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21 Giugno 2018

 

USA, la farsa dei diritti umani  

di Mario Lombardo

 

Da un punto di vista logico, la presenza degli Stati Uniti nel consiglio ONU per i diritti umani (UNHRC) è sempre stata una gigantesca contraddizione in termini se si attribuisce a questo organo la promozione e la difesa di valori democratici umanitari. L’uscita di Washington dal consiglio, annunciata questa settimana dall’amministrazione Trump, non è però la presa d’atto del ruolo distruttivo e destabilizzante della prima potenza del pianeta, bensì una nuova conferma della colossale ipocrisia degli USA sul tema dei diritti umani e, una volta venuto meno il vincolo formale delle Nazioni Unite, il segnale di nuovi futuri crimini nella proiezione degli interessi di questo paese.

 

La decisione di lasciare il consiglio è stata presentata martedì alla stampa con un breve comunicato del segretario di Stato, Mike Pompeo, e dell’ambasciatrice americana all’ONU, Nikki Haley. La ragione ufficiale è da ricondurre all’atteggiamento eccessivamente critico di questo organo nei confronti di Israele e del trattamento riservato ai palestinesi dallo stato ebraico.

 

Già un anno fa, la Haley aveva minacciato il possibile addio degli USA all’organismo con sede a Ginevra in un discorso infuocato nel quale chiedeva una serie di riforme nella gestione delle questioni legate ai diritti umani. Tra le proposte americane c’era quella di cambiare le modalità di distribuzione dei seggi, così da escludere dal consiglio quei paesi con precedenti di abusi dei diritti umani.

 

Fermo restando che questa riforma avrebbe dovuto determinare l’espulsione immediata proprio degli Stati Uniti, l’ambasciatrice di Trump all’ONU intendeva in sostanza fissare dei paletti per la difesa dei crimini di Israele e fare del consiglio uno strumento della politica estera americana per favorire l’aggressione di paesi più o meno ufficialmente sulla lista nera di Washington.

 

Un’altra condizione richiesta dagli USA era la rimozione del punto 7 dell’agenda UNHRC, cioè la disposizione che prescrive a ogni sessione un dibattito sugli abusi commessi da Israele contro i palestinesi. Per Washington, questa norma, prevista esclusivamente per lo stato ebraico, rivelerebbe un atteggiamento pregiudiziale nei confronti di Israele, mentre riflette semplicemente una realtà unica e che vede i diritti umani della popolazione palestinese regolarmente e permanentemente calpestati dal governo di Tel Aviv.

 

Quello deciso martedì dagli Strati Uniti è comunque il primo abbandono volontario in assoluto dell’UNHRC da parte di un qualsiasi paese che ne fa parte. La mossa, al di là della retorica di Pompeo e Haley, è in qualche modo il riconoscimento del ruolo internazionale degli USA, di fatto e di gran lunga il principale responsabile di crimini contro l’umanità nel pianeta.

 

Opportunamente, l’addio al consiglio ONU è stato ratificato in un frangente nel quale l’amministrazione Trump è al centro di durissime polemiche sul fronte interno e internazionale per le sistematiche separazioni forzate di minori immigrati dai loro genitori che cercano di entrare “illegalmente” in territorio USA.

 

A inizio settimana, il direttore uscente dell’UNHRC, Zeid Ra’ad Al Hussein, aveva condannato esplicitamente le politiche di controllo dell’immigrazione di Washington, definendole “abusi inconcepibili” e chiedendo la fine immediata della “tolleranza zero” promessa dalla Casa Bianca e dal dipartimento di Giustizia.

Il diplomatico giordano aveva sollevato anche un’altra questione relativa al coinvolgimento degli Stati Uniti in massicce e ripetute violazioni dei diritti umani, cioè quella del conflitto in Yemen.

 

Washington appoggia infatti l’aggressione al limite del genocidio di Arabia Saudita ed Emirati Arabi contro il più povero dei paesi arabi, fornendo a questi regimi armi, supporto logistico e di intelligence per condurre operazioni che hanno creato una crisi umanitaria tra le più gravi degli ultimi decenni.

 

Anche senza considerare i precedenti recenti degli USA, dalla distruzione di interi paesi (Iraq, Libia, Siria), alle torture e agli assassini mirati di civili senza alcuna giustificazione legale, la concomitanza dell’uscita dall’UNHRC con l’esplosione delle polemiche su minori migranti e Yemen evidenziano ancora una volta, se mai fosse necessario, la doppiezza del governo americano sull’argomento dei diritti umani.

 

I giornali ufficiali negli USA hanno insistito tra l’altro su due aspetti della vicenda. Il primo è il pericolo che Washington perda l’influenza che deriva dalla presenza nel consiglio, ufficialmente per fare pressioni sui paesi che il governo americano considera come violatori seriali dei diritti umani. Nel concreto, su questo fronte il rischio per gli Stati Uniti è in effetti quello di vedere svanire la legittimità fornita dall’operare in concerto con un organismo ONU per promuovere gli interessi americani nel pianeta.

 

L’altro timore diffuso negli ambienti ufficiali ha a che fare invece con l’inevitabile accostamento degli USA a “stati-canaglia” appartenenti alle varie liste nere o “assi del male”, come Iran, Nordcorea o Eritrea, tutti esclusi dall’UNHRC. Anche in questo caso il rischio è rappresentato dal danno di immagine per un paese a cui resta ben poco della credibilità “democratica” dietro a cui nasconde le proprie mire strategiche internazionali.

 

La retorica ridicola dei diritti umani e il significato reale dell’appartenenza al consiglio ONU per i diritti umani da parte degli USA sono trapelati dalla dichiarazione di martedì del segretario di Stato Pompeo. Nell’annunciare l’addio di Washington, quest’ultimo ha definito l’UNHRC sia “un ostacolo al progresso dei diritti umani” sia “una minaccia per gli Stati Uniti”.

 

In una prospettiva più ampia, la decisione di questa settimana ripropone la consueta insofferenza degli USA per gli organismi internazionali, perché visti appunto come ostacoli alla conduzione di una politica estera dettata puramente dai loro interessi economici e strategici. Per quanto riguarda il consiglio per i diritti umani, basti pensare al fatto che Washington fu uno dei soli 4 paesi che nel 2006 votò contro la risoluzione dell’Assemblea Generale ONU che ne decretò la nascita.

 

La notizia dell’uscita degli Stati Uniti dall’UNHRC si inserisce inoltre in una dinamica accentuata dall’ingresso di Trump alla Casa Bianca. Vale a dire la denuncia, se non l’aperto rifiuto, da parte americana del sistema di relazioni che ha sostenuto gli equilibri internazionali a partire dal secondo dopoguerra e che era stato istituito proprio per garantire la posizione dominante degli USA a livello globale.

 

Questa deriva è da collegare direttamente al declino dell’influenza americana nel mondo e al tentativo di stravolgere l’ordine internazionale per cercare di ricomporlo secondo i propri interessi attuali. Il rischio, chiaramente, è rappresentato dai nuovi conflitti che ne possono derivare e, come conferma il ripudio del consiglio per i diritti umani di Ginevra, una conduzione degli affari internazionali da parte degli Stati Uniti sempre più in violazione dei più basilari diritti umani e democratici.

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