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14 agosto 2018

 

Perché le barche della solidarietà per Gaza hanno successo

di Ramzy Baroud

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Quando Mike Treen, il Direttore Nazionale del sindacato ‘Unite Union’ in Nuova Zelanda, è arrivato all’aeroporto di Auckland, il 1° agosto,  un gruppo di persone lo  stava ansiosamente aspettando al terminal con bandiere palestinesi e fiori. Lo hanno abbracciato, hanno scandito slogan per la libertà palestinese e hanno eseguito la consueta danza nativa, l’Haka.

 

Per loro, Mike, come tutti quelli che sono salpati a bordo della Fredoom Flotilla per Gaza lo scorso luglio, erano eroi.

 

Ma la verità è che Mike Treen e i suoi compagni non erano i soli eroi ad affrontare il mare con lo scopo di infrangere l’ermetico blocco militare israeliano alla Striscia di Gaza impoverita e isolata. Senza coloro che erano presenti all’aeroporto di Auckland, per l’arrivo di Michael, e senza le migliaia di sostenitori di tutto il mondo che si sono mobilitati come comunità, che hanno indetto numerosi incontri, che hanno raccolto fondi, che hanno creato in potente discorso mediatico, e così via, il tentato viaggio di Treen a Gaza, non sarebbe staro possibile.

 

Le prime imbarcazioni che hanno violato con successo l’assedio di Gaza nell’ottobre del 2008, sono state la ‘Free Gaza e la ‘Liberty’. Portavano 44 persone do 17 paesi. Gli attivisti volevano spingere i loro paesi a riconoscere l’illegalità del blocco di Israele a Gaza e, alla fine, a sfidare l’assedio.

 

Il loro trionfale arrivo a Gaza, 10 anni fa, ha segnato un momento storico per il movimento internazionale di solidarietà, un momento forse unico. Da allora, Israele ha lanciato varie e massicce guerre letali contro Gaza. La prima guerra ha avuto luogo soltanto poche settimane dopo l’arrivo delle prime barche, ed è stata seguita da un’altra guerra nel 2012 e dalla più letale di tutte, nel 2014. L’assedio è diventato più serio.

 

Inoltre, da allora, sono stati fatti molti tentativi di infrangere l’assedio. Tra il 2008 e il 2016, 31 imbarcazioni sono salpate per Gaza da molte destinazioni, sono state tutte intercettate, il loro carico è stato confiscato e i passeggeri sono stati maltrattati. Il più tragico di questi incidenti è avvenuto nel maggio 2010 quando la marina israeliana ha attaccato la nave ‘Mavi Marmara’ che navigava insieme ad altre imbarcazioni – uccidendo 10 attivisti e ferendone molti altri.

 

Anche allora, il flusso delle imbarcazioni solidali è continuato, non soltanto non ostacolato dalla paura del castigo israeliano, ma anche più forti nella loro determinazione. I Palestinesi considerano gli attivisti uccisi come ‘martiri’ da aggiungere alla loro lista di martiri sempre crescente.

 

Tuttavia, nessuna delle imbarcazioni è riuscita ad arrivare a Gaza; perché, quindi, continuare a provarci?

Il maggio scorso, sono arrivato in Nuova Zelanda, paese che faceva parte di un tour promozionale  che mi ha portato anche in altri paesi. Tuttavia in Nuova Zelanda, un’isola del Pacifico relativamente piccola con una popolazione che non supera i 5 milioni di persone, la solidarietà con la Palestina è stata eccezionale.

 

Ho fatto domande circa il grosso lavoro di solidarietà con la Palestina svolto in Nuova Zelanda, parlando con il coordinatore della rete neozelandese  ‘Kia Ora Gaza’ (aiuto dei Kiwi* a Gaza – ) Roger Fowler, che, all’epoca era impegnato nei preparativi finali per la Freedom Flotilla.

 

In Nuova Zelanda ha detto: “Per molti anni il sostegno alla lotta palestinese si è fermato, spesso veniva percepito come troppo distante e falsamente rappresentato come ‘troppo complicato’. Lo sdegno globale per l’attacco delittuoso di Israele alla ‘della flottiglia umanitaria a Gaza, con a capo la Mavi Marmara’,  nel 2010, è stato un importane punto di svolta che ha cambiato tutto questo.”

 

Fowler stesso, insieme ad altri attivisti neozelandesi, si è unito al convoglio ‘Ancora di salvezza per Gaza’ subito dopo l’attacco alla Mavi Marmara, raggiungendo Gaza con tre ambulanze zeppe di medicine davvero necessarie, dato che l’assedio israeliano aveva anche privato la Striscia di Gaza delle attrezzature ospedaliere e delle medicine che servivano urgentemente. Coordinare tutto questo non era un compito facile, dato che doveva essere ottimizzato con i tentativi globali per il convoglio che comprendevano l’invio di altre 140 ambulanze e di 300 attivisti provenienti da 300 paesi.

 

“Ci sono state molte scene commuoventi quando i Palestinesi hanno appreso da quanto lontano arrivavamo per offrire solidarietà – i loro signori e padroni israeliani avevano detto per anni ai Palestinesi che nessuno si preoccupava di loro, il che è una grossa bugia,” mi ha detto Fowler.

 

Ho parlato anche con Mike Treen al suo ritorno dal suo viaggio per mare a Gaza. Treen è un attivista esperto che opera quotidianamente per la difesa dei diritti dei lavoratori di tutto il paese. Considera la sua lotta per i diritti dei lavoratori in Nuova Zelanda anche come parte integrante del suo atteggiamento di solidarietà globale.

 

“Nel mio ruolo come parte del movimento di unione in questo paese, sono stato anche in grado di spiegare (ai Neozelandesi) che i lavoratori innocenti (a Gaza) sono vittime di questo assedio, e che Israele ha spinto la disoccupazione a oltre il 50% per i lavoratori – una delle più alte percentuali nel mondo, mi ha detto.

 

Treen, proprio come Fowler, comprende che la barca della solidarietà non è semplicemente il problema di fornire scorte urgentemente necessarie, ma è anche un tentativo ben coordinato di rivelare i mali del blocco israeliano.

 

“A meno che Israele bombardi direttamente Gaza, l’assedio e le orribili implicazioni umane che questo comporta, semplicemente non riceve più l’attenzione della consapevolezza pubblica,” ha detto.

 

E questa è precisamente la vera missione delle flottiglie di Gaza: mentre Israele vuole normalizzare l’assedio di Gaza come sta attualmente normalizzando i suoi regimi di Occupazione e di Apartheid, il movimento di solidarietà ha creato un discorso opposto che vanifica  costantemente i piani di Israele.

 

In altre parole, se le imbarcazioni arrivano sulla costa di Gaza oppure vengono sequestrate dalla marina israeliana, fa poca differenza.

 

La potenza e l’efficacia di questo tipo di solidarietà va perfino oltre Gaza e la Palestina. “Il nostro coinvolgimento nei tentativi di solidarietà internazionale, come le Freedom Flotillas, ha, a sua volta, scatenato una ripresa in altri importanti elementi nella costruzione di un movimento per la giustizia in tutto il mondo”, mi ha detto Fowler, subito dopo il ritorno di Treen in Nuova Zelanda. Mike Treen ha molto lavoro da fare anche nel suo paese, dato che è occupato a coinvolgere i media e varie comunità nel suo paese, condividendo le sue esperienze sulla barca, il che ha portato al suo arresto, pestaggio, tortura con la pistola elettrica e all’ espulsione.

 

E, come l’orripilante regime dell’Apartheid in Sudafrica, anche l’Apartheid israeliana crollerà, perché i Palestinesi continuano a resistere e perché milioni di persone, come Mike e Roger, sono al loro fianco.

 

nota

http://www.risposte360.it/perche-i-neozelandesi-si-chiamano-kiwi

 


Ramzy Baroud è un giornalista, scrittore e direttore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è: ‘The Last Earth: A Palestinian Story’ (Pluto Press, London). Baroud ha un dottorato in Studi Palestinesi dell’Università di Exeter ed è Studioso  Non Residente presso il Centro Orfalea per gli Studi Globali e Internazionali all’Università della California, sede di Santa Barbara.  Visitate il suo sito web: www.ramzybaroud.net.


 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/why-solidarity-boats-to-gaza-succeed

Originale: non indicato

 

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