PIC - Quds Press - Infopal - 15 set 2018 Tre palestinesi, tra cui un bambino, sono stati uccisi venerdì durante l’attacco delle forze di occupazione israeliane contro i manifestanti ai confini di Gaza. I soldati hanno fatto uso di munizioni vere e candelotti di gas lacrimogeno. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, le vittime sono Shadi Abdulal, 12 anni, Hani Afana, 21, e Mohammed Shaqoura, 21. Circa 250 palestinesi, tra cui 18 minorenni e due medici, hanno riportato ferite di diverso tipo. Migliaia di palestinesi nel pomeriggio di venerdì hanno preso parte alle proteste del 25° venerdì della Grande Marcia del Ritorno. I manifestanti hanno bruciato decine di pneumatici nel tentativo di impedire la visuale ai cecchini israeliani. Il Comitato nazionale per la Grande Marcia del Ritorno e la fine dell’Assedio ha dichiarato che le proteste di questo venerdì sono state organizzate sotto lo slogan “La resistenza è la nostra scelta” per confermare il rifiuto del popolo palestinese degli Accordi di Oslo e l’Affare del Secolo sostenuto dagli Stati Uniti. La Grande Marcia è stata lanciata il 30 marzo in cinque campi installati lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele. La marcia chiede principalmente di sollevare il blocco di 12 anni su Gaza e di consentire ai profughi palestinesi di tornare nelle loro terre da cui furono espulsi nel 1948, come previsto dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, in particolare la risoluzione 194 che prevede il ritorno o il risarcimento. Da quando sono iniziate le proteste ai confini di Gaza, 184 palestinesi sono stati uccisi, 27 dei quali minorenni e oltre 19.000 feriti.

 


 

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15 set 2018

 

A Gaza dimenticata si continua a morire, ieri tre palestinesi uccisi

di Michele Giorgio

 

Proseguono le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno ma i media internazionali non danno più attenzione alla campagna contro il blocco israeliano di Gaza. Cariche della polizia a Khan al Ahmar

 

Gerusalemme, 15 settembre 2018, Nena News – 

 

Gaza dimenticata, di nuovo. Sono bastate un po’ di indiscrezioni su un accordo di tregua tra Israele e il movimento islamico Hamas«ormai fatto» per far richiudere in un cassetto il voluminoso dossier di Gaza e della condizione della sua gente: oltre due milioni di palestinesi che vivono da prigionieri in meno di 400 chilometri quadrati. Ma quell’accordo resta incerto, non se ne parla più. Anzi, si sono complicati ancora una volta i rapporti tra i mediatori egiziani e la leadership islamista e il Cairo ha richiuso il valico di Rafah, l’unica porta di Gaza sul mondo arabo. In questo quadro i palestinesi uccisi continuano a non fare notizia. Eppure ogni venerdì proseguono le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno cominciata a fine marzo. E il bilancio anche ieri è stato drammatico. Diecimila forse più palestinesi hanno raggiunto le linee di demarcazione con Israele per chiedere la fine del blocco di Gaza e tre dimostranti – Shadi Abdel Aal, 12 anni, Hani Afana, 21 e Mohammed Chakoura, 20 – sono stati uccisi dai colpi sparati dai tiratori scelti sulla folla a Jabaliya e Khan Yunis. I feriti sono stati almeno 248, 15 dei quali colpiti da proiettili. Israele ha denunciato il lancio di due granate contro una jeep e il ferimento di un soldato per lo scoppio di un ordigno. La sua artiglieria ha fatto fuoco su presunte postazioni di Hamas in particolare a Khouza.

Qualche ora prima in Cisgiordania, alle porte di Gerusalemme Est, reparti della polizia israeliana avevano chiuso gli accessi per Khan al Ahmar scatenando le proteste degli abitanti e degli attivisti che provano a proteggere, con la loro presenza, il villaggio di cui la Corte suprema israeliana ha decretato la demolizione oltre allo sgombero della comunità beduina che vive in quella località da decine di anni. Almeno cinque manifestanti sono stati arrestati – tra i quali Frank Romani, un docente universitario ebreo americano -, diversi i contusi. Due giorni fa, poco prima dell’alba, la polizia aveva rimosso e smantellato cinque container portati dai palestinesi con l’intenzione di dare vita a un nuovo villaggio, Wadi al Ahmar, accanto a Khan al Ahmar.

Si aggrava lo scontro tra la leadership palestinese e l’Amministrazione Trump. Jared Kushner, inviato speciale in Medio oriente e genero del presidente americano, giovedì in un’intervista aveva affermato che il riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale di Israele, il taglio di finanziamenti americani per centinaia di milioni di dollari ai palestinesi e all’agenzia dell’Onu per i profughi Unrwa e la chiusura dell’ufficio dell’Olp a Washington, non hanno diminuito le possibilità di raggiungere un accordo, anzi, a suo dire le hanno accresciute. Ieri Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen ha replicato che Kushner conferma «la sua totale ignoranza» del Medio oriente. «Il popolo palestinese – ha avvertito Abu Rudeinah – non accetterà pressioni, sanzioni o politiche di ricatto…le mosse americane sono la prova di un pregiudizio cieco».

In queste ore si riaccendono anche i riflettori sulla salute precaria dell’83enne Abu Mazen. Il segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat, ieri in un’intervista ha rivelato che a maggio il presidente palestinese si è trovato in condizioni molto critiche e durante il suo ricovero per una polmonite a Ramallah il suo entourage aveva perso ogni speranza. Nena News

 

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