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05 gennaio 2018

 

La crisi in Iran vista da Nazanín Armanian

Traduzione di Marina Zenobio

 

Iran, il “Thatcherismo” degli economisti della Repubblica Islamica, ammiratori di Friedman, ha aumentato profondamente la breccia tra le classi sociali

Le proteste cittadine iniziate in Iran lo scorso 29 dicembre si sono estese su un vasto territorio del paese, lasciando alla data odierna (2 gennaio) 12 morti e centinaia di arresti. Questi avvenimenti hanno luogo in una situazione di:

1. una profonda e crescente crisi economica, politica e sociali in Iran;

2. una nuova fase della lotta tra le due fazioni della Repubblica Islamica in cui il settore dell’estrema destra, guidata da una alleanza formata dal superpotente caudillo Ali Khamenei e i capi del corpo militare dei Guardiani Islamici, tentano di spodestare e far dissolvere i “moderati” del presidente Hassan Rohani, i cui potere come capo dell’esecutivo sono subordinati al leader supremo. Anche così, si tratta di uno degli uomini più potenti della Repubblica Islamica. Nella bozza del bilancio del prossimo anno (che in Iran inizia a primavera), ha osato ridurre il budget destinato ai militari, provocando le loro dure proteste;

3. un Medio Oriente precipitato in diverse guerre guidate dagli Stati Uniti e i suoi alleati, la cui situazione condiziona lo sviluppo e il risultato delle attuali proteste.

Durante le ultime settimane lo scontro tra le due fazioni si è intensificato: l’asse Khamenei-Guardiani Islamici incolpa Rohani per la violazione dell’accordo nucleare Usa paese che, lungi dal togliere le sanzioni contro l’Iran, le sta aumentando aggravando la crisi economica del paese. Intanto il presidente ricordava che i negoziati tra i due paesi iniziarono nel 2009, mentre era al governo Ahmadinejad sotto la supervisione dello stesso Khamenei.

Giovedì scorso, “all’improvviso”, un gruppo di persone ha manifestazione a Mashhad, città feudo del leader, contro l’inefficacia del governo Rohani di fermare l’aumento galoppante dei prezzi dei prodotti basici. La cosa curiosa è che la protesta non è stata repressa, nonostante la Repubblica Islamica proibisce e punisce qualsiasi azione che metta in discussione le autorità. Naturalmente la notizia si è diffusa a macchia d’olio attraverso le reti sociali e migliaia di persone hanno occupato le strade di una ventina di città, lanciando slogan, e non solo contro Khameni e Rohani ma contro l’insieme della teocrazia islamica, la casta clericale, i suoi abusi di potere e l’immensa corruzione dei sacerdoti che vivono in una oscena opulenza, isolati dalla realtà sociale. Lo slogan principale è stato: “Pane, case, libertà”. Sì signori, se volete un paese laico dategli una teocrazia.

Stiamo parlando di un movimento spontaneo, disorganizzato, senza guida né ideologia o tendenza politica concreta, la cui principale volontà è stata di dimostrare l’indignazione dei cittadini. Se la Repubblica Islamica avesse rispettato la Costituzione, che considera un diritto protestare pacificamente, oggi non ci troveremmo davanti una esplosione sociale difficile da controllare.

Chi c’è dietro le proteste?

Questa domanda può avere quattro risposte:

1. La Casa del Leader le considera una “nuova sedizione” organizzata da Usa, Israele e Arabia Saudita. Dare la colpa a un paese straniero per il proprio fallimento è di moda, come il Partito democratico Usa che dà alla Russia la responsabilità per il trionfo di Trump.

2. Il governo di Rohani guarda ai Guardiani Islamici e ai presidenti del parlamento e del potere giuridico, i fratelli Ali e Sadeq Laijani che, avendo commesso atti di corruzione, hanno delegittimato la Repubblica Islamica. Infatti Ahmadinejad accusa i Laijani di ricevere tangenti, di appropriazione indebita di terreni pubblici, di essere impossessati del monopolio per le importazioni di medicinali ecc. Comunque Rohani riconosce l’autenticità delle proteste generate dalla frustrazioni dei lavoratori.

3. Gruppi della sinistra europea e latina, che sono intrappolato in un semplicissimo dualismo manicheo, tacciano qualsiasi rivendicazione operaia, contadina, delle donne e degli studenti iraniani di essere “un complotto dell’imperialismo”. Ma davvero si crede che una teocrazia islamica (ma non una cristiana o ebrea) sia un governo celestiale libero dalla lotta di classe! Chiedono infinita pazienza al nostro vuoto – come se non capissimo la geopolitica – per così neutralizzare i piani degli yankees per distruggere l’Iran, ma non esigono dai dirigenti del paese di soddisfare le rivendicazioni più che giuste dei lavoratori, con lo stesso obiettivo. La settimana scorsa migliaia di israeliani hanno manifestato contro la mancanza di case e la corruzione di Netanyahu, così come migliaia di kurdi del nord dell’Iraq. La lotta per la giustizia sociale attraversa regimi religiosi come nazionalisti, attraverso anche le guerre più devastanti.

4. I comunisti iraniani che vedono le proteste come il grido disperato di un popolo sfruttato e oppresso dalla Repubblica Islamica e, allo stesso tempo, minacciato dagli Usa e dai suoi alleati nella regione, proveranno a trarre profitto dall’inettitudine dei dirigenti del paese, incapaci di dare soluzione ai gravi problemi sociali.

Senza dubbio uno degli errori della Repubblica Islamica è stata l’eliminazione dei sindacati e dei partiti, la cui funzione è quella di mediare e quindi di ridurre la tensione nei conflitti tra il potere e le masse. Bene, ora la Repubblica Islamica si scontra direttamente con il popolo senza avere l’opportunità di mediarne le azioni e negoziare alternative.

Situazione economica: il tallone di Achille della Repubblica Islamica

Negli ultimi mesi migliaia di dipendenti disperati si sono azzardati a manifestare contro i salari bassi o differiti fino a sei mesi, o anche per la truffa di varie banche che si sono appropriate dei depositi di migliaia di piccoli investitori.

Il “Thatcherismo” che applicano gli economisti della Repubblica Islamica, ammiratori di Milton Friedman, ha aumentato profondamente la breccia tra le classi: i ricchi non pagano tasse, le imprese si privatizzano, i prezzi salgono senza controllo e l’affitto di una casa assorbe la metà dello stipendio mensile delle famiglie. Il programma elettorale di Rohani prevedeva di creare milioni di posti di lavoro, ma quei pochi che creò sono andati persi con la chiusura di fabbriche e laboratori. Circa 12 milioni degli 80 milioni di iraniani sono disoccupati, e la metà sono laureati, afferma il deputato del parlamento Ghoalmreza Taygardan.

La sanità e l’educazione non sono gratuite né universali. Milioni di bambini e bambine invece di studiare sono sfruttati dal mercato del lavoro nero, mentre la Sicurezza Sociale, per chi ce l’ha, non compre neanche malattie come l’artrosi.

Decine di migliaia di senza tetto, tra cui famiglie intere con bambini piccoli, dormono nelle intemperie in scatole di cartone, esibendo il fallimento totale del capitalismo camuffato sotto tonache e veli.

Secondo le statistiche della Banca Centrale Iraniana, nel 2015 circa il 48% delle famiglie viveva sotto la soglia di povertà, pur essendo padroni di uno dei paesi più ricchi del pianeta.

I cittadini vedono che dell’accordo nucleare hanno beneficiato solo uomini d’affari vincolati con il sistema, che invece di investire nella creazione di fabbriche e posti di lavoro spengono denaro pubblico nelle proprie imprese di importazione. La cosiddetta “economia islamica” non è altro che la primitiva “compra-vendita” di merci, diretta da una borghesia parassitaria, nemica della produzione industriale.

L’Iran nell’agenda 2018 di Trump

Il presunto sostegno pubblico di Trump alle proteste servirà solo ai settori più reazionari della Repubblica Islamica per aumentare la repressione contro i lavoratori iraniani. Questo viene definito “vincere senza sparare un solo proiettile”. Trump dice di appoggiare l’indignazione degli iraniani però li taccia di terroristi impedendoli di entrare negli Stati Uniti, anche se fuggiti dall’Iran in cerca di asilo.

Gli iraniani, così come la maggioranza dell’umanità, rifiutano Trump e si oppongono alla sua intromissione negli affari interni del paese. Il futuro dell’Iran è solo dei suoi cittadini.

Washington, che pianifica di provocare scontri diretti con Iran, Iraq e Siria, può applicare in forma parallela lo “Schema Siriano”: approfittare dell’ondata delle giuste rivendicazioni popolari per smantellarne lo Stato.

Guardare dall’altra parte e accusare gli attivisti di essere “nemici di Dio” e “agenti della Cia” da parte delle autorità iraniane, significa consegnare il paese a una guerra civile e di propiziare la sua disintegrazione, invece di accoglierne le esigenze.

Durante la precedente crisi di legittimità della Repubblica Islamica, le fazioni si unirono contro il nemico comune (partito progressista, settori della popolazione). Ora si intravedono due possibilità:

– Che Khamenei e Rohani si uniscano per reprimere le proteste, salvandosi a vicenda,

– Che l’asse Khamenei- Guardiani Islamici sacrifichino Rohani, passando il potere politico ai militari (nello stile dell’Egitto).

Oggi non c’è un’alternativa progressista alla Repubblica Islamica perché è stata totalmente eliminata con una durissima repressione di quasi quattro decenni. Delle poche uscite (troppo ottimista!) che restano alla Repubblica Islamica è di astenersi dal reprimere le manifestazioni, formare una piattaforma che medi tra gli “indignati” e il potere, per iniziare una riforma onesta in favore dei lavoratori e delle lavoratrici, impedendo la caduta del paese nell’inferno.

 


Nazanin Armanian è una scrittrice e giornalista iraniana esiliata a Barcellona dal 1983. Laureata in Scienze politiche. Insegna presso l’Università di Barcellona e scrive per Pubblico.es

 

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