Originale: Haaretz

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2 aprile 2018

 

La Marcia di Gaza è il desiderio di una nuova politica palestinese 

di Amira Hass

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Reprimere la lotta per i diritti nazionali e per l’uguaglianza, non è una scienza esatta. Perfino dopo 70 anni di esperienza, non si sa se uccidere dei dimostranti disarmati che non metteranno in pericolo un solo soldato israeliano scoraggerà e ridurrà il numero dei dimostranti nelle prossime settimane – o proprio il contrario.

Settanta o cinquanta anni di esperienza nella repressione non sono, però sufficienti perché l’esercito e i politici abbandonino la loro opinione dei Palestinesi come marionette di Hamas, proprio come erano considerati burattini di Fatah e dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in passato. Diecine di migliaia di persone disarmate (anche se alcuni di loro appartengono alle varie forze palestinesi di sicurezza) non partecipano a una dimostrazione di massa, malgrado gli avvertimenti di Israele, semplicemente perché obbediscono ad Hamas e ai suoi giochetti sofisticati. Se le forze armate israeliane e la leadership politica preferiscono presentarla in questa luce alla loro arena domestica, per i loro propri motivi, dimostra disprezzo per il pubblico israeliano. Se realmente credono a questo, è una mancanza cronica di comprensione della situazione, che è caratteristica dei governanti e dei regimi non eletti.

Come per molte iniziative che richiedono un’azione di massa, è difficile sapere in che modo  ha avuto origine  la Marcia del Ritorno. Alcuni di coloro che sono dietro all’iniziativa, sono membri della generazione relativamente giovane i quali si identificano con organizzazioni politiche rivali, ma che sono furiosi per la discesa dei loro gruppi nella lotta interna. Alcuni di loro hanno guadagnato esperienza come attivisti contro la rottura interna palestinese nel 2011, e hanno scoperto che il loro impegno per mettervi fine non è sufficiente ad aumentare lo slancio. I gruppi politici – Hamas,  Fatah e le organizzazioni minori – hanno adottato l’iniziativa. Non è un giochetto, ma consapevolezza politica.

Le date scelte per la marcia non sono il risultati di manipolazioni ciniche. Il Girono della Terra ricorda l’uccisione di dimostranti palestinesi, cittadini di Israele, che protestavano per l’espropriazione delle loro terre, ed è diventato un giornata nazionale che unisce i Palestinesi, a prescindere dalle recinzioni e dai passaporti che li separano. Il dolore per la perdita della loro patria, nel 1948, non è una messinscena.

La scelta di un’azione continuata di 6 settimane, lungo la recinzione del confine, è un tentativo politico di rompere  il blocco israeliano esterno, imposto da Israele, e anche quello interno.

Non è il nazionalismo palestinese che sta morendo (un punto di vista espresso dagli osservatori a Israele, i quali lo attribuiscono ai fallimenti politici del Presidente Mahmoud Abbas). Ciò che sta morendo è l’organizzazione tradizionale che lo ha rappresentato fino adesso – l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) – e Hamas sta fallendo nei suoi tentativi di diventare l’alternativa che è accettabile per tutti. La società palestinese che è stufa della sua dirigenza e della spaccatura politica, è piena di iniziative. Le gente sta cercando qualcosa di nuovo che butterà giù le barriere fisiche e  psicologiche che dividono le varie parti, basandosi, allo stesso tempo, sulle componenti dell’identità nazionale palestinese accettabili da tutti. Questo è anche il modo in cui dobbiamo considerare la Marcia del Ritorno di quest’anno – sia che Israele continui e riesca a compierne la repressione funesta, oppure no.

La decisione di Israele di usare mezzi letali per reprimere un’azione popolare civile, è una scelta politica e non militare-logistica. Malgrado l’autenticità del messaggio della Marcia per il  Ritorno, il governo e le forze armate israeliane non temono che la realizzazione del diritto del ritorno è ora sull’agenda. Questo non è il motivo per cui hanno dato ai soldati l’ordine di sparare per uccidere; il mezzo che a breve e medio termine è il più sicuro per reprimere la protesta. L’iniziativa che sta dietro la marcia scuote la stabilità del pilastro centrale della politica di Israele e dei suoi piani di impedire il progetto nazionale palestinese, staccando la Striscia di Gaza dal resto della società palestinese in Cisgiordania e a Israele. Questa separazione, compiuta gradualmente in 27 anni, non soltanto ha causato direttamente il terribile deterioramento economico e ambientale, ma ha anche contribuito alla creazione di due governi palestinesi – cosa che è anche servita molto bene alle intenzioni di Israele. La marcia è un’iniziativa sociale e politica che sta cercando di evitare l’ostacolo dei due governi.

Si può ipotizzare che le Forze di Difesa israeliane e i loro portavoce sapranno in che modo replicare a qualsiasi sviluppo. Se le proteste della Marcia del Ritorno termineranno, questo sarà attribuito al pugno di ferro usato il primo giorno. Se le dimostrazioni continueranno, chiariranno che il pugno era tropo debole. Fin dall’inizio, le fonti militari hanno affermato che la dimostrazione non era così pacifica come gli organizzatori la hanno presentata. Come Amos Harel ha scritto su Haaretz: “Sono state lanciate alcune bombe incendiarie, alcune sono state poste sul ciglio della strada, sono stati bruciati degli pneumatici e c’è stato qualche tentativo di tagliare la recinzione e di entrare in Israele.” Ognuna delle 15 persone uccise era coinvolta in queste presunte azioni che, anche se messe in atto, non hanno immediatamente danneggiato le vite dei soldati o di altri Israeliani? Ora che vedremo le testimonianze dettagliate e le foto che documentano il modo in cui alcune delle persone uccise e ferite erano state colpite alle spalle, e l’atmosfera festosa, civile che prevaleva tra i dimostranti, saranno già notizie vecchie.

L’esercito si permette di violare la legge internazionale e di sparare a civili disarmati e perfino di ucciderli, perché la società israeliana accetta questo come un atto di difesa a priori, senza indagare sui dettagli. E, malgrado alcune deboli condanne, anche i governi di tutto il mondo non rappresentano un ostacolo per dissuadere Israele. La Marcia del Ritorno – sia che continui oppure no, dichiara a Israele e alla comunità internazionale che i residenti della Striscia di Gaza non sono casi umani passivi e pietosi,  ma un pubblico che è politicamente consapevole.

 


Nata a Gerusalemme nel 1956, la Hass è entrata in Haaretz nel 1989, e dal 1993 ricopre il suo attuale incarico. In quanto corrispondente per i territori,  ha trascorso tre anni a Gaza, cosa che le è servita come base  per il suo libro ampiamente acclamato. “Drinking the Sea at Gaza.” (Bere il mare a Gaza).Vive nella città di Ramallah, in Cisgiordania, fin dal 1997. La Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi formati da  raccolte dei suoi articoli. 


 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/gazas-march-a-desire-for-new-palestinian-politics

 

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