http://nena-news.it/

24 set 2018

 

I primi arresti per l’attentato ad Ahvaz

 

Oggi ai funerali delle 24 vittime alla parata di sabato, il ministro dell’Intelligence ha annunciato l’arresto di 22 sospetti. Rohani accusa gli Usa e le sue marionette nella regione

 

Roma, 24 settembre 2018, Nena News –

 

In migliaia hanno preso parte questa mattina ai funerali delle 24 vittime dell’attentato di sabato nella città iraniana di Ahvaz. Le bare avvolte nella bandiera iraniana sono state portate a spalla sia da civili che da soldati, che camminavano accanto a cartelli con su scritto “no al terrorismo” e alle foto degli uccisidurante la parata che ricordava l’inizio della guerra con l’Iraq, iniziata nel 1980 e terminata solo otto anni dopo.

Quattro uomini hanno sparato sulla folla, uccidendo 24 persone tra civili e militari. Dodici di loro erano originari di Ahvaz e qui saranno sepolti. Ai funerali hanno preso parte anche il ministro dell’Intelligence Alavi e il comandante delle Guardie Rivoluzionarie in tempo di guerra, il generale Rezai.

Due le rivendicazioni dell’attentato: il gruppo estremista sunnita e separatista Harakat an-Nizal al Arabi Le Tahrir al-Ahvaz, nato negli anni ’80 contro la neonata Repubblica islamica, e lo Stato Islamico che ha rilanciato un video con i presunti attentatori mentre si avvicinano in auto alla parata. Importante sarà stabilire il vero responsabile per definire il significato dell’attentato: se è l’Isis ad aver agito si amplia il pericolo rappresentato dal gruppo nel paese che più di altri è impegnato nel reprimerlo nei vicini Iraq e Siria; se si tratta ancora dei separatisti, il governo Rohani saprà di non aver modificato gli equilibri interni al sud del paese.

Stamattina, durante i funerali, il ministro Alavi ha annunciato l’arresto di 22 persone sospettate di aver avuto un qualche legame con l’attentato. “Gran parte di questa rete è già stata fermata”, ha detto Alavi. Ma la rete, secondo Teheran, è molto più grande: fin da subito il presidente Rohani ha accusato paesi stranieri di aver preso ordito l’attentatocontro un simbolo della presenza iraniana all’estero, le Guardie Rivoluzionarie, protagoniste sia in Iraq che in Siria.

Senza fare riferimenti esplici, Rohani – in partenza per New York dove parteciperà all’Assemblea Generale dell’Onu – ha puntato il dito contro un alleato degli Usa nel Golfo Persico e “paesi mercenari che vediamo in questa regione sotenuti dagli Stati Uniti, sono gli statunitensi che istigano e forniscono loro i mezzi per commettere questi crimini. Gli Stati del Golfo forniscono a questi gruppi supporto monetario, militare e politico”.

A ribattere per primi, ieri, gli Emirati Arabi Uniti: “La posizione storica degli Emirati contro il terrorismo e la violenza è chiara e le accuse di Teheran sono senza fondamento”. Parla anche Washington, per bocca dell’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, nota anti-iraniana: “Gli Stati Uniti condannano ogni attacco terroristico, in qualsiasi luogo e in qualsiasi periodo accada”. Per poi aggiungere la stoccata a Teheran: “Gli iraniani protestano, ogni moneta che arriva in Iran va ai soldati, [Rohani] opprime il suo popolo da tanto tempo e deve quindi guardare alla base per capire da dove vengono [gli attentati]. Può accusarci quanto vuole, la cosa che deve fare è guardarsi allo specchio”.

Stessa linea del presidente iraniano la segue l’Ayatollah Khamanei, la guida suprema, che parla di “complotto dei paesi della regione pupazzi degli Stati Uniti che vogliono creare insicurezza nel nostro caro paese”.

Al di là delle dichiarazioni ad effetto l’attentato in Iran dà la misura delle tensioni interne alla regione. Certa è la politica bellicosa che, a guida statunitense, interessa ormai dall’elezione di Donald Trump la Repubblica Islamica. L’accordo sul nucleare è stato svuotato del suo significato, aiutando a incrementare la crisi economica che sta peggiorando le condizioni di vita degli iraniani, mentre in Siria prosegue la guerra israeliana – per procura – ai siti e i militari di Teheran.

Se davvero si è trattato di un piano esterno per fare pressioni sull’Iran, potrebbe non funzionare. Al contrario, potrebbe fare da collante interno, in un periodo di crisi politica dell’amministrazione Rohani: ogni volta che sentono di essere attaccati da fuori, gli iraniani si uniscono al di là delle posizioni politiche. Nena News

 

top