Martina che spingeva per l'intesa. La strategia era quella di far sudare sette camicie ai Cinque Stelle, affidando le trattative a Minniti e Franceschini, ma di arrivare comunque ad un esito positivo. Prendendosi tutto il tempo che ci voleva e cercando di convincere anche i pasdaran più dubbiosi. 

 

Qualcosa, però, è cambiato in maniera repentina, tanto che l'intervista a 'Che tempo che fa', che doveva segnare la definitiva svolta, si è trasformata in un attacco diretto al Movimento Cinque Stelle, cui ha fatto seguito la dura reazione di Martina e lo scontro che si è registrato nei giorni successivi fino a ieri. 

 

Ma perché Renzi ha cambiato idea così in fretta e così violentemente? Secondo la nostra fonte un ruolo decisivo è stato giocato, come sempre, da Maria Elena Boschi. Erano i giorni in cui lei andava in giro dicendo che «ormai contro l'accordo con i Cinque Stelle siamo rimaste io, io e io'. Lei sapeva benissimo che sarebbe stata la vittima sacrificale di un'intesa con Di Maio e soci, indisponibili ad inserire il suo nome in qualsiasi tipo di trattativa. E così ha agito sull'ego del capo, facendogli cambiare idea e ribaltare il tavolo, convincendolo a far saltare tutto. Una decisione che ha mandato Di Maio su tutte le furie, ma soprattutto in tilt il partito e in confusione lo stesso Renzi, intimorito dalla reazione dei dirigenti dem e dalla prospettiva di una conta in Direzione. 

 

«Ancora fino a ieri mattina - dice il nostro informatore - Matteo ha provato a mettersi in contatto con Franceschini per provare a ricomporre la rottura, ma Dario si è sempre negato al telefono. Questa volta ha veramente esagerato». La stessa idea se la deve essere fatta il presidente della Repubblica, che è rimasto completamente spiazzato dal voltafaccia di Renzi. A cui non è sfuggito che nella nota in cui convocava nuove consultazioni per lunedì, il Capo dello Stato dichiarava chiusa la possibilità di un governo Pd-M5s, poche ore prima della Direzione che, in teoria, era stata convocata esattamente per esprimersi su questo. 

 

Ad una prima lettura questa presa di posizione sarebbe potuta sembrare un'apertura di credito verso Renzi, in realtà è esattamente il contrario. Con la chiusura del forno Pd-M5s, Mattarella ha sgombrato il campo della Direzione dall'alibi di spaccarsi sulla possibilità o meno di aprire ad un'intesa con i Cinque Stelle, spostando il focus della discussione proprio sul futuro del Pd, sul ruolo di Renzi e quello di Martina. Esattamente ciò che l'ex rottamatore non voleva e che ha provato ad arginare fin da subito, nei giorni scorsi, con il documento scritto da Guerini e firmato dalla maggioranza dei parlamentari dem in cui si chiedeva di "evitare conte dannose". Un documento che ha avuto il merito di fare chiarezza sulle posizioni dello stesso Renzi, che temeva l'effetto "scacco matto".

 

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