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6 luglio 2018

 

I media sociali e Israele: la censura della verità 

di Robert Fantina

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

La crescente ansia di Israele di evitare la conoscenza  pubblica dei suoi molti crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità, non conosce limiti. Il paese che, con l’appoggio degli Stati Uniti, si è proclamato ‘l’unica democrazia in Medio Oriente’, ha, come il suo sponsor, gli Stati Uniti, un’opinione molto distorta di ciò che costituisce una democrazia.

 

La libertà di stampa è un elemento caratteristico di qualsiasi nazione che vuole definirsi una democrazia. Come ‘rispetta’ Israele le libertà di stampa? L’organizzazione Reporters without Borders (Reporter senza confini), nell’aprile di quest’anno ha accusato le IDF (Forze di difesa israeliane; leggasi: Terroristi del governo israeliano) dell’uccisione deliberata di giornalisti. Da allora nulla è cambiato, dato che altri membri della stampa, disarmati, sono stati uccisi dai terroristi israeliani. Durante il bombardamento a tappeto di Gaza per mano di Israele, nel 2014, veicoli e uffici contrassegnati molto visibilmente, erano stati presi di mira da Israele.

 

Nell’aprile di quest’anno, un programma intitolato: “Un ebreo-americano parla del fascismo di Israele: nessuna speranza di cambiamento dall’interno’, trasmesso da “Empire Files’, un programma di teleSur presentato da Abby Martin, è stato bloccato in 28 paesi. Il programma era uno studio della posizione militaristica che gli Israeliani assumono sempre di più verso i Palestinesi. Il motivo rivendicato era che il contenuto del programma violava le ‘leggi locali’.

 

Faceva parte del programma un’intervista con il giornalista Max Blumenthal. Interrogato in seguito circa la sua partecipazione così ampiamente bloccata nel contesto del programma, ha affermato che nulla nelle sue osservazioni “era neanche lontanamente illegale, perfino in paesi con leggi severissime per i reati di odio.” Quando gli è stata chiesta la sua opinione sul motivo per cui il video era bloccato, ha detto che la decisione “era stata presa probabilmente sotto la pressione di potenti interessi pro-Israele.”

Questo è quanto riguardo alla libertà di stampa in Israele.

 

Un’altra componente essenziale di qualsiasi democrazia è la libertà di parola.

Nel gennaio di quest’anno, MintPress News (un giornale on-line) ha riferito che dei portavoce di Facebook hanno ammesso che questa stava cancellando degli account,  come richiesto da Israele e dagli Stati Uniti. Questa è stata una naturale conseguenza degli incontri che Facebook aveva avuto con alcuni dei funzionari Israeliani  più estremisti, per stabilire quali account di Facebook di Palestinesi e di altri loro sostenitori in tutto il mondo, dovevano essere cancellati.

 

Colui che scrive di recente ha indagato sul suo account di Facebook per vedere se altre persone notavano una diminuzione di articoli sulla Palestina. Dopo una sospensione di tre giorni da Facebook nei suoi confronti, per aver fatto commenti sui ‘selvaggi israeliani’ in un post sulla brutalità israeliana, gli è sembrato di vedere un numero sempre minore di articoli sulla Palestina. Questo è stato molto sorprendente, dato che, nel tempo, la maggior parte dei post sulla sua pagina di Facebook riguardavano quell’argomento.

 

E’ stato riferito che fino al 70% dei post favorevoli alla Palestina sia su Facebook che su Twitter vengono cancellati per ordine di Israele e degli Stati Uniti. Quest’ultimo, naturalmente è un altro paese che proclama di essere una democrazia, mentre è, ed è stata per lungo tempo (sempre?) un’oligarchia. Ma, come dice il proverbio, chi si somiglia si piglia, ed è quindi naturale che gli Stati Uniti e Israele dichiarino, contro tutte le prove, che sono loro sono delle democrazie.

 

Libertà di parola? In un certo modo, nella maniera bizzarra in cui Israele definisce la ‘democrazia’, la libertà di parola non è compresa.

 

Guardiamo un’altra componente di una democrazia: la parità di fronte alla legge. A Israele c’è un insieme di leggi per gli Israeliani, e un altro per tutti gli altri. I reati commessi dagli Arabi hanno conseguenze di gran lunga più serie che gli stessi crimini commessi dagli Israeliani. Per esempio: un israeliano può uccidere un bambino arabo dandogli fuoco, e avere una condanna a pochi anni di prigione ed essere proclamato eroe. Un bambino palestinese può essere accusato di avere lanciato un sasso a un soldato delle IDF che forse stava sovraintendendo alla distruzione della casa del bambino, e questo può essere trattenuto per anni senza accuse o la possibilità di avvicinare un avvocato e neanche i suoi genitori, e essere poi condannato fino a 15 anni di prigione.

 

Anche la trasparenza è una componente di una democrazia. Le azioni di un paese democratico sono alla luce del sole, perché una tale nazione vorrà dimostrarsi così al mondo e fare qualsiasi correzione di rotta che possa essere necessaria. Gli Stati Uniti, mente si proclamano un modello per il reto del pianeta, nascondono i loro crimini di rapimenti, torture e uccisione di milioni di persone o negandoli (rapimenti e torture) o

proclamando, stranamente, che gli assassinii di milioni di persone porteranno la democrazia nelle loro terre.

 

A Israele, ogni volta che la nazione è accusata di qualche crimine atroce, come uccidere quattro bambini che giocano sul una spiaggia, dice che farà indagini interne della situazione; nessun parere esterno è necessario. E poi, sorpresa delle sorprese, scopre che i suoi soldati/terroristi non hanno fatto nulla di sbagliato. Quando due adolescenti dopo avere osservato, senza parteciparvi, una dimostrazione contro l’occupazione, sono stati uccisi con colpi di arma da fuoco alla schiena mentre se ne andavano, con un delitto filmato sulla videocamera a circuito chiuso di un negozio  vicino, la ‘indagine’ interna ha scagionato l’autore del delitto.

 

Il 1° giugno, Razan al-Najjar, un’infermiera palestinese di 21 anni è stata uccisa con un’arma da fuoco da cecchini israeliani mentre cercava di aiutare dei feriti.  Si è saputo che Israele farà indagini sulla quella morte, ma un portavoce militare ha detto che il cecchino aveva agito “secondo procedure operative standard.” Non lo mettiamo in dubbio, ma una dichiarazione del genere ci fa chiedere quali siano quelle ‘procedure operative standard’.

E possiamo tutti aspettarci che il cecchino che l’ha uccisa venga completamente scagionato.

In seguito al brutale attacco israeliano a Gaza nel 2014, le Nazioni Unite hanno chiesto che venga loro permesso di entrare a Gaza per indagare sulla probabilità di crimini di Guerra. Israele si è rifiutato di permettere che il personale dell’ONU entri nella tormentata Striscia di Gaza e l’inadeguata ONU non è stata in grado di decidere contro Israele. Se, però, Israele non ha nulla da nascondere, perché non permettere all’ONU di entrare?

Israele non può più nascondere i suo crimini. Può pagare gli studenti israeliani per postare sui siti dei media sociali informazioni positive su quello stato dove vige la apartheid. Può fare pressioni su Facebook, Twitter e altri per censurare notizie e informazioni. Quello che, però, non può fare,  è di riformare la sua propria reputazione che è fin troppo lacera per potere essere mai riparata. E con il pieno sostegno della screditata amministrazione Trump, la reputazione di Israele può solo diventare peggiore.

 

Ma, comunque, gli sforzi di milioni di persone di tutto il mondo che sostengono i diritti dei Palestinesi e la legge internazionale, non devono diminuire neanche per un momento. Malgrado si conoscano sempre di più le atrocità che  Israele compie contro i Palestinesi, le cose non sono migliorate per quella gente oppressa. La Striscia di Gaza resta la più grande prigione all’aperto del mondo, dove alloggiano ‘detenuti’ che non hanno commesso alcun reato. Le condizioni sono tali, che l’intera Striscia di Gaza potrebbe essere completamente inabitabile fra due anni. I Palestinesi in Cisgiordania continuano a subire furti di terra, demolizione di case, arresti senza accuse e attacchi omicidi da parte di coloni illegali. A Gerusalemme, ai devoti palestinesi viene spesso proibito di frequentare e venerare i loro siti più sacri.

 

Sembra sia stato raggiunto un punto critico riguardo alle atrocità di Israele, ma fino a quando i Palestinesi non avranno una nazione indipendente e libera con i confini pre-1967, la lotta non potrà terminare e non terminerà.

 


Il libro più recente di Robert Fantina, è Empire, Racism and Genocide: a History of US Foreign Policy (Red Pill Press). [Impero, razzismo e genocidio: una storia della politica estera degli Stati Uniti]

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://www.counterpunch.org/2018/07/06/social-media-and-israel-censorship-of-the-truth/

Originale: non indicato

 

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