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8 Apr 2018

 

Striscia di Gaza: Israele, Hamas e i palestinesi

di Giorgio Gomel

economista, è membro del Comitato direttivo di Jcall, un’associazione di ebrei europei impegnata nel sostegno ad una soluzione “a due stati” del conflitto israelo-palestinese.

 

Errori ed orrori lungo i confini fra Israele e la striscia di Gaza, retta dispoticamente dal governo di Hamas, nelle proteste di massa organizzate sotto l’egida della ‘Marcia del ritorno’ il 30 marzo, che nei propositi dei promotori dovranno rinnovarsi ed estendersi anche alla Cisgiordania ogni venerdì, fino a culminare il 15 maggio – il giorno della Naqba, che i palestinesi commemorano in concomitanza con la  festa dell’indipendenza che Israele celebra il 14, quest’anno i 70 anni dalla nascita dello Stato ebraico. Non vi sono vincitori, solo sconfitti : Israele stesso, Hamas e  anche l’Autorità palestinese di Ramallah.

 

Nessun vincitore, solo sconfitti, palestinesi senza strategia…
Al di là del costo in termini di vittime  (circa 30 palestinesi uccisi, moltissimi feriti) e della meccanica degli scontri, su cui le Nazioni Unite intendono svolgere un’inchiesta indipendente, che l’opposizione di sinistra in Israele ritiene legittima e doverosa, la mancanza di una strategia di lungo termine in ognuno degli antagonisti attanagliati in un conflitto nefasto sconcerta l’osservatore imparziale  e ancor più  sgomenta chi partecipa empaticamente al dramma dei due popoli , tra i quali si svolge un’orgia senza fine di reciproche brutalità.

Hamas non ha una strategia : non può sconfiggere Israele, ma non desiste da una sciagurata guerra di guerriglia che espone la gente alla rappresaglia di Israele né ha la forza politica di abdicare all’assolutismo ideologico del rifiuto dell’esistenza di Israele. È debole, per il degrado e la miseria che gravano sulla striscia di Gaza, ancora devastata  dalle conseguenze della guerra dell’estate 2014. E’  isolata dal mondo arabo-islamico, inclusi il Qatar e la Turchia, un tempo suoi alleati e finanziatori, ed è osteggiata dall’Egitto per il suo appoggio ai Fratelli mussulmani.

 

L’antagonismo con l’Olp dominata da Al-Fatah permane,  malgrado l’accordo di riconciliazione negoziato l’anno scorso che contemplava l’esercizio da parte dell’Anp di Ramallah della giurisdizione civile-amministrativa, non del potere militare, su Gaza. Al fallimento dell’accordo, l’Anp ha reagito imponendo sanzioni economiche alla stessa Gaza, che hanno esacerbato ulteriormente le sofferenze della popolazione.

Hamas predica l’azione non-violenta contro Israele, immaginando così di attirare l’attenzione del mondo arabo e dell’Europa sulla catastrofe umanitaria di Gaza e sulle nequizie di Israele, ma è incapace di condurre una vera lotta ‘non armata’ per la sua stessa storia guerrigliero-terroristica: una parte rilevante dei morti dei giorni scorsi erano, secondo osservatori, militanti armati di Hamas o di altre milizie.

 

… e israeliani pure, tra uso della forza e negoziato
Quale strategia d’altra parte persegue Israele? Occupare la striscia di Gaza sgomberata nel 2005 ? Lo esclude il raziocinio pragmatico se non l’imperativo dei diritti umani : il costo materiale e umano per lo stesso esercito israeliano e per gli abitanti palestinesi sarebbe enorme. Israele dovrebbe poi  rispondere delle condizioni materiale di quegli abitanti, prossimi ormai ai due milioni.

 

Trattare con Hamas ? Forse sì, forse è stato un errore da parte di Israele – e del Quartetto, Onu, Usa, Russia, Ue – fissare condizioni  troppo cogenti nel passato  per negoziare  con Hamas. Ma oggi sarebbe un gesto offensivo verso l’Autorità palestinese, partner negoziale di Israele, ancorché di una trattativa ormai bloccata da quattro anni, nonché verso Paesi vicini ed amici come l’ Egitto e  la Giordania avversi all’ideologia integralista di Hamas. Mantenere  il blocco imposto dal 2007  alla striscia di Gaza, terrestre e navale, accoppiato alla protezione offerta dal sistema antimissilistico detto ‘Iron Dome’ e alla distruzione delle gallerie sotterranee (ne restano forse meno di 10) che Hamas ha costruito nel tempo fra la striscia e il territorio israeliano per alimentare  una guerra di guerriglia su quel territori ?

Non si intravvede però una strategia di lungo termine, che vada al di là di azioni militari lungo la barriera costruita sulla frontiera che al più agiscono da deterrente nel breve periodo, mietono vittime anche civili e rafforzano la fascinazione degli estremisti fra i palestinesi. Eppure gli stessi vertici dell’esercito e alcuni  ministri del governo Netanyahu da tempo insistono perché Israele concorra, con progetti  talora  avveniristici,  alla ricostruzione di un minimo di ordine economico e civile della striscia,  insieme alla Banca mondiale, a governi dell’Ue e ad altri partner.

 

Evitare un’ulteriore escalation
Infine, come ha affermato Mossi Raz – deputato del Meretz, partito della sinistra: “I palestinesi  hanno il diritto di manifestare e Israele ha il diritto-dovere di disperdere manifestazioni violente… Ma è vietato usare armi da fuoco ed è nostro obbligo morale evitare un’ulteriore escalation”. L’uso di armi da fuoco contro civili è ammissibile soltanto se detti civili partecipano direttamente ad azioni ostili, non se varcano o cercano di superare la frontiera con Israele.

 

Ma, come recita il documento con cui diversi  partiti e movimenti dell’opposizione israeliana – una minoranza – hanno promosso il primo aprile una manifestazioie contro le violenze dell’esercito, occorre unire a ciò  “la fine del blocco imposto alla striscia,  accordare permessi di lavoro in Israele agli abitanti di Gaza oppressi da disoccupazione e miseria, trattare con i palestinesi per porre fine alle violenze e riattivare la trattativa per una soluzione a due Stati che includa la striscia di Gaza come soggetto-oggetto nel quadro negoziale”.

 

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