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17 feb 2018

 

Netanyahu al Segretario Onu: “Il Golan sarà sempre nostro”

 

Incontrando ieri Guterres a Monaco, il premier israeliano ha dichiarato che il territorio siriano occupato da Tel Aviv nel 1967 (e annesso illegalmente) resterà sempre sotto il controllo dello stato ebraico. Nei Territori palestinesi, intanto, continuano le proteste contro la decisione di Trump su Gerusalemme

 

Roma, 17 febbraio 2018, Nena News –

 

Le alture del Golan resteranno per sempre sotto il controllo d’Israele. A dirlo è stato ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu incontrando alla conferenza sulla sicurezza di Monaco il segretario dell’Onu Antonio Guterres. Indebolito internamente dai presunti scandali corruzione – ai tre noti scandali se ne potrebbe aggiungere a breve un quarto noto come “caso 4.000” in cui il primo ministro potrebbe essere accusato di aver concesso dei favori alla Bezeq, il colosso israeliano delle comunicazione, in cambio di una copertura mediatica favorevole sul portale “Walla!” che è di proprietà proprio della Bezeq –, Netanyahu ha provato a spostare l’attenzione sul fronte estero. E così, dopo aver promesso che non ci sarà mai un ritiro di Tel Aviv dal Golan, è tornato ad attaccare il nemico iraniano a cui, ha affermato, Israele non permetterà mai di creare una presenza militare in Siria.

Bibi aveva già detto in passato che la sovranità del Golan è israeliana: lo scorso anno aveva chiesto personalmente al presidente Usa Donald Trump di riconoscerlo come territorio d’Israele. E ancora prima, nel 2015, aveva fatto una richiesta simile ad Obama. Ma quella volta, raccontano diplomatici americani, la passata amministrazione cestinò immediatamente la sua istanza. Rispetto ai due casi precedenti, tuttavia, questa volta ci sono tre aspetti da evidenziare. Il primo, se vogliamo puramente formale, è relativo all’insolenza (chutzpà) israeliana di farsi beffa del diritto internazionale proprio di fronte al Segretario generale dell’Onu, cioè di chi dovrebbe teoricamente tutelarlo: il Golan è infatti territorio siriano che Tel Aviv ha occupato durante la guerra dei Sei giorni del 1967 e ha annesso nel 1981 (atto mai riconosciuto internazionalmente). Di fronte a questa sua dichiarazione, chiara violazione del diritto internazionale, è imbarazzante la mancata presa di posizione di Gueterres nonché sintomatica della debolezza politica di questa istituzione.

Queste sue parole, inoltre, giungono nel momento più difficile della sua carriera politica a causa delle incriminazioni della polizia. Non un particolare irrilevante: toni e affermazioni simili potrebbero caratterizzare sempre di più il linguaggio di Netanyahu nelle prossime settimane. Il premier, infatti, potrebbe fare ricorso ad un marcato nazionalismo per compiacere la “sua” gente impedendo così, da un lato, una emorragia di voti dal suo Likud soprattutto verso l’area “moderata” di Lapid e, dall’altro, non dando alcuna agibilità politica a chi inizia a scalciare all’interno della sua coalizione per avere più spazio. Direttamente connesso a questo aspetto è infatti il suo richiamo anti-iraniano e la promessa ad agire qualora Israele dovesse avvertire problemi alla sua sicurezza.

Una retorica bellica che non nasce di certo ieri a Monaco – già lo scorso mese Netanyahu aveva visitato le alture del Golan occupate avvisando i “nemici d’Israele” di non “mettere alla prova” la sua risolutezza sia in Siria che in Libano – ma che assume un colore più sinistro ora dopo l’abbattimento, la scorsa settimana, di un jet da guerra israeliano da parte della contraerea siriana.

La tensione al nord si accompagna alla solita routine nei Territori Occupati palestinesi, soprattutto da quando Trump ha riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele. Ieri al termine delle preghiere islamiche del venerdì centinaia di palestinesi si sono scontrati contro l’esercito israeliano a Hebron, Ramallah, Nablus e Gerico. Sono stati almeno sette i dimostranti feriti da proiettili sparati dai soldati israeliani, altri 18 sono rimasti intossicati dai gas lacrimogeni nei villaggi di Mazraat al Gharbyeh e Bilin vicino Ramallah, ad al Qaryoun e al Qisariya (Nablus) e in altre località della Cisgiordania. La protesta sulle strade si accompagna poi a quelle delle carceri dove a, quasi un anno dal lungo sciopero della fame nelle carceri israeliane contro la “detenzione amministrativa” (senza processo), tre giorni fa 450 prigionieri politici hanno cominciato una nuova contestazione contro questa forma di detenzione proclamando il boicottaggio a tempo indeterminato delle corti militari israeliane. Nena News

 

 

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