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10 Settembre 2018

 

Sinceri democratici, attenti: Il complotto contro Trump è molto più pericoloso di Trump

di Fulvio Scaglione

 

D’accordo, Trump è detestabile e rozzo, ma pezzi di amministrazione che complottano ai suoi danni dovrebbero far insorgere chi crede nella democrazia. E invece, sono proprio i Democratici (e il redivivo Obama) a soffiare sul fuoco, per vincere le elezioni di medio termine. Errore mortale

 

Fantapolitica. Arriva dalla Germania la notizia che Angela Merkel è boicottata dall’interno della sua stessa cancelleria, forse anche da alcuni ministri che lavorano in segreto per far deragliare la sua politica. Ci preoccuperemmo no? La Germania è pur sempre la locomotiva d’Europa. E che cosa penseremmo se contro Emmanuel Macron, presidente francese, muovessero oscure trame i dirigenti dei servizi segreti? E se il Corriere della Sera o La Repubblica, per fare qualche caso ipotetico, pubblicassero la lettera anonima di uno dei grand commis del Quirinale in cui si dice che il presidente Mattarella è un incapace, che sul Colle regna la confusione e che un gruppo di “patrioti” agisce nell’ombra per cambiare le cose?Ovvio, grideremmo allo scandalo. Diremmo, sdegnati, che in Francia si tengono le prove di un golpe. E giù tutti a fare muro contro il tentativo di screditare il presidente Mattarella attraverso un complotto di palazzo. Non è questa l’essenza della democrazia, ovvero il rispetto delle scelte del corpo elettorale e delle istituzioni?

 

Nel caso degli Stati Uniti, lo spirito di molte persone che si considerano sinceramente democratiche funziona al contrario. Poiché il presidente è Donald Trump, qualunque azione illecita risulta lecita, anzi bella, commovente, una battaglia per la civiltà. Il tradimento del giuramento di fedeltà, lo spionaggio, la delazione, il complotto, il sabotaggio delle istituzioni diventano una cosa per cui fare il tifo, sperando che l’insurrezione silenziosa riesca nei suoi scopi e che la più grande e potente democrazia del mondo cambi strada grazie a una congiura di palazzo.

 

L’attuale Presidente può essere antipatico, nevrotico, interprete di una politica che non condividiamo o addirittura detestiamo. Ma per quale ragione il tradimento e il complotto si trasformano, di colpo, in valori? La ragione ce la dà Repubblica, che compila una vera lista. Scrive: “Gli Stati Uniti vivono una crisi istituzionale, un imbarbarimento del costume civile, il ritorno del razzismo e una pericolosa demagogia autoritaria”. Niente di nuovo, è più o meno quel che si dice di qualunque Governo “altro” rispetto alle grandi correnti politiche dominanti dalla fine della seconda guerra mondiale.

 

Ma andiamo a vedere nel caso di Trump. Crisi istituzionale? E dove? Trump è stato eletto democraticamente e tutti i sistemi di controllo previsti dalle leggi elettorali degli Usa hanno confermato la regolarità della sua ascesa alla Casa Bianca. Gli Usa hanno un Presidente, un Governo (che ha vissuto notevoli turbolenze all’inizio ma ora è stabile), un Parlamento come sempre. È vero piuttosto il contrario di quanto scrive Repubblica: 

dall’inizio della presidenza, molti esponenti dell’amministrazione, infedeli più alla democrazia americana che a Trump, hanno cercato in ogni modo di produrla, quella crisi istituzionale. Il che, tra l’altro, somiglia in modo sinistro ai tradizionali metodi che gli Usa applicano all’estero: creare una crisi (Iraq, Libia, Siria, Ucraina...) per avere la scusa di intervenire dicendo “visto? C’è una crisi”.

 

Punto due: l’imbarbarimento del costume civile. Davvero? Al capitolo imbarbarimento non si sa che dire perché non si sa cos’è. La gente non si saluta più? Si mette le dita nel naso? O forse ci si riferisce alle sparatorie per strada? Beh, allora ricordiamo che negli anni di Barack Obama furono 162 le stragi causate da armi da fuoco, con 18 episodi in cui morirono più di 8 persone. Trump non migliorerà le statistiche, è certo, ma sconta un piccolo fatto: sotto il suo predecessore, Obama, quello che ogni volta andava a piangere in tv, le vendite di armi da fuoco negli Usa crebbero del 158%. Armi che Trump, a sua volta molto amico dell’industria degli armamenti, si è ritrovato nelle case e nelle strade.

 

Punto tre: il ritorno del razzismo. Sicuri? Il Muslim Ban? Così chiamato (I musulmani al bando) con un palese falso, era un provvedimento legato alla sicurezza, non al razzismo. I Paesi colpiti dalla limitazione dei visti (Libia, Siria, Iran, Somalia, Sud Sudan, Yemen e Corea del Nord) hanno anche cittadini non musulmani e nel 2015 e 2016 erano già stati puniti con le stesse misure da Barack Obama, che li aveva definiti “Paesi esportatori di terroristi”. È altresì curioso notare che quattro di loro erano stati colpiti, ben prima del Bando, da attacchi militari Usa. Ultimo ma non ultimo, il Muslim Ban è stato sdoganato dalla Corte Suprema, massimo organo di verifica della costituzionalità dei provvedimenti legislativi. Ma forse si tratta del famoso muro al confine con il Messico, dei respingimenti dei migranti irregolari. Peccato che Trump non abbia messo nemmeno un mattone e che il Muro che c’è avesse cominciato costruirlo Bill Clinton.Peccato che Obama, nei suoi due mandati presidenziali, abbia fatto espellere 2,5 milioni di migranti irregolari. Che c’è dunque di straordinario?

 

Infine, punto quarto, la pericolosa demagogia autoritaria. Demagogia quanta se ne vuole. Ma autoritaria? In questi primi due anni di presidenza Trump ha forse limitato le libertà e i diritti civili dei suoi concittadini? Ha distorto il funzionamento delle istituzioni? Non risulta. E pericolosa dove? L’economia Usa vola, e la loro vocazione imperiale si dispiega in ogni continente. Insomma: di che cavolo stiamo parlando, se non di una lotta di potere condotta con ogni mezzo, lecito e soprattutto illecito, contro un Presidente estraneo all’establishment?

 

La ciliegina sulla torta, poi, è il ritorno in scena di Barack Obama. Come Cincinnato, raccontano, sente la patria in pericolo, raccoglie la chiamata, molla gli ozi post-presidenziali e si rituffa nella mischia. Tutte balle. Obama è l’ideatore, il capo della congiura anti-Trump e anti-democrazia Usa, fin da quando, presagendo la sconfitta di Hillary Clinton, tirò fuori dal cilindro il Russiagate, la vera arma per azzoppare Trump. In questi due anni di indagini, il Russiagate si è sgonfiato come un palloncino. Quel furfante di Paul Manafort, il lobbista che era stato per tre-mesi-tre direttore della campagna elettorale di Trump, è stato infine condannato ma per evasione fiscale. E così via con le altre frottole, ultima quella di Maria Butina, la giovane russa che doveva essere la superspia del Cremlino infiltrata alla Casa Bianca: l’altroieri il procuratore che l’accusava ha dovuto ammettere di “essersi sbagliato”. Inutile cercare la notizia sui nostri giornali, che due mesi fa titolavano: “Maria Butina, la spia russa arrivata a un passo dallo Studio Ovale”.

Obama torna in scena ora, violando l’antica prassi per cui gli ex presidenti fanno gli ex e basta, perché questo è il primo e l’ultimo momento possibile per farlo. Siamo alla vigilia delle elezioni di medio termine, quando (in novembre) gli elettori saranno chiamati a rinnovare la Camera dei Rappresentanti e un terzo del Senato. Se i democratici non riescono a riconquistare la maggioranza almeno in uno dei due rami del Congresso, Trump correrà verso la fine del primo mandato, con buone possibilità di prendersene un secondo. Obama è chiamato a mobilitare gli spiriti dell’opposizione (quella palese e quella complottarda) con il vecchio carisma. Attenzione, però: lui fu due volte Presidente, ma il Partito democratico con lui perse tre volte su quattro elezioni.

 

 

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