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24 lug 2018

 

La Freedom Flotilla Coalition riparte da Palermo verso Gaza

di Alessandra Mincone

 

Dopo Cagliari e Napoli, anche la Sicilia ha accolto la coalizione di navi che proverà a rompere simbolicamente il blocco navale imposto da Israele sulla Striscia

 

Palermo, 24 luglio 2018, Nena News –

 

Dopo Cagliari e Napoli, anche la Sicilia accoglie la Freedom Flotilla, la coalizione di navi che salpa verso la Palestina nel tentativo di portare aiuti umanitari sulla Striscia di Gaza oltrepassando il blocco navale di Israele.

Attraccati al molo del Porto di Palermo il 16 Luglio, gli attivisti hanno preso parte ad un calendario con molteplici iniziative di carattere politico per sensibilizzare la città: l’arrivo di “Ship to Gaza” coincideva con l’arrivo della Carovana “Abriendo fronteras”, con la quale hanno sfilato in corteo mostrando la totale solidarietà ai rifugiati politici, che attualmente si scontrano con frontiere più blindate e porti chiusi.

Palermo “capitale” della solidarietà non è dunque un appellativo riservato per la causa palestinese, ma al contrario vede attivisti ed attiviste impegnate a promuovere un mondo senza guerre, a partire dal ritiro delle truppe militari dalla Nato fino a denunciare, per quanto possibile, la violenza dell’esercito israeliano.

Proprio come riferito alla stampa da Zaher Darwish, tra gli organizzatori dell’accoglienza, “la Sicilia si conferma ancora una volta il cuore pulsante del Mediterraneo”.

Il recente ultimatum del Governo Italiano con le posizioni di Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, ha provocato un’escalation feroce di morti nel mar Mediterraneo e la Flottilla, già prima di arrivare nel primo porto sicuro d’Italia, aveva riscontrato maggiori difficoltà rispetto alle volte precedenti. Herman, capitano al comando della “Freedom”, e che ha già tentato di arrivare a Gaza via mare altre due volte, dichiara: “è necessario che si aiutino le persone sul mare, io stesso una volta ho rischiato di morire e sono stato aiutato. La situazione in Palestina è più urgente, ed oggi la solidarietà è fondamentale”.

La FFC negli scorsi tentativi di rompere l’assedio a Gaza via mare, ha sempre rischiato non solo di non riuscire nell’obiettivo materiale di prestare aiuto e soccorso, ma finanche la propria vita con i propri corpi. Un altro attivista di “Ship to Gaza”, anch’egli al terzo tentativo di forzare l’embargo su Gaza, racconta di alcuni episodi in cui “la coalizione fu fermata dalla marina israeliana e fummo imprigionati una settimana, poi liberati e rispediti a casa”, o quando “con la nave Julianne naufragammo nel Mediterraneo al largo di Corfù”.

Quest’ anno la flotta conosce bene i maggiori rischi a cui potrebbero incorrere, considerato che il livello di conflitto che segue le giornate per la Marcia del Ritorno continua a produrre morti e feriti di giorno in giorno. Come se non bastasse – già assediata via terra e via mare, e costretta a difendersi con delle azioni che impegnano anche i bambini a resistere ai bombardamenti – è di qualche giorno fa la notizia che il Ministro dell’istruzione Naftali Bennett voglia colpire in via aerea, soprattutto adolescenti e bambini che lanciano aquiloni e palloncini incendiari contro gli attacchi dei militari, giustificando le azioni spropositate del Governo Netanyahu di aprire il fuoco direttamente sui “terroristi” e non solo ai bordi della striscia.

Insieme alla deputata Shuli Mualeam-Rafaeli, sempre in nome di nuove misure anti terrorismo, hanno vietato alle Ong che criticano l’uso smodato della violenza da parte dell’esercito israeliano, di tenere conferenze e discussioni nelle scuole israeliane.

La FFC nonostante sia cosciente dei pericoli in cui potrebbe imbattersi, denuncia che tale azione di carattere simbolico, è oggi l’unico strumento a disposizione per tentare non semplicemente di raggiungere e soccorrere a livello medico e con aiuti alimentari le persone sulla Striscia di Gaza, quanto soprattutto di porre al centro dell’attenzione mediatica che esiste un blocco navale illegale, che da oltre dieci anni sta negando ogni tipo di diritto fondamentale al popolo palestinese.

In questi giorni il clima a Gaza è barbarico: acqua e elettricità scarseggiano, l’economia reale è al collasso. Persino le Nazioni Unite hanno lanciato un appello affinché Israele e Palestina si tirino indietro dall’orlo della guerra e facciano rivivere il processo di riconciliazione. Il portavoce N. Mladenov parla di “200 proiettili infuocati spediti da Gaza a Israele e una dozzina di razzi in risposta, come accordato dalle Forze di Difesa Israeliane”.

Ferry Sarpooshan, partita dalla Svezia, dichiara che per lei ”è l’undicesima settimana sulla barca. L’accoglienza in ogni Porto, il tempo speso dagli attivisti e il sostegno da fuori sono fondamentali.” Commenta, inoltre, che “la solidarietà si vede tra la gente comune, non tra i politici, che sono chiusi nelle loro stanze protette e che non sanno nulla delle bombe che cadono sulla Palestina.”

Mike Treen, sindacalista della Nuova Zelanda, è uno degli attivisti di “Ship to Gaza” che in una lunga lettera pubblicata on-line, rivela di aver preso il posto sulla barca Al awda, di un giovane ricercatore, Awni Farhat, un palestinese che ora non può far rientro nella sua terra: “Queste sono le crudeli ironie della vita nella Palestina occupata (…) Ci sono 13 milioni di palestinesi. Sette milioni e mezzo sono sfollati o in esilio. Sei milioni e mezzo di palestinesi continuano a vivere nella Palestina storica insieme a sei milioni e mezzo di persone di origine ebraica.”

Ma proprio Awni Farhat, non si scoraggia nonostante da Messina abbia dovuto lasciare la FFC, perché rappresenterebbe un facile bersaglio per Israele, e conclude che “la nostra umanità non è completa se non lottiamo per i diritti umani di tutti, e per la giustizia”. Nena News

 

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