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luglio 4, 2018

 

La resistenza è donna

di Maha Hussaini

Traduzione di Cristiana Cavagna

 

Centinaia di donne si sono riunite vicino alla barriera orientale di Gaza per chiedere la fine dell’assedio ed il diritto al ritorno

 

Martedì centinaia di donne e ragazze palestinesi si sono riunite vicino alla barriera est che separa l’enclave costiera da Israele, in quella che le organizzatrici hanno definito la protesta “delle donne palestinesi per il ritorno e per rompere l’assedio”.

 

In una conferenza stampa tenuta a Gaza lunedì, l’”Alta Commissione Nazionale della Grande Marcia per il Ritorno e per Rompere l’Assedio” ha invitato le donne palestinesi a “partecipare in gran numero alla protesta” e a chiedere il loro diritto al ritorno.

 

“Questo evento è in appoggio alle donne palestinesi che rimangono determinate nonostante l’assedio. Trasmette un chiaro messaggio: che nessuno può negarci i nostri diritti, soprattutto il diritto al ritorno, e le nostre richieste di togliere l’assedio”, ha detto Iktimal Hamad, la presidentessa del comitato delle donne della Commissione.

 

Madri, mogli, figlie e sorelle dei morti e dei feriti durante le proteste della ‘Grande Marcia del Ritorno’, come anche donne giornaliste e studentesse universitarie, hanno portato le bandiere palestinesi e cartelli che chiedono il diritto al ritorno ed hanno affermato la propria volontà di mantenere vive le proteste.

 

“Chi ha detto che le donne non possono lottare con la stessa efficacia degli uomini?” ha esclamato Suheir Khader, di 39 anni, che è venuta alla manifestazione con la sua famiglia e gli amici.

 

“Siamo cresciute con l’idea che la resistenza è donna. Le nostre nonne hanno sempre appoggiato i nostri nonni e lottato insieme a loro durante la Nakba (la catastrofe) e la prima Intifada.

 

“Sono qui oggi perché noi (donne) non possiamo stare semplicemente sedute a guardare i nostri padri e mariti che vengono uccisi e feriti. È nostro dovere condividere almeno questa lotta con loro”, ha aggiunto Khader.

 

Anche donne rimaste ferite durante le proteste della ‘Grande Marcia del Ritorno’ hanno preso parte alla protesta di martedì, chiedendo il diritto a cure mediche e il diritto al ritorno.

 

Amani al-Najjar, di 25 anni, ha detto che niente le potrebbe impedire di partecipare alle proteste, “nemmeno la mia ferita”.

 

“Sono stata ferita al petto da un candelotto lacrimogeno la terza settimana delle proteste”, ha spiegato. “Tre giorni dopo, quando ho incominciato a guarire, sono tornata qui per riprendere la protesta.”

 

Najjar, il cui fratello è stato ucciso da un cecchino israeliano l’anno scorso mentre partecipava alle proteste vicino alla barriera orientale, ha detto: “Sono qui per proseguire ciò che mio fratello ha iniziato. Se loro (i soldati israeliani) lo hanno ucciso per intimidirci e costringerci a smettere, si sbagliano. Al contrario ci hanno dato una ragione in più per continuare.”

 

Le proteste della ‘Grande Marcia del Ritorno’ sono iniziate il 30 marzo e sono proseguite consecutivamente per quattro mesi, per chiedere il diritto al ritorno per i palestinesi e la fine dell’assedio israeliano a Gaza.

 

Secondo Ashraf al-Qidra, portavoce del ministero della Sanità di Gaza, dall’inizio delle proteste 134 palestinesi, compresi 16 minori e una donna, sono stati uccisi e altri 15.200, compresi 2.536 minori e 1.160 donne, sono stati feriti.

 

Um Khaled Loulo, di 71 anni, ha detto di aver partecipato alle proteste almeno una volta alla settimana con i suoi figli e nipoti. “Porto sempre qui i miei nipoti per insegnargli nella pratica il diritto al ritorno”, ha detto a MEE.

 

“Non li lascio avvicinare alla barriera perché so che i soldati israeliani non lesineranno i tentativi di sparargli, ma almeno possono  capire che il ritorno alla loro patria d’origine è qualcosa per cui lottare quando diventeranno grandi.”

 

Loulo ha aggiunto che portare i suoi nipoti alle manifestazioni fa parte dell’insegnamento dei valori fondamentali della vita e di educarli alla difesa dei loro diritti.

 

“Li porto qui ogni settimana e cantiamo canti nazionali. È così che si cresce un figlio sotto l’occupazione.”

 

Loulo ha detto che quando era più giovane partecipava alle proteste e tirava pietre ai soldati israeliani.

 

“La donna è uguale all’uomo in casa e in prima linea. Se lui lotta per una causa, lo fa anche lei”, ha aggiunto.

 

Israa Areer, una giornalista di 26 anni, ritiene che la partecipazione delle donne alla lotta palestinese “non è nulla di nuovo”.

 

“Più di 60 anni fa mia nonna cacciò fuori da casa sua i soldati israeliani che cercavano di arrestare suo marito e i suoi figli. Anche questa è una forma di resistenza.”

 

Areer ha detto che, benché le autorità israeliane si siano ritirate dalla Striscia di Gaza nel 2005, “condizionano e controllano direttamente la vita delle donne palestinesi”.

“Anche se Gaza non è occupata, le autorità israeliane continuano a praticare ogni forma di oppressione contro le donne, imponendo un duro assedio che le priva dei loro fondamentali diritti”, ha aggiunto.

 

“Le donne palestinesi non solo allevano i combattenti per la libertà, ma hanno anche lottato insieme a loro e li hanno protetti contro l’occupazione per parecchi decenni”, ha detto.

 

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