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12 Aprile 2018 - 08:55

 

Capire il voto ungherese e la vittoria di Orban: l’Occidente è vittima dei suoi stessi pregiudizi

di Alexander Damiano Ricci

 

Il rafforzamento dell'asse Visegrad e l'internazioanlismo dei partiti nazionalisti, che vogliono rimanere nell'Ue perché gli conviene. Una rassegna di editoriali dai principali siti e quotidiani europei per capire gli effetti del voto in Ungheria

 

Rassegna di analisi ed editoriali legati al voto ungherese di domenica scorsa che hanno visto l'ennesima affermazione politica del leader di Fidesz, Viktor Orban.

Su Taz.de, Eric Bonse spiega che la vittoria di Viktor Orban implica un rafforzamento dell’asse Visegrad (Ungheria-Polonia- Slovacchia-Repubblica Ceca) in seno all’Unione europea e, conseguentemente, una difficile realizzazione di politiche solidali sul fronte asilo e rifugiati.

Allo stesso modo, Hannelore Crolly, Christoph B. Schiltz du Die Welt scrive che il risultato “spacca l’Europa” e mette a repentaglio i piani di riforma di Macron e Merkel. Sulla stessa testata, Dirk Schümer scrive che “chi non vuole i populisti al potere, deve risolvere i problemi”. Schümer sottolinea soprattutto che sarebbe ormai sbagliato analizzare il successo dei singoli partiti di destra come fenomeni puramente nazionali: “Così come, nel 1860, il socialismo transnazionale si affermò ovunque in opposizione alle conseguenze dell’industrializzazione, anche il populismo odierno va interpretato alla stegua di un movimento internazionale”. L’esperto di politica europea tedesco sottolinea che “questi partiti nostalgici neo-nazionalisti decidono l’agenda politica da tempo”, anche perché “affrontano dei tabù, al di là della dimensione destra-sinistra”.

 

Su Taz.de, Eric Bonse spiega che la vittoria di Viktor Orban implica un rafforzamento dell’asse Visegrad (Ungheria-Polonia- Slovacchia-Repubblica Ceca) in seno all’Unione europea e, conseguentemente, una difficile realizzazione di politiche solidali sul fronte asilo e rifugiati.

 

Un editoriale di Indy Voices per The Independentdescrive Orban come un “mini-Putin”. Allo stesso tempo, nel pezzo, si sottolinea come il Primo ministro magiaro, sebbene non amato nei circoli internazionali, goda di grandi livelli di popolarità tra i cittadini. Nello stesso pezzo, il voto ungherese viene messo in continuità con i risultati delle altre tornate elettorali, non da ultimo quella italiana che avrebbe visto il trionfo di forze “xenofobe”. Orban rappresenta un problema per l’Ue? Non al pari di quanto è avvenuto nel Regno Unito con lo UKIP: alla fine della fiera, in Europa, tutti i “populisti” dell’Est (e del Sud) vogliono rimanere nell’Ue. Perché? Conviene da un punto di vista economico.

La redazione del The Guardian chiama “alle armi” gli attivisti di tutta Europa. Per sconfiggere il “populismo xenofobo” c’è bisogno di una riattivazione dei militanti di partiti movimenti e, più in generale, della società civile. Per il quotidiano liberale britannico, “l’Unione europea, in quanto idea e insieme di regole”, sarebbe “una condizione necessaria, ma non sufficiente”, per fermare i nazionalismi.

A proposito di Ue, il giorno dopo il voto, da Varsavia, il Vice-Presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, avrebbe affermato che l’Unione ha il “dovere” di impedire un ritorno a dittature nel Vecchio Continente. La dichiarazione sarebbe stata rilasciata come commento agli sviluppi delle politiche in Polonia e delle elezioni in Ungheria, scrive Andrew Rettman per EUobserver.

Una rassegna delle principali reazioni del mondo della politica, come anche della società civile europea, alla rielezione di Orban può essere letta sulle pagine di Euractiv.

 

La redazione del The Guardian chiama “alle armi” gli attivisti di tutta Europa. Per sconfiggere il “populismo xenofobo” c’è bisogno di una riattivazione dei militanti di partiti movimenti e, più in generale, della società civile. Per il quotidiano liberale britannico, “l’Unione europea, in quanto idea e insieme di regole”, sarebbe “una condizione necessaria, ma non sufficiente”, per fermare i nazionalismi.

 

Intanto, un’altra testata di riferimento di Bruxelles, Politico.eu ha pubblicato un editoriale in cui David Dorosz delinea cinque lezioni da trarre dall’elezione di Orban: le campagne anti- immigrazioni sono estremamente efficaci; il controllo dei mass-media rimane un elemento fondamentale per indirizzare l’agenda elettorale; esiste, di fatto, una rottura radicale tra interessi delle comunità rurali e le élite metropolitane; le connessioni con il potere di Mosca contano ancora; sarebbe un’illusione credere che, dopo una vittoria elettorale, i leader della destra abbiano un incentivo ad ammorbidire le loro posizioni radicali per essere rieletti. 

Anche Eamonn Butler (Università di Glasgow), su The Conversation, si focalizza sulla radicalizzazione di Orban oltre che sulla dimensione (mastodontica) della vittoria, o, specularmente, della sconfitta delle altre forze in campo, a partire da Jobbik.  

Sulle pagine della versione inglese di Der Spiegel, Keno Verseck spiega che il risultato è anche figlio di un sistema elettorale, first past the post (seggi uninominali con vittoria a maggioranza relativa, simile al Regno Unito): su 199 deputati di Fidesz, ben 106 sono stati eletti sebbene, nei rispettivi seggi, i partiti di opposizione abbiano ottenuto, cumulativamente, una percentuale maggiore del partito di Orban. Nello stesso articolo viene citato Ágoston Mráz, uno scienziato politico vicino al Governo di Budapest: “Quando si tratta di giudicare Orban, l’Occidente è prigioniero dei suoi stessi pregiudizi [...] e non vede quanto sia forte la legittimità democratica del Primo ministro in Ungheria”.

 

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